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SEMEMA
Il semema è definito come il significato espresso da un lessema. In realtà non si tratta di una vera
e propria unità di significato, in quanto ogni semema a sua volta è scomponibile in vari tratti
semantici o semi, inteso come plurale di sema. L'esempio concreto che viene fatto negli studi di
lessicologia semantica è quello di sedia.
Se noi prendiamo il lessema sedia, che semema corrisponde ad essa? E' un semema che in realtà
comprende diversi tratti e segni perché se io voglio spiegare questo significato dico: serve per
sedersi (e questo è un primo tratto), per una sola persona, con spalliera ecc.. Tutti questi sono vari
semi, vari tratti di questo significato. Quando dico questo, faccio riferimento al tipo più comune di
sedia, una sorta di prototipo che noi abbiamo anche nel nostro immaginario, perché poi nella realtà
non abbiamo solo quel prototipo di sedia perché ci sono vari modelli di sedia senza spalliere per
esempio. Però, quando si definisce una parola lessema pensiamo al prototipo, al caso più
generale e comune.
In realtà non tutte le sedie corrispondono al nostro immaginario, ma per essere definite sedie
devono avere qualche tratto che le incaselli in quella categoria.
Ci sono varie parole che appartengono allo stesso campo semantico, che potremmo definire
"sedie e dintorni" come: Per sedersi Per una sola Con spalliera Con imbottitura
persona
Sedia X X X
Poltrona X X X X
Divano X X X
Sgabello X X
Le parole sulla sinistra appartengono allo stesso campo semantico ma sono lessemi diversi.
Questo è ciò che fanno i lessicografi perché per definire una parola in senso completo devo sapere
quali sono i suoi tratti semantici.
8. LA PAROLA
"Parola" è qualcosa che conosciamo fin da piccoli e che siamo abituati ad usare; se dobbiamo
dare una definire scientifica della parola "parola" è più difficile.
La parola è un'unità linguistica che ha un significato autonomo; se pensiamo alla parola detta,
pronunciata è una sequenza di fonemi che possiamo isolare all'interno di una frase; nel testo
scritto è riconoscibile perché è preceduta è seguita da uno spazio bianco (questo non è del tutto
esatto quando scriviamo una parola con l'apostrofo perché non lasciamo uno spazio bianco, così
come con i segni di punteggiatura); se pensiamo ad una parola generalmente pensiamo ad una
parola piena, cioè una parola semanticamente completa, come per esempio i sostantivi.
Sono parole anche quelle grammaticali cioè quegli elementi che hanno una funzione sintattica
come gli articoli, le congiunzioni ecc.. Che da sole non sono autonome, perché le parole
grammaticali hanno bisogno di parole piene cui associarsi per costituire un discorso. Dal punto di
vista della frequenza, le parole grammaticali sono sempre quelle, non hanno un numero infinito e
sono anche le parole che utilizziamo più frequentemente, più spesso; mentre con estrema rapidità
emergono parole semanticamente piene, le parole grammaticali non si modificano così facilmente,
ma impiegano dei secoli per . Le parole grammaticali possono essere definite anche come parole
vuote.
Parola s.f
[av. 1250; lat. tardo parabola(m) propr. "parabola"; cfr. ebr...]
1. Unità distinguibile nelle frasi che usiamo per parlare e scrivere / la realizzazione fonetica di tale
unità, l'unità grafica corrispondente
2. Estens.. Con significato generico spec. in usi iperbolici, frase, discorso
3. Estens. Spec. al plu. Ciò che si dice, in contrapposizione a ciò che si fa
4. Consiglio, insegnamento
5. Facoltà naturale di parlare
6. Modo, capacità di esprimersi
Parabola s.f.
[av. 1342; dal latino tardo parabola(m), dal gr. ..... V. Anche parola]
1. OB nell'antichità classica, parallelo che si stabiliva per chiarire un argomento più difficile
accostandolo ad uno più chiaro e più noto
2.a FO estens. Ciascuno dei brevi racconti di cui si serviva Cristo per spiegare in modo chiaro, con
esempi tratti dalla vita di tutti i giorni, verità d fede o insegnamenti morali; l'insegnamento
contenuto in ciascuno di questi racconti
2.b LE racconto frutto di inversione ma verosimile, con scopi didattici e morali
Parola viene dal latino ecclesiastico "parabola(m)", che c'era anche nel latino classico salvo che
parabola(m) nel latino classico voleva dire similitudine, e questa voce latina a sua vola è venuta
fuori dal greco, che significava paragone.
Questo è stato possibile perché nel latino tardo il termine parabola(m) ha preso ad indicare
l'esempio, una storia, un episodio narrato da Gesù; con un progressivo mutamento parabola(m) ha
poi assunto il significato di parola di Gesù prima e poi di parola di chiunque; abbiamo quindi un
progressivo cambiamento di significato dallo specifico al generale.
Il termine italiano parola è diverso da parabola(m). I casi si questo tipo sono quelli in cui una parola
è arrivata fino a noi per tradizione popolare, cioè usata dalla gente, oralmente, passando di bocca
in bocca ha subito una deformazione sia nella forma che nel significato.
In italiano è rimasta anche la voce parabola, che è più vicina all'etimo ed è una forma dotta; di
solito queste forme sono trasmessa attraverso la forma scritta. Questo termine ha mantenuto il
significato più vicino a quello etimologico e infatti la utilizziamo per designare le parabole del
Vangelo, che erano dei paragoni che Gesù Cristo faceva per spiegare qualcosa.
Non è scontato che noi usiamo il termine parola attualmente perché in latino si usava la forma
verbum. In questo caso è stata presa una parola che nel latino classico aveva il significato di
similitudine ed esempio e ne è venuta fuori una parola con il senso che oggi; quel verbum però
non è scomparso del tutto, perché in italiano quando noi diciamo verbo, che viene dal latino
verbum, pensiamo al significato più comune che è quello della grammatica, ovvero di una parte
ben precisa del discorso; però una traccia è rimasta perché il termine italiano "verbo", serbando
memoria della sua origine, può anche significare parola (per es. "non proferire verbo!"). Inoltre ci
rimane l'aggettivo verbale, che usiamo per qualcosa che si manifesta attraverso le parole, ovvero il
linguaggio verbale, quello delle parole e non delle immagini appunto.
In generale però è stata prevalente la forma parola, che è collegata anche al verbo parlare e che
presuppone un "parabolare", ovvero un derivato sempre del termine parabola; in latino invece il
verbo che corrispondeva all'attuale parlare era "loqui" e anche questo ha lasciato delle tracce (per
es. una persona che parla molto viene definita loquace)
In un manuale intitolato "le parole dell'italiano" di Carla Marello viene tracciato un identikit della
parola italiana tipica: le parole italiane in genere in media sono più lunghe di quelle di altre lingue
europee soprattutto se andiamo a considerare le possibili forme flesse invece che le forme base;
se noi pensiamo alla forma base studente notiamo che la forma femminile studentessa è più lunga.
L'altra cosa è che al di là della lunghezza oggettiva (contano le lettere si una singola parola), le
parole italiane suonano piuttosto lunghe perché noi pronunciamo tutte le lettere che la
compongono. Inoltre, nelle parole italiane l'accento può cadere in diverse posizioni e per questo la
lingua viene percepita come un canto, con una certa musicalità. Generalmente le parole italiane
hanno l'accento sulla penultima sillaba (le cosiddette parole piane), ma abbiamo anche parole
tronche (dove l'accento cade sull'ultima sillaba), abbiamo anche abbastanza parole sdrucciole (dve
l'accento cade sulla terzultima, come ultimo), posso trovare anche qualche parola bisdrucciola
(come abitano, dove l'accento cade sulla quartultima) e trisdrucciola (come occupatene, dove
l'accento cade sulla quintultima) ma sono abbastanza rare.
Le parole più frequenti sono quelle composte da quattro sillabe (come studentesse), poi abbiamo
quelle da cinque sillabe (come vocabolario), poi le parole con tre sillabe (come parola), poi con sei
sillabe (come lessicologia), poi quelle con sette sillabe (come imprevedibilità), quelle di otto sillabe
(come incondizionatamente), poi con nove sillabe (come inteligentissimamente).
Trattato della lingua Toscana del XVII secolo (1643)
Benedetto Buonmattei, Della Lingua Toscana", a cura di Michele Colombo, Firenze presso
l'Accademia, 2007
Della lingua Toscana VII: parola di che sia formata. Cap V
La parola è formata di sillabe [...]
D'una lettera: E
D'una sillaba: STO'
Di due: ERA
Di tre: ERANO
Di quattro: SAREBBONO
Di cinque: PRECIPITOSO
Di sei: PRECIPITEREBBE
Di sette: PRECIPITEREBBONO
Di otto: PRINCIPALISSIMAMENTE
Di nove: MISTERIOSISSIMAMENTE
Di dieci: INCONVENIENTISSIMAMENTE
Di undici: MISERICORDIOSISSIMAMENTE
È ben vero che queste così lunghe si trovano usate assai parcamente, ma noi non diamo in questo
capitolo il modo dell'uso le parole, perché noi cerchiamo solo di quante sillabe si possano far le
parole, né credo che alcuno sia mai per negare che MISERICORDIOSISSIMAMENTE sia parola
toscana.
Quest'opera è del 1600 e al suo interno, nel capitolo V, si spiega che la parola è formata da sillabe
e se ne danno degli esempi partendo da parole formate da una sola lettera fino ad arrivare a
parole composte da 11 sillabe
Di solito però quando si fa un esempio di una parola da 11 sillabe si usa il termine
precipitevolissimevolmente. Precipitevolissimevolmente
"Pre-ci-pi-te-vo-lis-si-me-vol-men-te", avverbio scherzoso coniato nel Seicento e considerato la più
lunga parola italiana: prescindendo, beninteso, dalla nomenclatura chimica e dai numerali.
9. LE LOCUZIONI
Quando noi parliamo di parole ci interessano anche le locuzioni, ovvero quelle unità che
esprimono un significato attraverso due o più parole.
Le locuzioni possono essere di diverso tipo è una prima divisione può essere fatta proprio sul
valore grammaticale, andando a vedere da cosa è formata una locuzione
LOCUZIONI CORRISPONDENTI A ESEMPI
Sostantivi o Un sostantivo o nome Colpi di testa, sedia a dondolo,
nominali anima gemella
Aggettivali Un aggettivo Bagnato fradicio, di polso, in
gamba
Verbali Un verbo Essere sul punto di, mandare
giù
Avverbiali Un avverbio Di solito, alla larga, a più non