L'impero asburgico
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Tuttavia il caso lombardo, che diede risposte positive al ministro, restò un successo isolato
che non si ripeté più in nessun altra regione.
In questo clima riformatore, vissuto a cavallo tra gli anni 40 e 50 in Austria, si registrò da
parte di Maria Teresa, in accordo con Kaunitz, la decisione di riprendere le ostilità
contro la Prussia per riconquistare prestigio nelle terre germaniche e per vendicare la
perdita della Slesia avvenuta durante la guerra di successione austriaca. Il momento
perfetto fu durante la guerra dei sette anni quando la Francia, impegnata in una guerra
contro l'Inghilterra che faticava a sostenere, non era più capace con il suo esercito di terra
di dare protezione al regno di Polonia – Lituania, considerato l'asse della diplomazia
francese nei territori orientali. Austria e Prussia credettero dunque di poter ottenere
consistenti acquisizioni in questa regione e si trovarono l’una contro l’altra.
I prussiani, che vennero fin da subito impegnati nello scontro dagli austriaci, si resero
subito conto che non stavano più affrontando le truppe che avevano facilmente sconfitto
nella precedente guerra; la riforma di Haugwitz aveva avuto il suo effetto migliorando
notevolmente l'abilità e l'equipaggiamento dell'esercito austriaco. La guerra si risolse in un
nulla di fatto nel 1763 con la pace di Hubertusburg, non ci furono cambiamenti territoriali,
la guerra sancì inoltre la fine del ruolo della Francia come arbitro d'Europa e l'ascesa di
Prussia e Austria come grandi potenze militari.
1.1- Giuseppe II. Ascesa e crisi di un despota illuminato
A ridosso degli anni 60, sul finire della guerra, Kaunitz, prendendo come scusa la
pesantezza dell'apparato di governo, iniziò a smantellare le sue strutture, in particolare
quelle del rivale Haugwitz. Demolì prima l’organo del Directorium, dividendolo in tre
differenti dicasteri per agevolarne i compiti, successivamente istituì lo Staatsrat ( consiglio
di stato ) con compiti di coordinamento sugli altri uffici.
Fin dalle sue prime riunioni quest’organo si dichiarò preoccupato dalla conduzione della
guerra. In particolare, tralasciando il debito pubblico che toccò i 300 milioni di fiorini,
l'assemblea si spaccò in due fronti attorno al tema della coscrizione: da un lato vi erano i
sostenitori del sistema dei comandanti proprietari mentre dall'altro si fecero avanti coloro
che sostenevano il Kantonsystem prussiano. ( Kantonsystem prussiano: dal 1733 la
Prussia ha suddiviso le proprie campagne in cantoni, ogni cantone rappresenta un'unità
militare ed equivale a un reggimento di fanteria ).
Quest'ultimo sistema trovò un suo feroce oppositore nel conte Kaunitz, ma viceversa trovò
un suo fervido sostenitore in Giuseppe II che nel 1765 venne nominato coreggente da
Maria Teresa. Giuseppe II fu un convinto sostenitore della coscrizione obbligatoria e si
adoperò in modo molto aggressivo per modificare la struttura asburgiche tramite alcune
misure legislative: costruzione di nuove caserme, assegnazione di guarnigioni stabili ai
reggimenti ed introduzione capillare del Kantonsystem in tutte le province dell'impero.
Kaunitz era contrario a questo progetto credendo che le mancanze militari derivassero, più
che da una mancanza oggettiva di uomini, da un inettitudine nelle alte sfere di comando.
Inoltre prevedeva insorgenze tra le popolazioni contadine che, non abituate a questo
sistema di leva obbligatoria, si vedevano strappare forza lavoro per pagare le imposte da
cui erano già oppresse. Benché il nuovo reggente condividesse buona parte di queste
opinioni decise di proseguire sulla sua strada, preferendo gettare le basi per un solido
esercito a scapito dell'amministrazione e delle finanze.
Giuseppe II si prodigò notevolmente anche per togliere spazio e potere ai nobili del regno.
Suo obiettivo fu quello di ridurre la loro superbia e sottomettere l'aristocrazia alla sua
figura. In particolare la nobiltà magiara venne particolarmente presa di mira dal nuovo
imperatore; un aristocrazia questa difficile da domare che anche sotto Maria Teresa non
fornì risposte ritenute accettabili dallo stato maggiore sia sotto il piano militare e sia sotto
quello fiscale.
A differenza dell'aristocrazia delle altre regioni, più malleabile nei confronti della corona, i
magiari, oltre che in numero ben superiore alle altre etnie, si dimostrarono notevolmente
più compatti nella difesa delle proprie tradizioni. Inoltre di fronte alla diversità ungherese ci
si trovò davanti ad un mondo praticamente sconosciuto. Difatti l'espansione austriaca ai
danni dell'impero ottomano aveva portato entro i confini europei terre nuove a cui si faceva
in generale riferimento con il termine Oriente europeo. La mancata conoscenza di queste
terre era motivo d’imbarazzo per lo stesso Kaunitz che dichiarava di non poter attuare
alcuna riforma sensata senza un adeguata conoscenza del governo ungherese.
Il dibattito tra le regioni magiare, che mal sopportavano un aumento del carico fiscale, e la
corte di Vienna, trovò uno sbocco diverso quando dall'Ungheria giunsero dei rapporti che
citavano le pessime condizioni di vita a cui erano soggetti i contadini. Per Kaunitz, che
sosteneva l’impossibilita per queste comunità di pagare le imposte a causa delle
vessazioni cui erano soggette, fu il pretesto per abolire corvée e vessazioni in cambio di
un imposta in denaro. Con l'opposizione magiara si riuscì infine a trovare un accordo il
quale prevedeva che in tutta l'Ungheria i lavori gratuiti dovuti dai contadini venissero
limitati a un solo giorno settimanale. A questo provvedimento ne seguirono altri in altre
zone dell'impero dove le condizioni di vita delle comunità rurali erano disastrose, in
particolare la Boemia che visse a cavallo degli anni 70 un periodo particolarmente difficile.
In queste due diverse aree nel corso di pochi anni si verificheranno due situazioni opposte:
in Boemia queste riforme ebbero successo, mentre in Ungheria furono rigettate in
continuazione secondo vari stratagemmi.
In questi anni le scelte di Giuseppe II si dimostrarono spesso impulsive e spaziarono in più
ambiti, da quello religioso a quello militare. La rottura nella politica asburgica venne
sempre evitata grazie alla previdenza della madre e di Kaunitz. Nel 1780, alla morte di
Maria Teresa, il nuovo sovrano ereditò un impero ancora più vasto e frammentato dl
precedente grazie all'acquisizione della Galizia e della Bucovina. A queste acquisizioni
seguirono delle patenti di tolleranza religiosa per tutti quei popoli che non erano di fede
cattolica. Per l'imperatore il disciplinamento delle consuetudini religiose appariva come un
passo obbligato per meglio comprendere e riformare la società contadina.
Uniformità, sincronia e omogeneità furono le parole d'ordine di Giuseppe II. A tale
proposito gli anni 80 del Settecento videro la nascita di numerosissime patenti destinate a
mutare il volto delle signorie rurali e non solo. Difatti, oltre alla religione, il sovrano si
occupò anche di uniformare il più possibile la lingua dell'impero. La scelta ricadde sul
tedesco, che nel 1784 venne elevato a lingua nazionale. La non conoscenza del tedesco
comportò nell'immediato l'esclusione dalla carriera pubblica.
Questa esplosione normativa di questi anni, mirò innanzitutto a tagliare o ridimensionare le
immunità e i privilegi aristocratici, oltre che concentrarsi sul campo fiscale e amministrativo
di talune regioni. Prese maggiormente di mira furono le regioni lombarde, olandesi e
ungheresi, che subirono una demolizione dei vecchi istituti locali e un riordino in nuove
circoscrizioni amministrative.
Tuttavia la situazione, come visto all'inizio di questo capitolo, era destinata a precipitare
negli anni 90. L'Austria, così come altri Stati illuminati dell’epoca, era uno stato molto
aggressivo che contava molto sulla guerra e su una politica estera di tipo espansionistico.
Anche a questo scopo, ma sopratutto per difendere la propria posizione di superiorità nei
confronti della Prussia, la monarchia scese in campo contro l'impero ottomano e al fianco
della Russia in una guerra non del tutto voluta. Benché l'esercito austriaco si dimostrò
nettamente superiore e riportò numerose vittorie nei Balcani, esse erano in
contrapposizione con una situazione interna difficile. Furono infatti queste le settimane
della dichiarazione d’indipendenza dell'Olanda. Inoltre, a rendere ancora più complicata la
situazione, Giuseppe II era esasperato dalla richiesta di nuove forniture per un esercito
sempre più difficile da mantenere ( circa 300000 effettivi ), a questo scopo varò un piano di
tassazione uniforme fondato sull'abolizione definitiva del lavoro servile. Il conte Chotek
timoroso di una rivolta nobiliare, rassegnò le dimissioni e in breve la sua profezia si
avverò: l'Ungheria era in aperta rivolta. L'imperatore dovette così definitivamente fare
marcia indietro e ritirare tutte le riforme considerate avverse dai ceti ungheresi. La
cooreggenza di Leopoldo II seguì questa strada di cooperazione con le varie etnie, il
progetto riformatore e di accentramento di Giuseppe era definitivamente fallito.
La Restaurazione e il Vormärz
2)
2.1- Guerre e Paci: l'intermezzo napoleonico
Nel marzo del 1793 gli imperi di Austria e Prussia risposero alla dichiarazione di guerra
francese fatta l'anno precedente. Benché alleati, i due imperi non combatterono
praticamente mai insieme giungendo ad esiti disastrosi. Viste le ripetute sconfitte e la
perdita di numerosi territori, l'imperatore prussiano non esitò a firmare un trattato segreto
con i francesi che chiudeva cosi la contesa tra i due Stati con qualche perdita prussiana a
livello territoriale. L'uscita dalla coalizione antifrancese della Prussia da una parte e le
promesse disattese di Inghilterra e Russia dall’altra, gettarono l'Austria nell'isolamento
bellico e la mandarono incontro ad una serie di campagne militari catastrofiche.
L'esercito francese irruppe in Italia nell'estate del 96, appena un anno dopo si trovava
quasi a sessanta miglia da Vienna. A quel punto la monarchia dovette sottoscrivere con
Napoleone la pace, siglata appunto a Campoformio. Benché dal punto di vista territoriale,
grazie all'acquisizione di taluni territori e la perdita di altri, l'Austria non subiva grosse
deturpazioni, essa registrava una perdita di potere nei territori tedeschi tanto che alcuni
ceti imperiali si convinsero di come un alleanza con la Francia avrebbe portato maggiore
protezione della recente alleanza con gli austro-prussiani.
Durante le trattative l'Austria non aveva certo perso il suo spirito di rivalsa, anzi aveva
rafforzato il suo reticolo di alleanze stringendo patti con Inghilterra, Russia e alcuni
principati tedeschi. La Francia dal canto suo non stette a guardare e con Napoleone, nel
1800, sbaragliò le armate austriache dislocate prima in Italia e poi nella Germania
meridionale; Thugut dovette firmare una pace separata a nome dell'impero e dell'Austria. A
guerra terminata, nel 1803, venne preso atto dalla dieta imperiale tedesca di come fosse
impossibile tenere in piedi la vecchia costituzione imperiale; si procedette così alla
secolarizzazione dei beni e dei territori ecclesiastici. Vennero di conseguenza soppressi e
aggregati ai territori circostanti ben 112 ceti imperiali e tutte le città libere, situazione
questa che favori l'impero prussiano.
La nomina ad imperatore dei francesi di Napoleone nel 1804 apri nuovi scenari
sconvolgenti per l'Austria. Il pericolo più grande, vista la superiorità militare francese, era
che Napoleone potesse cingere anche la corona imperiale tedesca o peggio che i territori
asburgici, feudi dell'impero, divenissero vassalli di Napoleone. La soluzione più ovvia
presa dai giuristi viennesi fu quella di unire tutti i territori asburgici sotto la sovranità
dell'imperatore ereditario dell’Austria.
2.2- Fondare un impero ( e negarlo )
Francesco d'Asburgo- Lorena, con la patente emessa nel 1804, diveniva Francesco I
imperatore d'Austria e contemporaneamente era imperatore del Sacro Romano Impero
con il nome di Francesco II. Questa doppia titolatura prendeva le mosse ancora dal 1714,
dalla Prammatica Sanzione di Carlo VI che stabiliva l’indivisibilità dei domini asburgici.
Benché si preferisse parlare di impero d'Austria e mettere tra parentesi il ricordo
dell'impero germanico, in molti vedevano in questa ordinanza un nesso di continuità con il
passato. Durante le discussioni giuridiche su come far convivere i due imperi, tre grandi
stati tedeschi passarono dalla parte della Francia nella cosiddetta guerra della terza
coalizione francese. Napoleone, nella decisiva battaglia di Austerlitz, sconfisse facilmente
la coalizione anti-francese e portò alle estreme conseguenze il processo di semplificazione
in Germania dove da poco più di trecento stati ne restarono circa una quarantina.
L'imperatore francese inoltre intimò a Francesco I di depositare la corona imperiale
tedesca, il sovrano austriaco dovette accettare l'umiliante proposta e dichiarare concluso il
Sacro Romano Impero.
L'amministrazione austriaca aveva nel frattempo subito un ricambio all'indomani delle
sconfitte. A capo del governo venne chiamato il conte Stadion. Costui, benché non riuscì
a rendere meno rigida la struttura del governo come avrebbe voluto, riuscì a coagulare a
Vienna un gran numero di aristocratici e intellettuali in fuga dalle loro terre occupate dai
francesi e desiderosi quindi di una rivalsa. Stadion provò a sfruttare queste pressioni
patriottistiche per convincere l'imperatore a scendere in guerra contro la Francia, convinto
anche degli aiuti degli altri imperi; tuttavia, all'inizio del conflitto, nel 1809, l’Austria rimase
completamente isolata e subì a Wagram la sconfitta decisiva. La pace imposta da
Napoleone fu una delle più dure e segno il punto più basso della politica estera austriaca.
Venne imposto un indennizzo monetario molto elevato e l'impero austriaco venne privato
ancora di tutta una serie di territori: l’Austria era ridotta a rango di potenza militare di
second'ordine.
Nuovamente a seguito della sconfitta scaturì un ricambio di uomini ai vertici del governo.
Allontanato Stadion fu chiamato il conte Metternich. Egli si preoccupò fin da subito di
riavvicinarsi alla Francia dichiarandosi neutrale durante l’attacco francese alla Russia e
facendo poi sposare la figlia di Francesco I con Napoleone. Matternich si dimostrò un'abile
diplomatico e divenne un ottimo mediatore nei conflitti europei, inoltre, nel 1813, con la
vittoria della coalizione a Lipsia contro i francesi stava tramontando in modo definitivo la
parabola napoleonica e iniziavano cosi gli anni della Restaurazione.
2.3- Il sistema Matternich: Rivoluzione o Resturazione
Dalla fine di Napoleone, Matternich, insieme a Francesco I, tentò di riformare i domini
austriaci. In questo periodo gli Asburgo si ritrovarono a dominare su un territorio
decisamente più vasto del precedente e tutto sommato anche più uniforme. Il ministro si
adoperò per risistemare le province vecchie e crearne di nuove. Per quel che riguarda il
primo caso il conte si prodigò per adottare una politica di riavvicinamento alla Prussia,
quindi agli ex-territori imperiali, senza però compromettere il delicato equilibrio che aveva
ad est con gli ungheresi. A questo scopo venne fondata una confederazione di tutti gli Stati
tedeschi supervisionati sia dall'Austria e sia dalla Prussia.
Per quel che riguarda la formazione di nuove province, Matternich si concentrò
soprattutto sulla parte più occidentale della monarchia. Supervisionò difatti la nascita del
Regno italico, che nelle sue intenzioni doveva fungere anche da cuscinetto contro un
eventuale aggressione francese, e si interessò particolarmente alla nascita del nuovo
Regno d’Illiria.
La strategia di governo del ministro fu esattamente l'opposto di quella adottata nel periodo
Giuseppino che rifiutava le consuetudini locali e tentava di riformare ogni parte dell'impero.
Il ministro scelse una strada diversa per unificare i territori austriaci, egli lasciò liberi tutti i
costumi e le lingue senza tentare di uniformarle. Tutte queste diverse culture erano tenute
insieme da un vincolo di fedeltà sentimentale verso la dinastia.
2.4- Ungheria e Boemia: il peso della storia
Nel clima della Restaurazione apparire come i difensori di molteplici culture ed etnie fu un
ottimo strumento di difesa per l'impero asburgico.
Al tramonto napoleonico la monarchia si trovava in una situazione economica difficilissima,
inoltre doveva anche ricucire gli strappi con varie regioni dell'impero e ovviamente si
decise di ripartire dal Regno ungherese. Esso rappresentava un eccezione all'interno della
monarchia poiché a differenza di altre regioni, che apparivano formalmente come autorità
statali a cui mancava solo la sovranità, il Regno magiaro veniva riconosciuto come se
fosse un corpo a parte dotato di un’autonomia superiore rispetto a tutte le altre zone.
Benché anche gli ungheresi abbiamo formato il loro regno tramite conquiste e
aggregazioni ( un po' come fecero gli Asburgo ) essi si rifiutarono sempre di riconoscere
riforme e patenti promulgate dal casato austriaco dimostrandosi cosi molto compatti a
livello politico.
Il concetto era facilmente così riassumibile: l'impero era costitutivo da due zone ben
distinte: da una parte vi erano tutte le province raggruppate sotto il termine generico di
Impero austriaco (Transleitania) mentre dall'altra vi era un unico corpo compatto quale il
Regno d'Ungheria (Cisleitania).
I limiti cui la monarchia austriaca si trovava davanti in questa regione erano per lo più di
natura economico – sociale. Carattere spiccato dell'individualità magiara era la presenza
di un'economia agraria a conduzione signorile. Il Regno non presentava città di rilievo ma
una serie infinita e ininterrotta di signorie di varie dimensioni. In tutta Europa non si trovava
da nessuna parte un così alto concentrato di famiglie aristocratiche con un così alto peso
nella vita politica del paese. Questa differenza economica era strettamente legata alla
differenza sociale che divideva la popolazione tra popolus, i nobili, e plebe, il resto del
popolo. La fierezza e l'orgoglio di questo popolo gli permisero di difendere con successo
per secoli il loro regime di solitudine istituzionale dai continui assalti asburgici.
Per certi aspetti la vicenda ungherese presentava alcune affinità con quella boema. Anche
questa regione difatti nacque tramite l'accorpamento di diversi territori e anch'essa
presentava al suo interno una forte divisione sociale ed economica tra le classi
magnatizie preminenti ed il resto della popolazione. Tuttavia vi erano anche grosse
diversità tra le due zone, in primis il regno boemo aveva subito la totale occupazione
austriaca durante la guerra dei trent'anni. Questo spartiacque aveva prodotto la fuga o la
cacciata della quasi totalità dei rivoltosi, al loro posto Vienna aveva fatto affluire nobili di
diversa provenienza ma tutti fedeli alla dinastia. Inoltre la Boemia rappresenta un caso
molto particolare di simbiosi con le vicine regioni austriache in termini economici; infatti vi
erano vivaci traffici tra le due zone e inoltre anche in termini di distanza i due regni
risultavano molto più vicini e meglio collegati rispetto al regno di Santo Stefano.
Verso la fine del Settecento ci fu comunque un tentativo di reazione per cercare un
compromesso con Vienna e per ritrovare una certa autonomia. Il modello di questa “quasi
rivoluzione” ( parlare di vera e propria insurrezione sarebbe sbagliato, effettivamente i
boemi mantennero sempre un tono pacato e lealista verso la corona nella richiesta delle
riforme ) altro non fu che il patriottismo ungherese. Tuttavia i nobili boemi, a differenza di
quelli magiari, non resistettero molto e dopo i primi rifiuti austriaci il movimento perse
slancio e si esaurì nel nulla.
2.5- Lombardo-Veneto, Galizia, Illiria: organizzare il nuovo
Se Ungheria e Boemia rientravano tra le regioni soggette da più tempo alla dominazione
austriaca, i territori italiani, illirici e galiziani erano invece di più recente assimilazione. Per
questo motivo, secondo Matternich, era necessario un tempestivo intervento da parte di
Vienna per riformare questi territori.
La regione italiana era, secondo il ministro austriaco, una delle zone più importanti di
tutto l'impero. Questo pensiero deriva non solo dalle ricchezze e dall'efficienza mostrata
anche in passato ma sopratutto dal fatto che il lombardo – veneto rappresentava una zona
cuscinetto verso la temuta Francia. Con il Congresso di Vienna del 1815 la monarchia
acquisì la regione veneta, il problema fu quello di affiancare tale regione con la sua vicina,
la Lombardia; era risaputo anche a corte di come i rapporti tra Venezia e Milano si erano
molto deteriorati nel tempo, a questo inconveniente si unì poi quello di una spaccatura tra i
funzionari austriaci su come impostare amministrativamente questi territori. In un primo
momento sembrò prevalere la linea della libertà: venne difatti concessa notevole
autonomia alle pretese dei nobili lombardi e si istituì una reggenza. Ma questo piano era
destinato a fallire e in breve si decise di ritornare alla precedente tradizione napoleonica,
resuscitando così il Regno ( lombardo – veneto ). Il titolo di ”Regno” assicurava prestigio
da un'antica tradizione imperiale. Lombardo – veneto racchiudeva la volontà di equiparare
giuridicamente le due regioni per appianare le tensioni esistenti.
Nel frattempo si procedette anche alla risistemazione della provincia illirica. Anche qui,
come nel caso italiano, l'impronta napoleonica resistette al cambio di sovranità; difatti il
Regno illirico venne suddiviso in due ampi governatorati con capitali Lubiana e Trieste.
Questa aggregazione di regioni diverse e poco legate tra loro presentò fin da subito grossi
problemi; infatti dopo pochi anni dalla sua nascita il regno illirico subì un certo numero di
mutamenti e riassetti geografici che ne cambiarono non poco la forma. Come nel caso di
Milano e Venezia anche qui tra Trieste e Lubiana vi era una totale assenza di
comunicazione, in questo caso però la difficoltà era insita anche nella totale divergenza
linguistica tra le regioni.
La stessa strategia di ricomporre forzatamente culture e regioni così differenti venne
praticata da Vienna anche nei confronti della terza provincia acquisita: la Galizia.
Queste regione era entrata a far parte dei territori austriaci per la prima volta nel 1772,
anno della prima spartizione del regno polacco concordata con Russia e Prussia. In
seguito aveva subito ulteriori espansioni e ridimensionamenti e nel 1814, durante le
trattative diplomatiche, era tornata agli Asburgo. Il principale problema di questa regione
era la totale assenza di un etnia e di una lingua predominante, convivevano assieme
polacchi, ruteni, ucraini ed ebrei, senza contare il personale burocratico di lingua tedesca
mandato in questa regione.
Matternich per questa regione operò in modo molto particolare. Non cercò mai di
trasformare la maggioranza polacca in tedeschi, ma volle favorire la nascita di una regione
galiziana e di un'identità di popolo che fino a quel momento latitavano. In quel periodo
partirono infatti da Vienna numerose iniziative destinate alla regione per cercare di
rivitalizzare e formare la cultura galiziana.
Nel lombardo – veneto il lascito napoleonico portò più problemi di quanto si pensasse.
Mentre nelle province slave venne presto dimenticato, nei territori italiani il ricordo dei
francesi era molto vivo e anzi veniva ricordato quasi con nostalgia, sopratutto in
Lombardia. Vienna procedette fin da subito all’epurazione, dall’apparato di governo, di tutti
quei funzionari medio - piccoli non in linea con il nuovo governo e li rimpiazzò con
burocrati prelevati dai territori ereditari e quindi fedeli al sovrano. Nel Regno le città furono
il punto fermo della vita politica. Qui le famiglie cittadine eminenti avevano sottratto ogni
potere alle nobiltà rurali e reso privo di attrattiva il modello aristocratico fondato su uno
stile di vita cavalleresco e feudale. Stile questo che era ancora vivo tra la nobiltà
ungherese e austriaca.
La disaffezione italiana verso la monarchia si fece fin da subito evidente alle autorità
viennesi. Non a caso, a differenza che in Galizia, nel Regno si scelse di reprimere ogni
forma di riscoperta delle tradizioni e l'opinione pubblica venne messe costantemente sotto
controllo dalla polizia.
2.6- Verso la crisi: gli anni Trenta ( o il Vormärz )
In un regno come quello austriaco, formato da diverse culture, diverse lingue e religioni , il
denominatore comune che teneva tutto assieme con efficienza era secondo molti la
burocrazia. Una burocrazia solida e compatta che lavorava senza sosta per il bene
dell'impero e per la sua solidità. A ridosso degli anni trenta si assistette ad una vertiginosa
crescita, in termine numerico dell'apparato burocratico. Crebbe anche la posizione sociale
del burocrate attraverso numerosi scritti letterari.
Negli anni del Vormärz questa efficiente burocrazia si dimostrò più inadatta che mai e
ricevette numerosissime critiche da ogni settore della vita pubblica. Efficiente difatti era un
termine piuttosto inadatto, dall'esterno della monarchia erano visibili tutte le sue difficoltà e
la sua lentezza. Lentezza questa che si rifaceva alla connivenza tra imperatore e famiglie
aristocratiche che detenevano le cariche maggiori nella burocrazia e frenavano
notevolmente il ritmo delle pratiche. Inoltre si pensava erroneamente che un’alto numero
di funzionari volesse dire maggior efficienza.
A queste difficoltà interne andavano poi sommate le crescenti sfide esterne. Il 1830 in
Europa fu un anno di rivoluzioni in tutti gli imperi e gli stati a partire appunto da quello di
Francia. Da qui il fuoco rivoluzionario si propagò in fretta alla Germania, dove però
Matternich non concedette nessun tipo di riforma isolando ancora di più la monarchia dagli
affari tedeschi. I focolai insurrezionali arrivarono poi fino alla Polonia zarista e resero
quindi pericolosi anche i confini orientali austriaci.
La mancanza di risposte pratiche e la crescente difficoltà economica in cui versava
l'impero furono all'origine della chiamata del conte Kolowrat che all’interno del Consiglio
di stato ricevette competenze sulla politica finanziaria; tuttavia egli si dimostrò nel tempo
un pessimo amministratore.
Nell'opinione pubblica austriaca il dualismo Kolowrat- Matternich rappresentò una sorta di
sfida tra opposti: il primo era rappresentato come il sostenitore ( a torto ) della costituzione
e dei ceti, il secondo veniva rappresentato come grande promotore del centralismo statale.
Rivoluzione e controrivoluzione ( 1848 – 1861 )
3)
3.1- La Cina in mezzo all'Europa
Uno dei termini più diffusi usati per descrivere l'Austria ai primi dell'Ottocento era quello di
Cina d'Europa. L'analogia si basava su quattro caratteristiche: eccessiva estensione
territoriale, struttura della società ingabbiata nella divisione tra ceti, una burocrazia
invadente e un'economia asfittica.
L'impero asburgico era qualcosa di inevitabilmente lontano dalla modernità europea, una
nobiltà troppo forte al suo interno controllava i quattro quinti dei possedimenti terrieri e
rimaneva, anche alla vigilia nel nuovo secolo, il potere dominante. Questa classe attirava
candidati da ogni fascia grazie alla protezione e agli interessi garantiti dalla burocrazia.
Questa aristocrazia era poi legata da un vincolo di fedeltà personale all'imperatore che
concedeva ampie sfere di autonomia territoriale che gli permettevano di esercitare
un’efficace prelievo agrario sulle masse contadine.
Un primo scompenso si accentuò sotto il governo Kolowrat che diede maggior potere al
l'aristocrazia dando il via ad una serie di rivolte e proteste popolari che egli prese però
sotto gamba. Vienna non percepiva l'aria di cambiamento che stava per sopraggiungere,
ma lontano dalla capitale, in varie regioni dell'impero, si avvertiva l'inizio di un qualcosa di
nuovo. Nel lombardo – veneto ad esempio la disaffezione verso la nobiltà austriaca,
l'insediamento nelle cariche pubbliche di ufficiali esteri e il ruolo solo decorativo e
puramente di facciata occupato dal viceré portarono la gioventù e il popolo milanese a
provare sempre più disprezzo verso le imposizioni della monarchia. La rivoluzione era alle
porte e il governo austriaco non voleva aprire gli occhi.
Matternich, così come il resto del Consiglio di stato, era a conoscenza di questi disordini;
tuttavia il cancelliere mise in secondo piano il Regno e le sue problematiche per occuparsi
meglio della politica estera. L'ascesa della potenza sabauda, nella penisola italiana, sotto
Carlo Alberto era per il ministro fonte di preoccupazione; la parola costituzione, che in
quegli anni circolava più insistente che mai, era per il cancelliere il motivo per cui l'Austria
rischiava di collassare.
In realtà non vi erano ancora aspirazioni così forti tanto da immaginare una rottura netta
con la monarchia. Nemmeno in Ungheria il distacco totale da essa era qualcosa di
concreto e tangibile, qui vi erano altri problemi più pressanti cui pensare, come le leggi di
riforma costituzionale o quelle sull’individualità linguistica. Sotto questo punto di vista
anche il regno di Santo Stefano stava attraversando un periodo molto difficile e colmo di
agitazioni: accanto ai movimenti di rivendicazione d'autonomia croata anche la
Transilvania si dimostrava sempre più insofferente alla magiarizzazione forzata di cui era
oggetto. Il governo austriaco, paralizzato dal fantasma delle insurrezioni popolari in altre
regioni, trovò questa situazione perfetta e cercò di mantenere lo stesso quadro politico.
Alla vigilia del 1848 si stavano creando le condizioni generali per una rivoluzione di
dimensioni e portata molto più ampia di tutte le precedenti e che stavolta aveva come
fulcro la campagna. La combinazione di risentimento anti - signorile, le cattive condizioni
economiche di questi anni e le speranze di riscatto nazionale, divenne letale già a partire
dal 1846 nella Galizia.
3.2- Intermezzo galiziano: 1846
Dalle fonti a nostra disposizione non è possibile conoscere il modo preciso in cui ebbe
inizio questa insurrezione; probabilmente accadde che una parte di fuoriusciti polacchi -
francesi abbia tentato di dare il via ad una sommossa in questa regione cercando di
accendere più focolai simultaneamente e che l'intervento tempestivo di polizia ed esercito
abbia fermato sul nascere il tentativo. Ebbe invece un esito molto più sanguinoso
l'insurrezione in un altra zona della Galizia dove un grande folla di contadini ruteni,
appresa la notizia della tentata rivoluzione di questi fuoriusciti, diede il via ad un vero e
proprio massacro di nobili polacchi. L'esercito austriaco ci mise settimane a fermare la
rivolta e nel frattempo la notizia aveva fatto il giro d'Europa suscitando un eco molto vasta
tra l'opinione pubblica.
A finire sul banco di accusa furono sia i nobili polacchi, responsabili di un comportamento
troppo duro verso i contadini, ma anche gli austriaci furono accusati di aver incoraggiato
da dietro le quinte gli insorti. In numerosi articoli e dispacci, il diplomatico Schwarzemberg
attribuì la colpa principale alla élite polacca di aristocratici, colpevole sia per
l'atteggiamento dimostrato verso le classi servili ma anche per non aver mai voluto ne
provato uniformarsi e integrarsi nella grande famiglia delle nazioni austriache. Egli apprese
tramite i suoi viaggi di come la Galizia e la sua società abbiano smarrito i loro riferimenti e
che le gerarchie di potere della nobiltà non facessero ormai più presa sul popolo ruteno
che si sentiva culturalmente molto distante da questa aristocrazia. Lezione questa che a
pochi anni di distanza dall’episodio era stata lasciata cadere nel vuoto dal governo di
Vienna.
3.3- L'anno della rivoluzione: 1848
Il 1848 fu per la monarchia l'anno più duro e in cui più in assoluto si avvicinò al collasso.
Già dai primi mesi Vienna comprese come i luoghi più critici per la tenuta dell'impero
sarebbero stati l'Italia è l'Ungheria.
Alle normali rivendicazioni cetuali si accompagnavano ora sensibilità verso istanze più
moderne: la libertà di stampa e una maggiore libertà personale.
La prima delle due regioni a insorgere fu ovviamente l'Ungheria. Qui a seguito di una
serie di accuse pesanti contro il governo asburgico, Kossuth convinse i deputati magiari a
pronunciarsi a favore di una costituzione ungherese separata; il documento in pochi giorni
venne reso pubblico e consegnato ad una delegazione in partenza per la capitale. Il 13
marzo un ulteriore convocazione della dieta provinciale gettò nel caos la capitale, l'esercito
chiamato a disperdere la folla sparò su di essa provocando una sessantina di feriti. Gli
insorti alzarono le barricate e le guardie civiche si allearono con loro. L'imperatore sciolse
la Staatskonferenz, accettò le dimissioni di Matternich e nominò Kolowrat alla guida di un
governo provvisorio.
Appresa la notizia delle dimissioni di Matternich anche il lombardo – veneto sprofondò
nel caos. Prima Milano il 18 marzo mise in fuga l'esercito austriaco che dovette rifugiarsi
nel Quadrilatero, in quegli stessi giorni insorse anche Venezia. L'esercito imperiale era
completamente in rotta, molti soldati non seguirono i loro comandanti e preferirono
disertare o unirsi agli insorti. Anche grazie a questo smembramento dell'esercito austriaco
le truppe sabaude riuscirono ad entrare a Milano praticamente senza colpo ferire.
Nel frattempo lo strappo ungherese iniziato con una riforma costituzionale richiesta da
Kossouth raggiunse il suo apice quando il 17 marzo, dopo che anche la Tavola alta aveva
dato il suo appoggio al progetto di riforma, una delegazione inviata a Vienna ritornò con
ampie concessioni da parte del sovrano e con l'approvazione delle leggi presentate dalla
dieta. Il nuovo governo venne ricomposto con basi completamente magiare e nel mese
successivo riuscì a strappare con un colpo di mano là famose leggi di aprile con le quali
sostanzialmente l'Ungheria si definiva come Regno autonomo e unitario della monarchia.
L'impero si trovava ora sull'orlo del baratro. A parte Vienna e pochi altri territori fedeli alla
monarchia, anche in altre regioni si accendevano focolai di rivolta più o meno violenti. A
Praga ad esempio la rivolta iniziò con contorni po’ meno violenti; qui un gruppo di liberali
chiede la fusione tra i regni Boemia, Moravia e Slesia e la parificazione della lingua ceca a
quella tedesca. I liberali cechi mantennero comunque toni abbastanza prudenti e lealisti
verso la monarchia. La rinascita culturale di questo popolo ebbe una notevole spinta verso
la fine del 700 e proseguì per tutto il secolo seguente. Le fondamenta di questo revival
linguistico – culturale erano pressoché le stesse che si trovavano in altre regioni come
Ungheria o Croazia; tuttavia nell'area boema si faceva un po' più di confusione e le radici
culturali, ma sopratutto linguistiche, erano poco chiare ( a tratti quasi del tutto inesistenti )
oltre che contraddittorie. Un esempio su tutti riguarda appunto la lingua. Gli intellettuali
boemi esprimevano il loro concetto di rinascita Ceca attraverso la lingua tedesca,
dominante in quelle aree, mentre il ceco veniva parlato solo nel privato.
Il processo di differenziazione nazionale ceco subì una curva più morbida rispetto ad altre
regioni. Intellettuali del calibro di Palacky, benché sostennero una certa autonomia
nazionale, non ricercarono mai la rottura totale con Vienna definendo più volte i boemi
come un ponte tra il mare tedesco a occidente e quello slavo a oriente, per questo i cechi
riconoscono in maggioranza nell'Austria una garanzia di sopravvivenza.
DESCRIZIONE APPUNTO
A inizio Ottocento l'impero d'Austria è la più affascinante organizzazione pluralistica del vecchio continente, un coacervo di territori e di popoli, tedeschi, ungheresi, polacchi, italiani, che occupa il cuore dell'Europa. Ma con la rivoluzione del 1848-49 inizia per Vienna la sfida con il modello vincente del resto d'Europa, quello nazionale: l'impero poco a poco la perderà. Nella seconda parte del secolo, un clima politico avvelenato dalle sconfitte militari con Italia e Germania esaspera i conflitti fra grandi e piccole nazionalità, ma anche all'interno di ogni gruppo nazionale. La Prima guerra mondiale sarà solo l'ultima pagina, la più tragica, di questi conflitti.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher diego2800 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'Europa orientale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Milano - Unimi o del prof Lami Giulia Maria Isabella.
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