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Intorno al 230 a.C. avviene il primo divorzio di cui abbiamo notizia storica, anche se
o le fonti letterarie tendono a retrodatare il divorzio addirittura al regno di Romolo
(Plutarco: Romolo avrebbe concesso di divorziare solo agli uomini, se la moglie ha
abortito di nascosto, ha bevuto vino, ha commesso adulterio). La causa è la sterilità
della coppia, che i Romani imputavano alla donna. In questo caso la moglie non
riceve indietro la sua dote; la restituzione della dote è successivamente
regolamentata dalla legge. In età Repubblicana il divorzio è indice della fine di
un’alleanza politica che era stata suggellata con il matrimonio.
II secolo a.C.:
195 a.C.: i tribuni delle plebe propongono l’abrogazione della lex Oppia. Catone il
o Censore si oppone, sostenendo che il lusso, e soprattutto il lusso femminile, è
sintomo di decadenza. Le donne non dovrebbero intervenire nel foro per perorare le
loro cause, ma restare pudicamente in casa e fregiarsi esclusivamente delle imprese
del marito e dei figli, sul modello ideale di Cornelia (figlia di Publio Cornelio
Scipione Africano) che, di fronte a un’ospite campana che si vanta dei suoi monili
d’oro, afferma orgogliosamente che i suoi unici gioielli sono i suoi figli (maschi). La
lex Oppia viene comunque abrogata e il luxus si diffonde e diventa segno distintivo
dello status di una donna, parte integrante del suo ornatus (abbigliamento,
acconciatura, trucco ecc.)
Si diffonde la proprietà femminile grazie a:
o 1)la presenza di molte donne sui iuris;
2)L’affermazione del matrimonio sine manu (la donna e i suoi beni restano
nella famiglia di origine. Si crea una netta separazione tra il patrimonio del
marito e quello della moglie);
3)l’indebolimento della tutela mulierum: quando la tutela legittima (la tutela
esercitata da un parente maschio) non è possibile, come nel caso delle donne
sui iuris, la legge prevede una tutela dativa (il tutore è un uomo estraneo alla
famiglia). Già nel corso del II secolo a.C. tuttavia alla donna è concessa la
tutoris optio, ovvero la possibilità di scegliere il tutore. Ciò causa un
progressivo indebolimento della tutela, anche se al momento le uniche donne
che ne sono esentate anche formalmente sono le Vestali.
La proprietà femminile resta però, nella mentalità Romana, “provvisoria”, sottoposta
ad alcuni limiti: la tutela maschile (almeno formale), l’impossibilità per le donne di
compiere atti giuridici rilevanti, il divieto per i membri della prima classe censitaria
di fare testamento a favore di una donna (lex Voconia, 169 a.C.)
All’evoluzione della condizione femminile non corrisponde un’evoluzione del
o modello ideale. La castità delle matrone continua a dover essere inattaccabile
(persino la fastidiosa uxor dotata delle commedie plautine è, o dovrebbe essere,
casta) e la sessualità femminile è duramente repressa dai tribunali familiari
(l’adulterio, in età Repubblicana, non è crimen perseguito dallo Stato. Soltanto in
due casi, durante la seconda guerra sannitica e la seconda guerra punica, si ha notizia
di due processi pubblici per adulterio).
I secolo a.C.:
Definitiva affermazione della proprietà femminile:
o 42 a.C.: dal discorso pubblico di Ortensia, che si oppone ad una tassazione
straordinaria imposta dai triumviri Antonio, Ottaviano e Lepido, sappiamo
che ci sono almeno 1400 donne abbastanza ricche da essere sottoposte ad
un’imposta straordinaria.
Terenzia, prima moglie di Cicerone, può godere di un cospicuo patrimonio
che amministra in proprio (matrimonio sine manu) e con cui finanzia la dote
della figlia Tullia e la carriera dello stesso Cicerone.
Le guerre civili, e soprattutto le proscrizioni, sconvolgono il tessuto sociale
Romano e nel totale sovvertimento del mos maiorum (le guerre intra cives
non sono bella iusta) anche le donne, soprattutto quelle ricche, possono
influire nella scena politica. È il caso ad esempio di Fulvia, che addirittura
osa intervenire nel reclutamento dei soldati durante la guerra di Perugia (41
a.C.)
Laudatio Turiae: nel dramma delle guerre civili una donna (inizialmente
identificata con Turia, moglie del console Vespillo) si umilia davanti a Lepido
per salvare il marito dalla proscrizione. Questa donna appare, nell’elogio
funebre dedicatole probabilmente proprio dal marito, una donna ideale (casta,
pia, lanifica, obbediente), ma impegnata nella strenua difesa del suo
patrimonio da sedicenti parenti che vorrebbero sottrarle l’eredità dei genitori
e che lei persegue in tribunale.
Si diffonde una nuova idea del matrimonio come condivisione, di progetti, di
o interessi, di difficoltà. Per Plutarco l’obiettivo del matrimonio è la fusione completa
tra marito e moglie, una totale condivise. Naturalmente è però la donna a doversi
adeguare al marito. In questa ottica inizia ad essere accettata la cultura femminile,
ma solo come strumento che consente alla donna di essere una degna compagna del
marito e di condividere i suoi interessi (ad esempio Calpurnia, terza moglie di Plinio
il Giovane, condivide con il marito la passione per le lettere e per amor suo impara
addirittura a memoria i suoi scritti).
Porzia: moglie del cesaricida Bruto, secondo le fonti insiste per essere messa
al corrente dal marito dei suoi piani, in quanto moglie legittima e non
semplice concubina; quando apprende della morte di Bruto dopo la battaglia
di Filippi si suicida ingoiando carboni ardenti per condividere con il marito
anche la morte.
Laudatio Turiae: l’unico dolore della coppia sembra essere la sterilità. Turia
propone il divorzio, per permettere al marito di avere eredi da un’altra donna,
ma lui rifiuta.
La nuova idea di matrimonio convive però con il modello ideale: Seneca il Retore
o ribadisce l’importanza di una naturale suddivisione dei ruoli all’interno della coppia
(attivo quello maschile, passivo quello femminile). La moglie va amata con la
ragione, senza passione sessuale. In più, la nascita di figli resta di primaria
importanza all’interno del matrimonio (è prevista, all’occorrenza, anche la locatio
ventris, di cui usufruisce ad esempio Ortensio che, non riuscendo ad avere figli,
sposa Marzia, moglie di Catone Uticense, che ha già dato degli eredi al marito.
Marzia quindi divorzia da Catone, sposa Ortensio pur essendo già incinta di Catone,
dà due figli anche a Ortensio e infine, alla morte del secondo marito, risposa
Catone), tanto che Quintiliano scrive che sua moglie, morta a nemmeno diciannove
anni ma dopo aver partorito due figli maschi, non infelix decessit.
Il matrimonio è strumento privilegiato di ascesa sociale (numerose liberte sposano il
o loro ex patrono come succede, ad esempio, a Sabina Myrtale di Sarsina che fa
erigere due sepolcri sparati per sé e per il marito, definendo lui homo optimo e se
stessa mulier optima, in un’uguaglianza almeno epigrafica)
Il matrimonio resta anche il principale strumento per suggellare alleanze politiche:
o Pompeo sposa Giulia, figlia di Giulio Cesare, Antonio sposa Ottavia, sorella di
Ottaviano, Ottaviano sposa Livia per suggellare la sua alleanza con i repubblicani).
35 a.C.: Ottaviano rientra a Roma vittorioso dopo aver sconfitto la flotta di Sesto
o Pompeo e viene investito della sacrosantitas, che egli estende alla sorella Ottavia e
alla moglie Livia. In questo modo Ottaviano, prima ancora di aver sconfitto Antonio,
intende blindare la sua discendenza. Livia e Ottavia sono inoltre esentate dalla tutela
e a loro è riconosciuto il diritto alla pubblica immagine.
18 a.C.: Augusto emana le Leggi Giulie: Lex Iulia de adulteriis coercendis, Lex Iulia
o de maritandis ordinibus. Con queste leggi Augusto rende l’adulterio crimen
perseguito da un tribunale pubblico e ingiunge a tutti gli uomini tra i 25 e i 60 anni e
a tutte le donne tra i 20 e i 50 di sposarsi (divorziati, nubili e celibi ricevono delle
sanzioni), in più introduce lo ius liberorum che consente alle donne prolifiche (le
libere che hanno partorito almeno 3 figli e le liberte che ne hanno partoriti 4) di
essere esentate dalla tutela. Riabilitazione del modello ideale a fine propagandistici
(Augusto si pone come restauratore della Repubblica e del mos maiorum).
Livia e Ottavia sono modelli positivi, opposte a numerosi modelli negativi:
o Sempronia, Clodia, Fulvia e Cleopatra (antitesi della matrona ideale, donne dalla
sessualità incontrollata le prime due, dalle caratteristiche maschili le ultime due).
I secolo d.C.:
Con la nascita del principato la Domus Augusta diventa il nuovo centro del potere.
o La Domus quindi passa dall’essere un luogo privato, familiare, all’essere un luogo
pubblico e le donne, da sempre parte della domus, si trovano molto vicino al centro
del potere. Tuttavia, nessuna donna della dinastia Giulio-Claudia ha alcun potere
politico-istituzionale. La loro importanza deriva soltanto dall’essere gli uteri che
devono partorire i futuri imperatori e viene meno, con la dinastia Flavia, quando la
successione è certa. Esse hanno una dimensione pubblica, sono tutte onorate (ad
eccezione delle due Giulie) come benefattrici di comunità o collegia, ma non hanno
mai potere politico.
9 d.C.: con la lex Papia Poppea Augusto consente alle donne prolifiche di ereditare
o oltre i limiti imposti dalla lex Voconia. Questo favorisce ulteriormente l’aumento (sia
in numero che in ricchezza) di ingenti patrimoni femminili (es.:Calvia Crispinilla,
Postumulena Sabina).
La ricchezza femminile si sostanzia nell’evergetismo (Eumachia di Pompei,
o Suphunibal di Leptis Magna, Bebia Bassilla di Velleia) o nella costruzione di
imponenti sepolcri (Vetilia Egloge, Varia Chreste)
Nel I secolo d.C. l’evergetismo (sia maschile che femminile) aderisce alla linea di
o pensiero espressa da Cicerone nel De Officiis (il liberalis, ovvero colui che utilizza
bene la sua ricchezza, è colui che usa il denaro per pagare il riscatto degli amici
rapidi dai pirati, che aiuta un amico a finanziare la dote della figlia o che costruisce
edifici o infrastrutture destinati a durare nel tempo) e si traduce prevalentemente nel
finanziamento di opere di edilizia pubblica. In particolare, le donne finanziano
soprattutto porticus e chalcidica.
La divinizzazione di Livia (42 d.C.) e poi delle altre donne della domus imperiale
o (Agrippina Maggiore, Agrippina Minore, Drusilla, Giulia figlia di Tito) consente alle
donne abbienti (mogli di cavalieri e senatori) di diventare sacerdotesse delle divae
Augustae e di assumere così una dimensione pubblica. Il sacerdozio imperiale è
l’unica carica pubblica aperta alle donne.
Giovenale, I-II secolo d.C.: vorrebbe tornare a una Roma ideale, che identifica nella
- Risolvere un problema di matematica
- Riassumere un testo
- Tradurre una frase
- E molto altro ancora...
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