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Successivamente, accennerò all’importanza che il sapere di tipo scientifico ha assunto nella
società odierna, alla sua quasi assoluta predominanza, che ha poi condotto a quella degenerazione
nota come scientismo positivista, della quale anche parlerò.
In conclusione, infine, farò mia la proposta contenuta nel testo Un sapere a favore
dell’uomo, relativa alla necessità di una riscoperta di reciproche attenzioni (armonizzazione) tra la
conoscenza di tipo filosofico e quella di tipo scientifico, viatico per assicurare alla civiltà umana un
degno futuro.
Lo stupore di fronte alla realtà
1. Lo stupore, la meraviglia di fronte alla realtà, soprattutto quella incomprensibile se limitata
ai soli criteri sensibili, rappresentano il motore primo dell’anelito dell’uomo verso la costante
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ricerca dell’oltre.
Quest’ansia di sapere, un’avventura in costante evoluzione e mai propriamente conclusa , ha
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quindi dato vita a quelle attività umane classificabili come sapere scientifico.
Parliamo dunque di sapere, che è poi conoscenza della realtà tutta intera che circonda
l’uomo, volontà di approfondire sempre di più e sempre meglio la propria conoscenza del
quotidiano, di ciò che si ha di fronte, interpretando il corso degli eventi e domandandosi in ultima
istanza le cause di questo movimento. Certo, la meraviglia, e quindi la spinta a conoscere sempre di
più, non può che darsi, come dicevamo, quando tutto ciò che fa parte del nostro vissuto comincia ad
apparirci incomprensibile, pieno di misteri .
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Questa prerogativa è ciò che sta alla base sia della filosofia che della scienza particolare.
Non a caso, agli inizi e per lunghi secoli, la scienza partecipava dello stesso spirito della
filosofia, il cosiddetto “sapere per il sapere” , l’attività umana più elevata, senza interessi aggiuntivi,
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1 Cfr. Tomás Melendo, Un sapere a favore dell’uomo, Edusc, Roma 2002, p. 91.
2 Idem, p. 92.
3 Idem, p. 12.
4 Idem, p. 126.
senza altra aspirazione se non quella di “vedere” (theorein), “contemplare” la realtà penetrando in
essa . Oggetto e soggetti del sapere (filosofico e scientifico) erano pertanto i medesimi, si viveva
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una reciproca connessione, potremmo dire una mutua complementarietà .
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Con il tempo, poi, cambiando di fatto il metodo di indagine conoscitiva e assistendo ad un
rinnovato (e totalmente differente) atteggiamento dell’uomo di porsi di fronte a tutto ciò che faceva
parte del suo mondo, la scienza ha iniziato a distaccarsi dalla filosofia, sposando una nuova
concezione: “sapere è potere” . Questo ha decretato, di fatto, l’abbandono di quella meraviglia e di
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quello stupore che era stato alla base dello sviluppo dell’esperienza conoscitiva in generale.
Oltre però all’iniziale spirito che accomunava le due discipline, ci sono da segnalare altri
elementi di questa vicinanza. Un tentativo che ci è possibile se abbandoniamo per un attimo lo
sviluppo temporale di questo rapporto e ci dedichiamo semplicemente all’astrazione degli elementi
di comunanza emersi durante i secoli.
Intanto, dice Tomás Melendo, “anche la scienza in senso proprio nasce in Grecia, dove non
è facile distinguere tra lo scienziato e il filosofo”.
Ci sono poi altri criteri, indicati come “di scientificità”, che rendono valida una determinata
conoscenza. Oltre agli elementi di verità, rigore, certezza ed efficacia, questa conoscenza deve
mettere in condizione di sapere, deve rendere la realtà più comprensibile e più evidente, nonostante
la mancanza di certezza assoluta e l’eventuale incombenza di trovarsi di fronte a qualcosa di
misterioso e indefinibile .
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Inoltre, sia il sapere scientifico che quello di tipo filosofico possono essere facilmente resi
contigui. Il primo è sempre stato indicato lungo la storia come sapere verificato, di qualità elevata,
mentre la filosofia è da considerare una forma superiore di conoscenza.
Universalità versus particolarità
2. Mettendo per un attimo da parte le incombenze storiche che hanno contraddistinto – come
accennavamo - il rapporto tra filosofia e scienza, come primo carattere distintivo tra i due saperi
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occorre rilevare la pretesa di universalità della prima rispetto alla particolarità della seconda . La
filosofia, infatti, si rivolge alla totalità della realtà, si sforza di dare una spiegazione più profonda,
5 Idem, pp. 80-81.
6 Idem, p. 126.
7 Idem.
8 Idem, p. 128.
9 Idem, pp. 130-131.
universale appunto, che sia allo stesso tempo definitiva e capace di far emergere il “senso reale che
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nell’insieme dell’universo e dell’esistenza umana corrisponde alle cose che indaga” .
La scienza, invece, proprio nella fase in cui si è separata dalla filosofia, ha avuto una
predilizione per le “realtà particolari”, quindi la sua indagine ha assunto un carattere riduttivo,
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potremmo dire settoriale, tematico . A margine di questa caratterizzazione c’è sicuramente il
metodo di indagine, che segue percorsi ben definiti e al tempo stesso ristretti, sia per quanto
concerne la materia che assume come oggetto, sia per la prospettiva adottata. Non a caso, la scienza
lascia fuori dal proprio campo di indagine tutti quegli aspetti che risultano poi essere significativi
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per lo svolgimento della vita umana, cioè a dire la “realtà” del loro oggetto .
Per rendere meglio l’idea di questa distinzione previa, si è ricorso ai diversi modi in cui
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l’una e l’altra esercitano la facoltà intellettuale dell’astrazione .
Mentre la filosofia considera l’astrazione come un guadagno, una crescita all’interno della
conoscenza umana capace di condurre ad un modo più elevato di conoscere la realtà, la scienza
considera questo aspetto come una perdita.
Brevemente, per la filosofia le realtà sensibili rappresentano delle conoscenze “inferiori” che
soltanto attraverso l’intelletto possono assurgere al grado “superiore”. Quindi viene affidata alla
funzione intellettiva la capacità di portare fuore (e-strarre) una conoscenza più ricca, orientata in
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ultima istanza al significato ultimo delle cose su cui si indaga .
Per la scienza, inece, ciò che è sensorialmente intangibile diventa complicato, quindi irreale,
nel senso che comporta il dover lasciar fuori dalla conoscenza alcuni aspetti da cui la realtà singola
e particolare - che è poi l’unica esistente -, non può in nessun modo prescindere. L’astrazione è
intesa dunque come perdita di contenuti, qualcosa di vago che non ha nulla a che vedere con la
realtà concreta e immediata della vita di ogni giorno, e perciò non servirebbe ad altro che a
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complicarsi l’esistenza .
Al tempo stesso c’è da smentire tutte quelle voci che vorrebbero relegare la filosofia ad un
sapere “astratto”, che non penetra la realtà ma la sfugge e la allontana. Con le parole di Mariano
Artigas, si può dire che “la vera filosofia si interroga sulla realtà così come è in se stessa e non può
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permettersi il lusso di lasciar fuori aspetti che sono reali” . Altro che “edificio di astrazioni”,
10 Idem, p. 133.
11 Idem, p. 131.
12 Idem, p. 133.
13 Idem, p. 131.
14 Idem, pp. 131-132.
15 Idem, pp. 132-133
16 M. Artigas, Ciencia y fe: nuevas perspectivas, Eunsa, Pamplona 1992, pp. 133-135.
“studio dell’astratto e astratto”! La filosofia, in ultima istanza, è l’unico sapere che “si sforza di
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contemplare l’intera realtà nella sua nudità, senza veli che la ricoprano” . Il metodo
dell’astrazione, piuttosto, è ciò che caratterizza le scienze particolari, mentre la filosofia non può
certo accontentarsi di operare in tal modo proprio perché mira al tutto e al modo di essere reale di
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ciò che viene essenzialmente definito .
Rilevanza culturale della scienza e della tecnica
3. Una volta chiarite le distinzioni tra filosofia e scienza, e riaffermato il carattere
imprescindibile della prima e la sua importanza nella vita dell’uomo, vediamo come la seconda,
dopo essersi sviluppata nei secoli, ha assunto anch’essa una peculiarità propria che l’ha portata ad
assumere una rilevanza culturale e sociale nella contemporaneità.
Intanto, ci sono da indicare almeno tre sfere in cui opera la scienza contemporanea: gli
scienziati stessi, i teorici della scienza, e la rilevanza culturale .
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Gli scienziati sono coloro che si sforzano di conoscere la porzione di universo, più o meno
ampia ma sempre limitata, che riguarda la loro disciplina.
I teorici della scienza, o altrimenti detti filosofi della scienza, operano una riflessione sulla
scienza stessa in quanto prodotto dell’intelligenza e della ricerca umane. Questi sono più interessati
a chiarire le questioni che riguardano la scienza in quanto tale, ossia il valore di verità, le condizioni
in cui agisce, la portata storica, il metodo utilizzato e la relazione con tutti gli altri ambiti del sapere.
Quel che merita, infine, attenzione più dei primi due è la rilevanza culturale che ha assunto
nella società contemporanea la scienza e la tecnica. Queste ultime hanno sperimentato un tale
livello di progresso da essere diventate elementi costitutivi dell’intera civiltà umana. Questo
comporta inevitabilmente delle influenze sull’uomo e sul cittadino comune, con tutti i rischi
annessi. E allora sarebbe indicato da parte dell’uomo della strada conoscere e dare un valore
all’effettivo ruolo sia teorico che pratico assunto dallo scienziato. Da una parte, questo favorirebbe
una presa di coscienza reale delle cose che mi vengono sottoposte come “scoperte sensazionali”.
Inoltre, mi porterebbe ad approfittare di questo sviluppo al fine di perfezionare la mia persona e la
persona dei restanti membri dell’umanità, oppure mi metterebbe nelle condizioni di frenarne
l’egemonia, prima di una deriva irrecuperabile e destabilizzante.
C’è intanto da osservare che scienziati e filosofi negli ultimi tempi si sono sforzati di
condurre una valutazione della scienza che si sta tramutando un una profonda trasformazione che
apre la strada innanzitutto al superamento del fenomeno positivista, ma prende anche coscienza di
17 Idem.
18 J. J. Sanguineti, Introduzione alla filosofia, Urbaniana University Press, Roma 1992, p. 215, nota 39.
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