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SVOLGIMENTO
Le motivazioni sono riportate di seguito.
1. Tra i principali interessi per la geopolitica italiana rimane quello
dell’approvvigionamento energetico, vista la sua dipendenza da fonti esterne. L’Italia
risulta fortemente dipendente dagli approvvigionamenti esterni per ciò che concerne
l’energia, per una quantità che arriva a quasi l’87%. La vicinanza fisica con Paesi
ricchi di risorse petrolifere e gasifere sulla sponda Sud del Mediterraneo (figura n.1
Allegato A), ha allo stesso tempo costituito un elemento di vantaggio per Roma, nel
momento in cui il Paese ha dovuto elaborare la propria politica in materia. Circa il
50% delle fonti energetiche totali alla base dell’energia consumata in Italia è
importato da otto Paesi di questa regione. In particolar modo, l’Algeria , nonostante si
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tratti di un Paese i cui rapporti con l’Italia sono generalmente meno noti, proprio
l’Algeria rappresenta uno dei fulcri intorno al quale si manifesta l’interesse italiano.
L’Italia consuma circa 76 miliardi di metri cubi di gas naturale l’anno e, di questi, 66
sono importati da produttori esterni. Quasi 28 miliardi di metri cubi di gas naturale
sono importati proprio dall’Algeria: con tale quantità (circa il 42% di tutto il gas
naturale importato da Roma), Algeri è il primo esportatore di tale idrocarburo verso
l’Italia e, dopo la Russia, ne rappresenta il primo fornitore energetico in assoluto,
sommando gas e petrolio . Il rapporto italo-algerino è destinato, inoltre, a
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incrementare nei prossimi anni, tramite la realizzazione di un’altra grande opera
infrastrutturale nel settore energetico: il cosiddetto gasdotto GALSI (Gasdotto Algeria
Sardegna Italia), il quale trasporterà altri 8 miliardi di metri cubi di gas naturale
l’anno dall’Algeria all’Italia, tramite l’Isola sarda (figura n.2 Allegato A). La
consistenza dell’investimento congiunto, pari a circa 3 miliardi di euro, lascia
intendere quanto l’Italia ritenga necessario mantenere e sviluppare un rapporto stabile
con l’Algeria, in virtù di uno dei propri interessi nazionali e strategici più basilari:
2 L’Algeria è il nono produttore al mondo di gas naturale, con più di 80 miliardi di metri cubi l’anno, e il primo in
Africa. Con quasi 2 milioni di barili al giorno, è anche il quindicesimo produttore di petrolio al mondo e il secondo in
Africa, dietro la Nigeria. Dati: BP e Iea.
3 http://www.reporternuovo.it/2015/02/24/petrolio-e-gas-naturale-da-dove-e-quanto-importa-litalia/
l’approvvigionamento energetico. A ciò si aggiungono, in elenco, alcune
infrastrutture in fase di costruzione e di implementazione da parte di imprese italiane:
- linea ferroviaria Oued Tlelat-Tlemcen (Trans Magrheb) 56 viadotti e ponti
per un totale di 17.100 m, 160 opere idrauliche di protezione sia scatolari
che tubolari e 15 sottovia, tutti ricuciti con la viabilità esistente;
- centrale a ciclo aperto di Hassi Messaoud, costruita da Ansaldo Energia, la
quale fornirà 660 MW di potenza per un contratto del valore di circa 300
milioni di euro;
- miniacciaieria integrata per 2 milioni di tonnellate all’anno affidata alla
Danieli per un valore di 750 milioni di dollaro, infrastrutture escluse.
L’impianto impiegherà circa 1.000 persone all’interno tra ingegneri e tecnici
e altre 3.000 dall’esterno per servizi.
- la joint venture italiana tra Rizzani De Eccher e Ospedale San Raffaele si è
aggiudicata la più importante tra le quattro commesse bandite dal ministero
della Salute algerino per la costruzione e la gestione di grandi policlinici
universitari ad Algeri, per un valore di circa un miliardo di euro.
2. A differenza delle relazioni con l’Algeria, la Libia era l’attore con cui,
sulla sponda meridionale del Mare Nostrum, l’Italia era riuscita a tessere una rete di
relazioni e interessi tali da renderla un interlocutore privilegiato del regime del
Colonnello, fino al momento della sua caduta. Attualmente, la presenza e
l’espansione dello Stato Islamico in Libia appare strettamente legata a una
stabilizzazione del paese che diviene progressivamente sempre più difficile e
improbabile. Prova di ciò è una serie di attentati che dalla fine del regime militare
continuamo a minacciare l’area occidentale della regione e la stabilità governativa del
nuovo attore statale riconosciuto dalla Comunità Internazionale . Il crollo di molti
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Stati e apparati amministrativi conseguente a queste crisi agevola i trafficanti di esseri
umani: il tragitto attraverso il Sahara o per le rotte del Medio Oriente e l’imbarco
dalle coste mediterranee avvengono in assenza quasi totale di controlli; inoltre, i vari
gruppi che si disputano la signoria sui territori di passaggio utilizzano i migranti
come succosa e facile fonte di reddito. Il crollo della Libia subito dopo il
rovesciamento del dittatore Mu’ammar Gheddafi fa sì che il paese sia diventato lo
sbocco ideale per traffici illeciti di ogni tipo, e che i flussi migratori vi si concentrino,
favoriti per la particolare posizione che l’Italia ha all’interno del Bacino
mediterraneo, privilegiando la rotta su Lampedusa piuttosto che quelle dal Marocco o
dall’Algeria al sud della Spagna, o dalla Turchia alle isole greche.
3. Per quanto riguarda la Libia, lo Stato italiano rimane il primo partner
commerciale. Il legame ha retto nonostante mille turbolenze, con un interscambio
4 Per una breve cronologia vedasi Allegato B.
complessivo di quasi 11 miliardi di euro (calato del 50% dal 2008) e 1.569 aziende
italiane coinvolte in operazioni commerciali. Durante la dittatura del Colonnello e
dopo la sua caduta, gli italiani sono stati i benvenuti, anche se vi sono i primi segnali
di cedimento: nei primi sei mesi del 2014 l’export dell’Italia verso la Libia è stato
pari a 1,732 miliardi (-15,4%) e l’import a 3,054 miliardi (-58,6%). Complice la
guerra interna, sempre più imprenditori sono stati costretti a fare i bagagli per
problemi legati a sicurezza, pagamenti e approvvigionamento materiali, soprattutto
dopo la chiusura dell’ambasciata a Tripoli . Inoltre, sebbene la produzione petrolifera
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di ENI nell’area libica nel 2015 non abbia risentito di particolari contraccolpi,
raggiungendo il suo massimo potenziale (quasi 300mila barili estratti ogni giorno),
gli impianti petroliferi e il relativo personale sono stati in grado di lavorare in
sicurezza grazie per lo più ad accordi stretti con le milizie locali e ad una ben tessuta
trama politico-diplomatica che potrebbe costituire la base per assicurare all’Italia di
lavorare serenamente anche in futuro . Il maggiore investitore in Libia è l’ENI,
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presente sin dal 1959 con le società ENI OIL e ENI GAS ed altre del gruppo operanti
nel settore degli idrocarburi come Saipem, Snam Progetti; gli investimenti diretti
italiani, d’altro canto, si sono sempre concentrati in settori quali quello dell’edilizia,
della meccanica, della plastica, del turismo e delle infrastrutture portuali. Nel settore
tecnologico, le Autorità libiche hanno assegnato ad alcune aziende italiane progetti
settoriali d’informatizzazione della pubblica amministrazione locale: in questi
differenti ambiti, la parte italiana porterebbe il know-how e si farebbe carico della
rimanente quota di capitale .
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4. La Tunisia rappresenta, dal punto di vista cronologico, l’ultimo territorio
d’espansione delle forze jihadiste legate in Africa settentrionale. Il paese, fino alla
caduta di Ben ‘Ali nel 2011, era stato praticamente immune da manifestazioni
d’islamismo radicale e di salafismo di tipo jihadista. Dal 2012 e, con maggiore
evidenza, dal 2013, gruppi salafiti jihadisti sono apparsi anche in Tunisia, ponendo
una minaccia diretta alla stabilità e alla sicurezza del Paese . La situazione securitaria
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del paese è migliorata negli ultimi mesi ma non è del tutto pacificata per via della
presenza continua di sacche di bande armate che compiono azioni violente sotto il
falso slogan del jihad . In una simile situazione, dal punto di vista economico,
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5 http://www.linkiesta.it/aziende-italiane-libia
6 http://www.panorama.it/news/esteri/libia-leni-politica-dei-forni/
7 Scenari Geopolitici, Tullio D’Aponte, Anno Accademico 2013-2014, pag 159-160.
8 STEFANO M. TORELLI E ARTURO VARVELLI, L’Italia e la minaccia jihadista.Quale politica estera?, ISPI,
2015, pag Fuoco Edizioni, pag 63-68.
9 http://osservatorioiraq.it/analisieuromed
l’interscambio con l’Italia (che resta il secondo partner dopo la Francia, sia per le
esportazioni che per le importazioni), conferma il saldo positivo in favore di Roma:
come accade per gli altri rapporti commerciali dipanati a livello internazionale, anche
nelle relazioni economiche con lo Stivale risultano dominanti i settori dell’energia e
dei macchinari, con un simultaneo e buon piazzamento del tessile e abbigliamento.
L’imprenditoria italiana è presente con circa 1500 imprese sul territorio e queste
aziende impiegano circa 55.000 persone . Tra i noti gruppi industriali presenti in
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Tunisia vi sono BENETTON, il Gruppo Tessile MIROGLIO-GVB, il Gruppo
MARZOTTO, CUCIRINI, COLACEM, il Gruppo italiano SAFAS e le Fonderie
Fratelli Gervasoni. Grandi imprese italiane sono presenti anche nei settori
dell’energia (ENI, SNAM PROGETTI, TERNA, ANSALDO ENERGIA), del
trasporto (FIAT AUTO, FIAT IVECO, FIAT AVIO, PIAGGIO), della metallurgia
(ILVA MAGHREB), dei grandi lavori e delle opere di costruzione (TODINI,
ASTALDI, FERRETTI INTERNATIONAL, CARTA ISNARDO). ANSALDO
Energia si è recentemente aggiudicata la gara per la costruzione della centrale
elettrica di Sousse. Sono inoltre presenti CAI-ALITALIA, che assicura i collegamenti
aerei con tre voli quotidiani da e per l’Italia, nonché le società MESSINA, TARROS,
GRIMALDI, BONGIORNO srl, SIRIO, GERMANETTI, MARTINELLI,
FAGGIOLI, STC-SOCIETÀ TRASPORTI COMBINATI che gestiscono trasporti
marittimi ed intermodali di merci tra l’Italia e la Tunisia .
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5. La comunità tunisina in Italia è una delle più numerose, con più di
122.000 persone regolarmente registrate, secondo i dati Istat del 2014, mentre i
cittadini algerini sono poco meno di 30.000. Ovviamente, ciò non si traduce
automaticamente in una minaccia diretta all’Italia, ma allo stesso tempo la presenza
di una cospicua comunità tunisina rende potenzialmente l’Italia (dopo la Francia, il
secondo paese per presenza di tunisini all’estero) un obiettivo più facilmente
raggiungibile da eventuali foreign fighters tunisini (il cui numero è di per sé molto
alto) che volessero esportare il jih