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Procedimento di esecuzione e provvedimenti adottati dal Pubblico Ministero
Posto che i provvedimenti esecutivi sono adottati direttamente dal Pubblico Ministero presso tale giudice, il procedimento di esecuzione ha natura contenziosa. Ha ad oggetto la contestazione dell'attività esecutiva del Pubblico Ministero, allorché esso è promosso dall'interessato o dal suo difensore.
L'interessato può essere lo stesso condannato o un terzo, che ad esempio ha subito la confisca di un bene di sua proprietà. Lo stesso Pubblico Ministero richiede al giudice dell'esecuzione talune decisioni, che allo stato paralizzano le sue capacità di esecuzione.
Il Pubblico Ministero, l'interessato o il suo difensore, ai sensi dell'articolo 666 cpp, possono proporre l'incidente di esecuzione per risolvere le questioni attinenti all'esecuzione disciplinate negli articoli 667-676. Se la parte erroneamente, avverso il provvedimento di esecuzione di una sentenza penale proponere ricorso per Cassazione.
Invece che incidente di esecuzione, secondo parte della giurisprudenza il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Secondo altro orientamento, il ricorso per Cassazione va convertito in incidente di esecuzione e gli atti vanno rimessi al giudice dell'esecuzione ai sensi dell'articolo 666 cpp.
L'accertamento dell'identità fisica del detenuto, con possibilità di liberazione, anche immediata, quando ci si accorga che la persona arrestata non sia quella che debba scontare la pena (articolo 667 cpp). La decisione di liberazione o meno, in tal caso, è adottata con ordinanza, impugnabile, con opposizione innanzi allo stesso giudice, entro 15 giorni a cura del Pubblico Ministero o dell'interessato o suo difensore.
La correzione grafica delle generalità dell'imputato condannato (articolo 668).
La risoluzione del concorso di una pluralità di sentenze, tutte esecutive, ai danni della stessa persona, ma per lo stesso
fatto (articolo 669).
L'applicazione dell'amnistia o dell'indulto (articolo 672). L'indulto si applica anche alle persone condannate all'estero e trasferite in Italia per l'espiazione della pena con la procedura stabilita dalla Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983 sul trasferimento delle persone condannate, ratificata e resa esecutiva con legge 25 luglio 1988 n. 334.
L'applicazione di una nuova legge o di una sentenza costituzionale con abrogatio criminis (articolo 673). In relazione alle recenti leggi di depenalizzazione, le Sezioni Unite hanno stabilito il principio secondo il quale, in caso di condanna o decreto irrevocabili, relativi ad un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile ai sensi del decreto legislativo 15 gennaio 2016 n. 7, il giudice dell'esecuzione revoca il provvedimento perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, lasciando ferme le disposizioni ed i capi che
concernono gli interessi civili, atteso che il venir meno della condanna non può incidere sulla cristallizzazione del giudicato riguardo ai capi civili della sentenza. La giurisprudenza ha precisato che il giudice dell'esecuzione può revocare, ai sensi dell'articolo 673 cpp, una sentenza di condanna pronunciata dopo l'entrata in vigore della legge che ha abrogato la norma incriminatrice, allorché l'evenienza di abolitio criminis non sia stata rilevata dal giudice dell'esecuzione. Si è anche precisato che la revocabilità della sentenza deve invece essere esclusa nella diversa ipotesi in cui, in assenza di interventi del legislatore, si verifichi un mutamento dell'interpretazione giurisprudenziale i una disposizione rimasta invariata, in quanto tale mutamento non determina alcun effetto abrogativo della disposizione interpretativa.
L'inesistenza o la non esecutività del presunto titolo esecutivo. Secondo un
Recentemente, secondo l'orientamento della Suprema Corte, il giudice dell'esecuzione deve dichiarare, a norma dell'articolo 670 cpp, l'ineseguibilità del giudicato quando la Corte europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali abbia accertato che la condanna è stata pronunciata per effetto della violazione delle regole sul processo equo sancite dall'articolo 6 della Convenzione europea e abbia riconosciuto il diritto del condannato alla rinnovazione del giudizio, anche se il legislatore abbia omesso di introdurre nell'ordinamento il mezzo idoneo ad instaurare il nuovo processo. La pronuncia trae spunto dal caso Dorigo di cui alla sentenza della Corte EDU del 9 settembre 1998.
Appartengono alla competenza del giudice dell'esecuzione, e non del giudice tributario, anche le questioni afferenti alla validità dell'invito al pagamento delle spese di giustizia. Le questioni relative al titolo esecutivo
posizione delle norme incriminatrici. Pertanto, nel caso di concorso tra un delitto e una contravvenzione, il delitto sarà sempre considerato la violazione più grave, indipendentemente dalla gravità delle sanzioni previste, poiché il legislatore attribuisce a tale reato un maggior valore di violazione dell'ordine sociale e conseguenze più rilevanti per le relative condanne. In base all'articolo 81, la pena base dovrà essere aumentata a causa della continuazione, e non potrà essere quella prevista per il reato considerato più grave, senza considerare la posizione delle norme incriminatrici.qualità dellasanzione edittalmente prevista per i reati satelliti. La giurisprudenza ha precisato che il giudicedell’esecuzione, in sede di applicazione della disciplina del reato continuato, non può quantificaregli aumenti di pena per i reati satellite in misura superiore a quelli fissati dal giudice dellacognizione con la sentenza irrevocabile di condanna. Nella determinazione della pena, è tenuto alrispetto, oltre che del criterio indicato dall’articolo 671 comma 2 cpp, anche del limite del triplodella pena stabilita per la violazione più grave previsto ai sensi dell’articolo 81 commi 1 e 2 cp. Lacontinuazione non è incompatibile con la commissione di reati permanenti, ma il giudice devevalutare volta per volta l’esistenza o meno di tutti gli indici rivelatori della sussistenza dell’unicitàdel disegno criminoso. In particolare, in materia di reato associativo la continuazione coi reati finedeve essere valutata.dal giudice di merito tramite una verifica puntuale del fatto che i sodali abbiano preventivamente individuato tali reati nelle loro linee essenziali prima dell'attuazione della condotta. La Corte costituzionale con sentenza 58/2018 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità dell'articolo 671 cpp, per contrasto con gli articoli 3 e 24 Costituzione, nella parte in cui non prevede, in caso di pluralità di condanne intervenute per il medesimo reato permanente, in relazione a distinte frazioni della condotta, il potere del giudice dell'esecuzione di determinare una pena unica, che tenga conto dell'intero fatto storico accertato nelle plurime sentenze irrevocabili, e di assumere le determinazioni conseguenti in tema di concessione o revoca della sospensione condizionale, ai sensi degli articoli 163 e 164 cp. Il quesito della costituzionalità sottoposto alla Corte evoca una tematica complessa e spigolosa: la difficoltà di coniugare laconfigurazione teorica del reato permanente, come reato unico a consumazione prolungata nel tempo, con una realtà giuridica che conosce ampiamente, e spesso esige, giudizi di cognizione frazionati su singoli segmenti temporali della condotta illecita. La non fondatezza è stata basata sulla considerazione che la giurisprudenza di legittimità consente interpretazioni della norma, alla luce del ne bis in idem di cui all'articolo 649 cpp ed all'articolo 671 cpp che consentono, attraverso l'utilizzo del diritto vivente, di superare i dubbi di costituzionalità della disposizione.
La declaratoria di falsità di documenti (articolo 675).
La pronuncia di altri provvedimenti in ordine all'estinzione del reato o della pena dopo la condanna, alla confisca ed altro (articolo 676).
Un caso particolare, ritenuto rientrante sotto la copertura dell'articolo 676, si ha quando l'imputato muore dopo la sentenza di primo grado, ma prima
della notifica dell'estratto della sentenza: in tal caso spetta al giudice che ha emesso la sentenza, ma in sede di esecuzione, dichiarare l'estinzione del reato.
Il procedimento di esecuzione da seguire allorché un incidente del tipo indicato viene sollevato segue lo schema del rito camerale, ma con una più accentuata garanzia dei diritti di difesa in considerazione dell'essenzialità degli interessi in discussione.
La Corte costituzionale, con sentenza 15 giugno 2015 n.109, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articoli 666 comma 3, 667 comma 4 e 676 cpp, nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati il procedimento di opposizione contro l'ordinanza in materia di applicazione della confisca si svolga davanti al giudice dell'esecuzione nelle forme dell'udienza pubblica.
Precedentemente già le sentenze n. 93/2018, 134/2014 e 97/2015, con le quali era stata dichiarata
L'illegittimità delle norme in materia, rispettivamente di procedimento di prevenzione, di procedimento per l'applicazione di misure di sicurezza e, da ultimo, di procedimento avanti il tribunale di sorveglianza nella parte in cui tali norme non consentivano limitatamente ai gradi di merito e su istanza degli interessati che i procedimenti in parola si svolgessero con le forme dell'udienza pubblica.
Il procedimento non è mai su iniziativa del giudice, essendo basato sulla richiesta di uno dei soggetti (Pubblico Ministero, difensore o interessato). Questi, nel rapporto processuale che così inizia, acquistano la qualità di parti, in quanto titolari dei contrapposti interessi sostanziali che nel processo si agitano.
La vocatio in ius avviene con provvedimento del giudice, notificato a tutte le parti; queste possono subito instaurare un contraddittorio scritto presentando memorie e documenti. La dialettica, però, è piena e completa.
La differenza del rito camerale ordinario, in cui Pubblico Ministero, difensore e interessato sono sentiti solo se compaiono, nel procedimento di esecuzione da un lato è necessaria la partecipazione all'udienza del Pubblico Ministero e del difensore, dall'altro l'interessato ha il diritto di essere sentito personalmente o tramite il suo difensore.