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Quando viene raggiunto il luogo della rappresentazione inizia la danza dello shishi che attraverso il battito dei piedi ha
il potere di purificare, placare gli spiriti maligni e di far posare l’energia degli spiriti e divinità nel luogo dello
spettacolo. Dopo la danza di Goō e Kongo si avvicenda la danza del Karura, uccello magico fantastico che si ciba di
serpenti. Segue poi l’azione in cui il Konron cerca di sedurre con violenza e atti osceni una donna ma viene
sconfitto dal Rikishi, simbolizzando la condanna della sessualità violenta. La scena comico di Suiko, sovrano
ubriaco, solleva una spirito critico anche nei confronti dei potenti, mentre la devozione del vecchio Taiko verso i
Buddha manifesta il rispetto e la reverenza verso la religione buddhista.
Le rappresentazioni del gigaku continuano anche in periodo Heian ma poi lentamente decadono soppiantate dal
bugaku Shōmyō
In epoca Nara inizia ad essere importato direttamente il buddhismo cinese e anche le cerimonie sacre iniziano a
essere riordinate con frequenti funzioni o eventi religiosi. La più consistente di queste celebrazioni risale al 752 in
occasione del culto per l’apertura degli occhi del grande Buddha del Todaiji, in cui si attesta la presenza di un canto
monodico/polifonico per voci maschili senza musica strumentale, che in Cina viene ad adattarsi a ritmi, toni e
letture in cinese dei sutra e che n take forma deve essere stata trasposto in Giappone sotto il nome di Shomyuo.
Tuttavia, con le trasformazioni conseguenti al trasferimento della capitale da Nara alla nuova sede imperiale di Heian
a Kyoto, si vede suo declino. VI sarà una sua rinascita con l’affluire di nuove correnti del buddhismo, come il Tendai
e lo Shingon, che daranno un nuovo impulso allo shomyo.
Dalla fine del periodo Heian agli inizi del Kamakura si ha un’ampia trasformazione dello shomyo, in quanto sorgono
nuove scuole e nuove correnti buddhiste di matrice autoctona.
I brani dello shomyo si distinguono a seconda delle scuole, con la conseguente variazione dei sutra o testi canonici.
In generale i brani sono concepiti e intonati con le seguenti destinazioni: diffusione degli insegnamenti buddhisti,
adorazione dei Buddha, in quanto culto, come preghiere o voti o come penitenza. In Giappone prevale l’aspetto
estetico-musicale, nella divisione ta melodie incasinate su scala ryo o ritsu o su scala intermedia.
Un altro elemento peculiari e è il ritmo che nello shomyo si fonda sulla ripetizione di battute e misure regolari, forse
indotta per facilitarne l’abbinamento con la musica strumentale orchestrale del gagaku.
Gagaku
Il gagaku (musica elegante, raffinata) si fonda sul sistema Ritsuryo, consolidatosi a partire dal 701, in cui i brani
danzati introdotti dal continente e musiche e danza autoctone, legate a cerimonie e riti shinto vengono a rientrare
sotto la soprintendenza del Gagakuryo (Dipartimento delle musiche di corte), nel quale trovano posto musici di varie
regioni e paesi.
Esso veniva eseguito come musica di corte della società aristocratica e scandisce gli eventi stagionali pubblici e pri-
vati che si svolgono nella corte imperiale e presso santuari shinto e templi buddhisti più illustri. Rappresenta uno dei
pochi esempio di “musica orchestrale” e ebbe il suo culmine nell’epoca Heian, come testimoniato nel Genji Monoga-
tari.
Dopo breve viene varato anche l’Outadokoro che avrebbe curato canzoni e danze destinati a riti e cerimonie e, con
la cessazione delle missioni verso la Cina nel 894, le importazione verranno interrotte. Inizia così na fase di trasfor-
mazione e rielaborazione giapponese del repertorio. Si ha innanzitutto una distinzione in due rami distinti: saho (dire-
zione sinistra) che comprende gli accompagnamenti di musica Tang di derivazione cinese, con sei tipi di tonalità e
dieci tipo di ritmi, e uho (direzione destra) che include invece i brani di musica Koma di ascendenza coreana, che
presenta tre tonalità e tre varietà di ritmo. Si distinguono anche danze della sinistra e danze della destra. Le prime
costeggiano le melodie, le seconde, seguendo invece il ritmo, sono dissimili anche per movenze e modelli esecutivi
delle danze, per costumi e maschere. I danzatori sono specializzati ed esclusivi di sinistra o di destra.
La struttura della danza di norma si compone di quattro momenti: preludio musicale; entrata in scena dei danzatori;
esecuzione del brano coreutica; uscita di scena dei danzatori. Le danze possono essere in assolo o per la propen-
sione alla simmetrica in numero pari. Esse possono essere di stile hiramai, lente e solenni, o di stile hashirimai, più
animate. In base anche agli attrezzi usati nella coreografia, si distinguono anche in danze dei letterati, eleganti e
danze di guerrieri, eroiche. Vi sono anche danze di fanciulli, a favore dei defunti e si hanno testimonianze anche di
danze un tempo eseguite da donne. I costumi sono in prevalenze di tonalità rossa per la sinistra e verde-blu per la
destra. A questi si uniscono una molteplicità di maschere, copricapi, calzature e strumenti vari.
Vengono anche riordinati i canti e danze destinati a riti e cerimonie a cui si aggiungono due nuovi genere amati
dall’aristocrazia: i saibara e i roei. I primi sono un genere vocale in cui parole poetiche tratte da canzoni popolari o
fanciullesche vengono scandite a ritmo regolare secondo i due modi musicali ritsu e ryo, con strumentalizzazione più
ricche e variata (strumenti a corda, fiato e battito dei legni). Il secondo sono canti non scanditi in ritmo regolare, in
cui ogni sillaba dei versi in cinese viene a lungo modulata in un canto con assonanza anche con lo shomyo della li-
turgia buddhista. Anche i ruoli dei musici vengono via via ricoperti da musici professionisti.
Le dinastie familiari specializzate nei rispettivi strumenti musicale si consolidano: la tradizione di saibara, roei, biwa
e so diventa prerogativa di famigli dell’aristocrazia, mentre kagurauta, strumenti d’orchestra, danza ecc. sono affissi
a musici di famiglie jige, ossia dei ranghi di corte più bassi. E sono proprio quest’ultimi che hanno garantito la tradi-
zione del gagaku in epoche successive.
Sangaku e Sarugaku
Dal continente arriva in Giappone anche il sangaku, che designa un insieme composito di arti dello spettacolo intro-
dotto dalla Cina Tang in epoca Nara che fiorisce fino all’epoca Kamakura. Assume poi la denominazione di saruga-
ku a partire dalla metà dell’epoca Heian. Quest’ultimo prosegue sulla traiettoria del sangaku, eseguito di norma nel
kagura, nelle festività di templi e santuari, fino al periodo Kamakura secondo le sue linee creative: circo multicolore,
acrobatismo, funambolismo, destrezza, arti magico-illusionistiche, manipolazione die burattini, danza, e arti mimiche,
ma in epoca Heian sembra tingersi di più forti tinte comico.umoristiche. Da qui si dirameranno due tralci: quello di
un dramma danzato e cantato nel no, e di un teatro di dialoghi dal tono umoristico nel kyogen, mentre la manipola-
zione dei burattini congluirà in epoca Tokugawa nel teatro dei burattini.
Le compagnie di sarugaku prima di interpretare i drammi no, verso la fine del periodo Heinz, si costituiscono al fine
di eseguire l’okina sarugaku, ossia danze per riti shinto presso i vari siti sacri del territorio. La danza Okina oggi è
un brano cerimoniale che viene eseguito in occasioni augurali, ma essa risale a una forma scenica antecedente, il
Jushi, nella quale un individuo si incaricava delle parti più esoteriche presso i grandi complessi buddhisti, i quali prati-
cavano formule magiche per affrontare e allontanare gli spiriti maligni, attraverso l’uso della spada, un bastone o al-
tro. Per questo motivo l’Okina ha un forte valore propiziatorio ed è considerata sacra.
Nei grandi complessi templari buddhisti dall’epoca Heinz all’epoca medievale in conclusione di cerimonie o funzioni
si tenevano dei grandi conviti-incontri di spettacoli il cui nome, ennen, ha il significato augurale di eternità. I vari al-
lievi e monaci si esibivano in questi spettacoli, presto affiancati o sostituiti da artisti professionisti del sarugaku. La
funzione era quella di propiziare prosperità, fortuna e longevità per tutti i partecipanti.
In epoca Heian il termine furyu designa una bellezza elegante e ornata, decorazioni, addobbi e apparati brillanti e fa-
stosi. In occasione delle festività di esorcismo delle divinità protettrici da epidemie e di pacificazione degli spiriti vio-
lenti era fiorita l’usanza di abbigliarsi in costumi splendidi e sgargianti, e sfilare per le vie della città ballando in ma-
niera collettiva al ritmo di flauti e percussioni. Il fine è quello di festeggiare adeguatamente le temibili divinità, intratte-
nerle per tutta la notte e poi, alla fine, abbandonare nei fiumi o bruciare gli effimeri apparati, costumi e decori.
Il Nō
Nel 1375 Kan’ami Kiyotsugu, attore di una compagnia di sarugaku di Yamato, esegue assieme al figlio per la prima
volta in presenza dello shogun uno spettacolo di No al tempio di Kyoto. Lo shogun rimane affascinato e li prende
sotto la propria protezione. Grazie a questi due artisi fiorisce in forma ocmpiuta quell’arte che oggi è chiamato No
(artificio).
Chiamato sarugaku o sarugaku no No sino a tutto il periodo Tokugawa, solo in epoca moderna (Meiji) è stato deno-
minato nogaku, a comprendere anche il kyogen. Entrambi risalgono al sarugaku e all’interno di questo hanno svilup-
pato percorsi differenti e paralleli.
I meriti di Kan’ami sono di aver introdotto e aggiunto al sarugaku di Yamato la peculiarità di canto e danza del saru-
gaku di Omi e del dengaku. La sua eredità viene continuata da Zeami, che fa del No un teatro di poesia, danza, mu-
sica di perfetto equilibrio. Egli è autore di vari trattati sulla pratica dell’autore che sono tuttora dei riferimenti.
La struttura e l’estetica del no, il progetto e l’idea di teatro si trovano tutti nei suoi trattati. La sua teoria è incentrata
su alcuni concetti basilari. Primo fra tutti è il concetto di “fiore”, metafora dell’emozione che l’attore del no offre al
pubblico, il fascino stesso dell’attore. Il “fiore” è l’emozione suscitata nello spettatore attraverso l’interesse. Come il
fiore muta con il passare delle stagioni, così il No e l’attore non devono sostare ma mutare col tempo, fondamento
stesso del fascino. Zeami indica il percorso di addestramento, gli accorgimenti, le scelte di repertorio, le soluzioni
sceniche, tutti gli artifici che l’attore deve compiere per continuare a suscitare l’interesse del pubblico. Nasce così la
distinzione tra jibun no hana, il fiore del momento, legato al fascino di un attimo prodotto dall’attore in maniera spon-
tanea; e il makoto no hana, il fiore autentico non soggetto allo scorrere del tempo, che riesce a rifiorire con rinnova-
to incanto, superando i mutamenti e i limiti dell’et