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La rispondenza con l’analogo conclusivo episodio dell’appendice all’Ermanno Raeli è testuale.
In quella sede è più chiara la diagnosi scientifica del crollo della creatura femminile:
“l’ultima forza nervosa della sciagurata si dissolse in una di quelle sincopi che spengono tutta la vita sensitiva,
in una catalessi, in quella specie di morte ben nota ai clinici de grande isterismo”.
Nell’Imperio, mediante l’iterazione legno…legno, fredda…fredda, l’immagine è affidata alla comparazione oggettuale.
Oggetto è la fanciulla per Consalvo che non vuole dare a lei la gioia del piacere, ma esercitare su di lei il trionfo del
potere. Come Ermanno, può possedere solo “un corpo senz’anima”. È sconfitto esemplarmente.
Così cade il sipario sul romanzo di Consalvo (una battuta successiva dice che è costretto alle dimissioni dalle sommosse
popolari, dai tumulti di Milano 1898). L’autore chiude i conti con Antonino di San Giuliano.
In una biografia, secondo lo statuto del genere, l’autore e il narratore sono legati da una relazione d’identità; ma il
personaggio reale, che sta fuori dal testo, si pone come modello, referente a cui il personaggio del racconto deve
somigliare. A chi deve somigliare Consalvo? Se si esclude l’ipotesi autobiografica (Consalvo = De Roberto)
per l’inconsistenza del nesso tra le due vicende personali e perché l’avversione dell’autore per il suo personaggio è tanto
smaccata che, in , avrebbe sfiorato il sadomasochismo, resta l’ipotesi generalmente accettata di un’identificazione
autobiografica: Consalvo-Aantonino di San Giuliano. Discendente da nobile famiglia catanese, il Marchese di San
Giuliano (1852-1914) diventa consigliere comunale (1876), Sindaco (1877), deputato per la XIV legislatura (1882),
sottosegretario all’Agricoltura, Industria e Commercio nel primo ministero Giolitti (1892-1893), Ministro delle Poste e
telegrafi nel ministero Pelloux (1898). Ministro degli Esteri (1905-1906 / 1910-morte): una carriera rapida e brillante
e – secondo gli storici - dignitosa, incisiva particolarmente nelle scelte della politica estera e coloniale (diplomatica).
L’Università di Oxford gli conferisce la laurea in diritto honoris causa (1909),
quando il lavoro derobertiano sull’Imperio è più intenso e quando si rivela la previsione maligna del “Don Chisciotte”
(1882), ed inverosimile la rassomiglianza del presunto modello biografico.
Anche se il clima politico dell’età giolittiana, di cui l’autore cerca le impressioni nel soggiorno romano,
non è moralmente più sano di quello dell’epoca depretisiana e crispiana, il tempo dell’avventura per l’on. Consalvo può
apparire ormai inutile, inattuale e senza significato la biografia in negativo di un personaggio che storicamente emerge
in positivo. Ma De Roberto lo assume come traccia – sino al 1898 – per l’eroe negativo dei Vicerè e dell’Imperio al
quale, non solo fa ripercorrere la scalata dell’amministrazione, al Parlamento e al governo, ma da una rassomiglianza al
modello persino nei dettagli. Secondo un suo biografo, il marchese Antonino Paternò Castello di San Giuliano, in
quell’ambiente patrizio che quasi disdegna la sapienza e gli studi come un “disonor del blasone” rappresenta una
confortevole eccezione; è “rampollo non degenere che avrebbe rafforzato tutti i tronchi di una stirpe”;
non ambizioni le sue, ma aspirazioni legittimate dagli studi giovanili; “sulle testimonianze ineccepibili di fidefacenti
auricolari e alla stregua dei resoconti dei giornali locali del tempo” si attesta il successo dei primi discorsi
del “giovane e simpatico oratore” (G. Policastro, Un uomo di Stato. Il Marchese di San Giuliano, Puccini, Ancona, 1912).
In De Roberto si è agli antipodi da una simile apologia e le medesime qualità elogiate dal biografo sono rovesciate
come elementi di accusa e occasioni di ironia: Discorso politico tenuto all’Arena di Pacini domenica 3/9/1882,
per presentare la propria candidatura, da cui ha tratto lo spunto per il Meeting elettorale di Consalvo Uzeda (8/10/82)
nella palestra ginnastica (ex convento dei PP. Benedettini). Il trasferimento dell’ambiente si colloca bene nella struttura
del romanzo perché consente di stabilire una simmetria tra il noviziato monastico e quello politico del protagonista,
che si compie nel ricordo (e nel ripudio) del primo, “cittadella dell’ignavia, del privilegio, dell’oscurantismo teologico”
(p. 1082). Si noti che il maestro di cerimonia del Comizio democratico è lo stesso Baldassarre che vent’anni prima
ordina “l’aristocratico cerimoniale del funerali della vecchia principessa” (p. 1078):
figura emblematica posta al principio e alla fine del romanzo, per segnalare la trasformazione della servitù.
La trasposizione incide anche sulla sostanza del discorso perché De Roberto ne realizza un montaggio parodistico
per mostrare l’eterogeneità della cultura politica dell’oratore e i suoi effetti sull’uditorio.
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aristocratica (La Duchessa di Leyra), nell’Imperio quello dell’ambizione parlamentare ,
nei Vicerè la fantasmagoria della lotta per un’esistenza più alta.
L’idea di rappresentare il “gran grottesco umano”, di “cogliere il lato drammatico o ridicolo o
comico di tutte le fisionomie sociali, ognuna colla sua caratteristica”, annunciata a Salvatore Paola
Verdura (1878) non è ancora tramontata nelle intenzioni e nelle facoltà creative di Verga.
“Ti scrivo con l’inchiostro del vecchio, il quale mi ha lasciato il suo calamaio,
partendo oggi [16 luglio 1891] per Tabiano, dove va a fare una quindicina di bagni”.
Nella corrispondenza tra De Roberto e Di Giorgi, tra le più fertili di riflessioni e notizie per quel
Interviene tra le righe del discorso del suo personaggio, per commentarlo criticamente e sottolinearne la falsificazione
della verità negli aneddoti e la volontà di dare spettacolo. Sul “Don Chisciotte (3/9/1882) pubblica pseudo-bozze
nelle quali l’intento caricaturale è evidente e sul numero del 10/9 scrive: “Dopo tutto, il nostro Niniì non se l’è cavava
male. Ha navigato fra due acque, con abilità, per non urtare negli scogli che gl’insidiavano la vita”.
L’esistenza di opposti schieramenti municipali, il sospetto degli interessi privati in qualche affare,
l’ostilità all’Associazione progressista che ha scelto la linea dei mutui finanziari e dell’industrializzazione pongono
De Roberto contro Di San Giuliano: “Ingegno mediocre, egli si serve di tutti per arrivare a tutto
e non sa che queste batracomiomachie politiche in cui egli vive e vince finiranno, come hanno già cominciato,
collo sciuparlo e col perderlo” (“Don Chisciotte”, 12 marzo 1882).
L’onorevole risente ancora l’eco degli applausi e dell’ “entusiasmo indescrivibile” che hanno accolto il suo comizio ai
Benedettini e la successiva elezione a conclusione dei Vicerè, quando esordisce a Montecitorio in un momento delicato
del dibatto sulla fiducia al governo: nell’invenzione romanzesca dell’Imperio l’autore verifica questa previsione,
perché le parole del suo personaggio sono sommerse in un diluvio di “suoni incomposti, sibili, latrati, miagolii, nitriti”
provenienti dall’aula e dalla tribuna stampa, dove i cronisti esasperati “grugnivano, bubilavano, crocidavano, cantavano
la ritirata. Tra le due opere nessuna soluzione di continuità, ma una puntuale rispondenza rinsaldata con riepiloghi delle
vicende anteriori, per costruire il romanzo di Consalvo nel raccordo tra I Vicerè e L’Imperio.
L’idea di quest’ultima opera è coeva alla stesura dell’altra se, mentre discute ancora dell’Illusione e annuncia che I
Vicerè cominciavano a viceregnare, pensa a un “futuro romanzo sull’Italia politica contemporanea” (Di Giorgi, 15/991)
21 Il concetto di razza domina e sigla il disegno dell’opera completa.
Con l’aggettivo in funzione di attributo per esprimere il senso di un’antica forma maledetta;
non razza vecchia, con aggettivo in funzione di predicato, che avrebbe corrisposto all’intenzione dell’autore: […]
intenzione non conseguita perché in Consalvo la razza conserva e rinnova il primato.
Per Ippolito Taine la “razza” è costituita da disposizioni innate ed ereditarie – una condanna ancestrale,
una fatale remora al bene [“le pesche non si innestano sull’olivo” constata amaramente Don Gesualdo,
dinanzi alle ritrosie della moglie; Zola prevede per Etienne Lantiere, personaggio principale di Germinal,
una “hérédité de l’ivrognerie se tournant en folie omicide” C. Becker, Emile Zola. La fabrique de Germinal.
Dossier préparatoire de l’oeuvre, Sedes, Paris 1986] – che l’uomo porta con sé dalla nascita che l’uomo porta con sé
alla nascita e che ordinariamente sono congiunte a differenze marcate nel temperamento e nella struttura fisica del
corpo. De Roberto non va oltre questa analisi scientifica, che gli basta per creare un centro di interesse costante,
uno schema definitorio o “un ideologema, una funzione comune che collega una
struttura concreta una (il romanzo) alle altre strutture (il discorso della scienza) in uno spazio intertestuale”
(J. Kristeva, Materia e senso. Pratiche significanti e teoria del linguaggio, trad. it. B. Bellotto-D. De Agostini, Einaudi,
Torino 1980). Il ritratto fisico della razza è dettagliato, secondo una certa percezione delle leggi di Mendel sulla
dominanza, sulla digiunzione, sull’indipendenza dei caratteri, leggi che nell’ultimo decennio dell’Ottocento
non sono ancora divulgate e riscoperte. Secondo De Roberto, nella famiglia Uzeda-Francalanza,
sulla scorta della ritrattistica del passato e dell’osservazione del presente, si possono distinguere due tipi [vedi testo].
La continuazione della razza non si affida solo all’elemento genetico, ma anche all’elemento storico cioè -
come donna Ferdinanda e don Eugenio hanno ben impresso nella mente del ragazzo Consalvo,
leggendo e rileggendo il Teatro genealogico di Sicilia di Mugnòs – alle gesta degli Uzeda,
al loro “secolare sforzo di afferrare e mantenere la fortuna” (p. 578).
Consalvo, da buon scolaro, si richiama a questo testo sacro nell’ultima pagina dei Vicerè
per giustificare il suo programma dinanzi alla zia: “La storia è una monotona ripetizione. Gli uomini sono stati, sono e
saranno sempre gli stessi […]. Il nostro dovere, invece di disprezzare le nuove leggi