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La disciplina del contratto a termine
In caso di difetto di queste ragioni (mancanza della forma scritta o della verifica di cause idonee all'assunzione a termine), il rapporto si considera a tempo indeterminato fin dalle origini. Nonostante ciò che viene stabilito nella direttiva europea, numerosi sono stati gli interventi dei legislatori nazionali sulla disciplina del contratto a termine, finalizzati quasi sempre a favorirne il ricorso.
Nel 2008 viene modificato il decreto 368 del 2001 e viene meno il carattere della temporaneità delle esigenze che prima legittimava il ricorso al contratto a termine, quindi, il datore può assumere anche se le ragioni di apposizione del termine si riferiscono all'ordinaria attività dell'impresa.
Nel 2012 viene introdotta la prima legislazione del contratto a termine a-causale, che non comporta l'obbligo di specificare il motivo dell'assunzione nell'ipotesi del primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore ai dodici.
mesi. Nel 2014 si arriva al consolidamento dell'acausalità: viene consentita l'apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato di durata non superiore a trentasei mesi e il numero complessivo di contratti a tempo determinato non può eccedere il limite del 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato. Perciò, la legittima apposizione del termine non è più connessa all'esistenza di determinate ragioni, ma al rispetto di limiti temporali e di limiti numerici. In caso di violazione di questi limiti: nel caso di violazione dei limiti temporali si giunge alla trasformazione in contratto a tempo indeterminato dalla data del superamento e non dell'inizio del rapporto di lavoro; nel caso di violazione del numero delle proroghe (al massimo cinque) si giunge alla trasformazione in contratto a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della proroga "illegittima"; nel caso di violazione dei limiti numerici si giunge alla trasformazione in contratto a tempo indeterminato dalla data di decorrenza del contratto a tempo determinato.limiti quantitativi si incorre in una sanzione amministrativa. I divieti nel ricorso al contratto a termine si verificano: - per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; - presso unità produttive nelle quali si sia proceduto a licenziamenti collettivi che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato; - presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario, che interessino i lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a termine; - da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi. Nel 2018 con il Decreto dignità (n. 87 del 2018), viene reintrodotto il sistema delle causali e si modificano le norme precedentemente stabilite: - fino a dodici mesi il contratto può essere casuale; - trascorsi i dodici mesi devono essere necessariamente presenti e specificate le limitazioni quantitative.causali previste dalla legge. Le causali riguardano: - esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori; - esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell'attività ordinaria. Ritorna, quindi, il carattere della temporaneità. Ma chi stabilisce quali incrementi siano significativi o meno? E in quale momento lo siano? Presumibilmente si ricorre a una valutazione ex ante, ovvero precedente all'assunzione. Per incrementi non programmabili si escludono tutti gli incrementi di attività che hanno una certa cadenza, come i picchi di attività stagionali, festività. Con il decreto viene limitato il numero delle proroghe massime, che passa a un limite di quattro e tutte le proroghe devono essere sorrette dalle causali, se comportano lo sfioramento o vengono effettuate dopo i 12 mesi di contratto di lavoro. Infine, il decreto incide anche sulladurata del contratto a termine, che viene ridotto a 24 mesi massimi, a cui fanno eccezione i contratti per attività stagionali.
la durata e l'articolazione temporale della prestazione: contratto di lavoro a tempo parziale o part-time.
Nel lavoro a tempo parziale la prestazione lavorativa è quantitativamente inferiore a quella dell'orario normale a tempo pieno determinata dalla legge o dai contratti collettivi.
Per orario normale a tempo pieno si intende un orario di 40 ore settimanali, che possono essere rivestite su base multi periodale di un mese, anno (fonte legale).
Secondo i contratti collettivi, alcuni settori dispongono di un orario minore di 40 ore (fonte negoziale).
L'obiettivo del part-time è quello di soddisfare l'interesse di alcune fasce di lavoratori indisponibili ad un lavoro a tempo pieno (donne, studenti lavoratori) e rispondere alle esigenze della piena occupazione.
In passato esistevano tre diverse tipologie di part-time:
lavoro e del lavoratore.lavoro e dellavoratore. Può il datore di lavoro decidere un aumento dell'orario di lavoro? Nel caso di aumento dell'orario di lavoro, i contratti collettivi definiscono il numero massimo di ore e le causali per il ricorso al lavoro supplementare. In assenza di contratti collettivi, invece, l'aumento delle ore di lavoro non deve essere superiore al 25% delle ore settimanali concordate. Il lavoratore può rifiutare lo svolgimento del lavoro supplementare se prova l'esistenza di esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale. Nel caso di variazione della collocazione temporale della prestazione, ci deve essere il rispetto delle previsioni collettive, la variazione deve essere oggetto di uno specifico patto scritto e deve essere comunicata almeno due giorni prima al lavoratore, che ha diritto a specifiche compensazioni per il sacrificio sofferto. Il lavoratore, nel caso di gravi ragioni di salute propria o dei familiari e ragioni di formazione professionale, ha diritto a richiedere un'adeguata riduzione dell'orario di lavoro.studio e formazione, può ripensare alla propria disponibilità di essere elastico e il rifiuto di queste variazioni non può portare a un giustificato motivo di licenziamento. Il lavoratore può, infine, richiedere di ridurre il proprio orario di lavoro in caso di lavoratori affetti da patologie oncologiche o di lavoratrici che optano per il part-time in luogo del congedo parentale facoltativo.
Con il decreto legislativo 276 del 2003, il legislatore introduce il lavoro intermittente o "a chiamata", nel quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente. Questo contratto non comporta degli obblighi nei confronti delle parti, infatti, il datore di lavoro può utilizzare la prestazione lavorativa, ma il lavoratore non è obbligato a rispondere alla chiamata. Però, nel caso in cui, nel contratto, ci si riferisca
A lavoro intermittente con obbligo di disponibilità da parte del prestatore che dovrà rispondere alla chiamata, pena la possibile legittima risoluzione del contratto e una corresponsione di una indennità di disponibilità.
La caratteristica principale del contratto a chiamata è la precarietà o flessibilità.
Le cause che portano al ricorso al lavoro intermittente possono riguardare:
- esigenze oggettive individuate dai contratti collettivi o dai decreti ministeriali;
- individuazione di periodi dell'anno "predeterminati nell'arco della settimana, del mese, dell'anno" durante i quali ricorrere a questa tipologia contrattuale;
- ragioni soggettive legate all'età dei lavoratori (max 24 min 55).
Quando si ricorre al lavoro intermittente, si ha un limite quantitativo di un periodo complessivamente non superiore alle 400 giornate di effettivo lavoro nel giro di tre anni per ciascun lavoratore con il
medesimo datore di lavoro. Se questo limite non viene rispettato, si incorre nella conversione del contratto a tempo pieno e indeterminato.
Non possono assumere a chiamata quelle imprese che non hanno effettuato la valutazione dei rischi o che intendono sostituire un lavoratore scioperante e nelle unità produttive che hanno proceduto a licenziamenti collettivi.
Durante i periodi di non lavoro, il lavoratore non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavori subordinati, quindi, deve essere specificato il periodo di lavoro da quello di non lavoro e deve essere controllata la durata di ogni chiamata. Per cui, le parti hanno l'obbligo di comunicare queste informazioni alla DTL (Direzione territoriale del lavoro), pena una sanzione amministrativa.
La causa del contratto: esistono dei contratti di lavoro che subiscono delle deviazioni rispetto al contratto standard, con riferimento alla causa, che è la ragione socio-economica del contratto stesso.
Nasce il contratto di apprendistato.
già presente nel codice civile del 1942, ma ha subito numerosi interventi nel corso del tempo, fino al Testo Unico sull’Apprendistato del decreto 167 del 2011, anch’esso più volte modificato, ma tale provvedimento viene abrogato e riscritto dal decreto 81 del 2015. Si parla di causa mista, nella quale oltre lo scambio della prestazione lavorativa con la retribuzione, vengono inserite le finalità occupazionale. Quindi, secondo l’articolo 41 del decreto, il contratto di apprendistato è un contratto a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e all’occupazione giovanile. Questo significa che si ha un obbligo formativo a carico del datore, ma si ha anche la possibilità di un inquadramento diverso del lavoratore, che può essere inserito in un livello inferiore rispetto alle mansioni svolte durante l’apprendistato. Inoltre, nonostante il contratto sia a tempo indeterminato, il datore può decidere liberamente altermine del contratto di formazione, quindi il lavoratore non ha la sicurezza di venire assunto successivamente. Nel caso di mancato recesso, il rapporto di lavoro prosegue come un rapporto di lavoro subordinato