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Ci sono differenze di impianto, struttura, motivazione. In cosa oralità e scrittura si differiscono?
Pluralità risposte riconducibili ad approcci molto diversi. Si scrive in un supporto, scrittura si serve
di segni (grafia e interpunzione) che sono sostitutivi di suoni linguistici. Sistema simboli sostitutivi
che rappresenta l’oralità. In scrittura perdiamo intonazione, la tonetica, la curva intonativa di una
frase, non documenta le pronunce individuali. Scrittura non documenta il profilo del parlante. Solo
alfabeto fonetico dà queste informazioni, ma questo è ad uso linguistico. Ci avviciniamo a
problema oralità e scrittura nella sua materialità. Poi nella comunicazione orale oltre a quello che
diciamo agiscono anche l’espressività e la mimica facciale, che nella scrittura si perdono. Oralità è
in compresenza di un emittente, un io che parla e un destinatario, un tu che ascolta. Il destinatario
poi può assumere funzione di emittente. Ci sono un io, un tu, un qui e un tempo. Situazione oralità
è che un io e un tu condividano uno stesso spazio e uno stesso tempo. Questo ha immediate
ripercussioni da punto di vista comunicativo. Nel modo con cui ci si può riferire a qualcosa es:
“questo si è rotto”, nella scrittura non sarebbe chiaro a cosa ci si riferisce., sono marcatori che si
possono usare nel parlato. Pronomi dimostrativi e avverbi di tempo possono essere usati nel
parlato. Non si deve esplicitare spazio e tempo nel parlato, né l’emittente. L’oralità non deve
specificare gli attori della comunicazione. Sono utilizzabili i pronomi personali. L’oralità tende a
specificare l’io. Io e tu non sostituiscono mai dei nomi, perché bisogna cambiare il verbo es “io
sono stanco”. Io e tu non sono dei pronomi, possono solo essere esplicitati, perché sono
strettamente legati ad un contesto comunicativo orale. Dal punto di vista della loro funzione, non
sono mai pronomi. Le terze persone hanno il pronome di cortesia “lei”, ha funzione del tu, ma
formale. È un allocutivo di cortesia. Es: “Francesca è uscita di buon’ora. Lei è andata a lezione.”
Quel lei non serve esprimerlo, ma non è un tu. Non ha bisogno di un contesto comunicativo
concreto. “dannazione, lei fa sempre rumore” non è un pronome, si indica qualcuno di presente.
Deissi: da radice parola indice, indicare. Indica elementi che appartengono allo stesso contesto
comunicativo. È deittico tutto ciò che in un contesto comunicativo io posso indicare es: pronomi
dimostrativi hanno alla base una funzione deittica. “codesto” lontano da chi parla vicino a chi
ascolta. “quello” è lontano da entrambi e “questo” è vicino a chi parla e lontano da chi ascolta.
Sistema pronominale che riguarda il modo in cui l’io e il tu si rivolgono allo spazio comunicativo.
Lui, lei, questo, qui lì, possono essere spiegati da cioè che sta attorno ad un testo, cioè dal cotesto
(il lei è spiegato dal nome Francesca). [Consegna fotocopia pag 44] è un testo, che deriva da
tessuto, fatto di una trama, metafora di tessuto linguistico, un insieme di elementi che si tendono in
una struttura. È un messaggio che un io rivolge a un tu e questo messaggio ha intenzione e effetto
di comunicare. Il contenuto deve essere espresso con intenzione e deve raggiungere l’effetto. È
l’unità minima della comunicazione. Quello che abbiamo di fronte è una narrazione raccontata
attraverso una sequenza di immagini. Oggetto di un esperimento didattico fatto su una prima
elementare. Viene dato il testo visivo e viene chiesto ai bambini di scrivere il racconto mostrato
dalle vignette. Si tratta di sostituire il disegno con una parola. Il secondo testo ha senso solo se sta
sotto l’altro testo, cioè le vignette, non le sostituisce. Il secondo non riesce a rappresentare una
realtà con mezzi linguistici che la riproducano compiutamente, cosa che invece accade nel primo
testo. Guardando gli aspetti. In corsivo c’è tutto ciò che è deittico. Rimane imprigionato nella
situazione. Il primo testo funziona perché descrive tutto ciò che c’è ed è autonomo dal primo desto
delle vignette. il testo è astratto, perché deve rendersi autonomo da una situazione comunicativa,
mentre l’oralità è concreta. Questo esperimento didattico ha senso dato a bambini di 5-6 anni
perché è un segmento evolutivo in cui bambino acquista la capacità dell’astrazione. L’universo
esperienziale viene completamente sostituito.
Lingua come sostituto dell’esperienza.
Io e tu compresenti.
Retroazione: di fronte c’è un tu che dà risposte, un feedback, che fa in modo che la comunicazione
si possa correggere. (es: se il tu guarda male l’io, o fa capire che non si fa capire). La
comunicazione scritta non ha un feedback, tempi di scrittura e lettura sono diversi. Le ultime
versioni dei testi sono frutti di molti cambiamenti, la comunicazione scritta è planare, il tempo della
lettura non coincide con quello della stesura, quella verbale è lineare.
Volatilità del linguaggio orale, stabilità della scrittura.
[consegna testo] trascrizione di una trasmissione radiofonica e possiamo notare la peculiarità
narrativa. Trascrizione vuol dire che con i mezzi linguistici si è cercato di rappresentare ciò che è
avvenuto in una situazione comunicativa orale. Con abbondanti usi vocalizzati di foni. Non ci rende
informazioni sul parlante, il modo in cui l’io pronuncia quelle parole. Rappresenta la maggior parte
delle informazioni che ricaviamo dall’oralità. È una situazione ibrida perché il testo è graficamente
scritto, ma che però rende attraverso mezzi grafici qualcosa che avviene nell’oralità.
Immediatamente ci denuncia la sua alterità rispetto ad un testo scritto. La presenza di quegli ehm
e i puntini sono i primi segnali che ci dicono che il testo è scritto, ma non è nato per essere tale.
Dal punto di vista profondo non sono i più importanti documenti che ci dicono che è un testo orale
e non scritto. Il riempitivo “ehm” e i segnali discorsivi “bene”, ”dunque” sono esigenze dell’oralità
per tenere aperta la conversazione. Le pause e i silenzi sono elementi di discontinuità. I nomi
concreti sono parole piene, parole significato (per Aristotele), mentre le altre, come “che”, “dunque,
poi, sono parole vuote, parole funzione. Un testo scritto fa un uso molto appropriato delle parole
vuote, dei connettivi, un testo orale è ricco di parole piene e segnali discorsivi che vengono usati
per garantire la continuità del discorso. Un testo orale si affida a meccanismi per legarsi che sono
meno sofisticati di quelli di un testo scritto. Il “noi parleremo” potrebbe essere un noi grammaticale,
ma potrebbe essere anche un plurale di modestia, un modo in cui la speaker si attenua, dietro quel
noi non si esibisce egocentricamente. (ci sono anche i plurali di maiestà con cui si parla ad una
istituzione). Oppure può intendersi alla speaker e agli ascoltatori, un noi pragmatico che ingloba
l’ascoltatore e lo coinvolge, anche se di fatto non parla. Già da questo si capisce che è oralità.
“soprattutto quel”, in italiano manca il “di”, nella catena del parlato i legami fisiologicamente si
perdono più ci allontaniamo dall’anello principale. L’ascoltatore viene avvicinato all’argomento in
maniera progressiva. Ripetizioni caratteristiche dell’oralità. Sembra che certe patologie siano
passate. “Noi sappiamo”, si affida a enciclopedia diffusa, meccanismo di conoscenze comuni che
fa si che si possano dare per scontate certe conoscenze condivise. Poi attenua il significato del
sapere con “abbiamo avuto la sensazione di”, con una scelta lessicale più debole. Perché passa
da presente a passato prossimo? Perché prima c’è “in passato” e l’io, avendo già costruito la
subordinata, proietta tutto al passato.
2 aprile:
deissi è la prima caratteristica dell’impianto dell’oralità. Un’altra caratteristica è quella che il tu è
molto più concreto di quello della scrittura. Il tu della scrittura è meno preciso, mentre l’oralità può
fare riferimenti enciclopedici. Il destinatario è concreto e può chiedere chiarimenti. Polisemia viene
compresa nell’oralità Es: “ ci stai per una pizza stasera?”, presuppone uscire a mangiare una
pizza.
La lingua ci interessa per le conseguenze linguistiche che derivano da queste differenze tra orale e
scritto. Si può cambiare il progetto nell’esecuzione. L’oralità è in progressione e si calibra secondo
il tu. E il canale rimane aperto. “noi sappiamo che in passato… noi abbiamo avuto almeno la
sensazione che ci siano state”, c’è una reggente, una subordinata che poi prosegue, ma con il
congiuntivo perché l’io decide di attenuare il significato del verbo con uno più debole, avendo però
già detto “in passato”, l’espressione di tempo che fa cambiare il tempo della subordinata.
Nell’oralità non ci si accorge neppure, nella scrittura sì. Il testo porta avanti il “noi”. La prosa
referenziale governa in maniera efficace un messaggio senza finzioni letterarie. [consegna articolo
Ceccarelli, La Repubblica] Renzi dichiara che “loro” avrebbero dovuto fare il nuovo governo. Ultima
colonna. Ceccarelli commenta questa affermazione di Renzi e usa uno stile brillante con aggettivi
poco consoni ad una prosa politica. Si chiede se Renzi abbia usato un plurale maiestatis, perché
aveva usato un “noi” poco chiaro, che però era importante. Il significato retorico mette in crisi
quello grammaticale. (in Archie Bunker, una serie di Paul de Man, in una puntata moglie prepara a
marito kit per andare a giocare a bowling e lei chiede se preferisce che i lacci li infili dall’alto verso
il basso o dal basso verso l’alto, lui le chiede che differenza c’è e lei inizia a dare una spiegazione
sua su come potrebbe essere diverso, la moglie non gli intende la domanda retorica del marito.).
E’ delicata e importante la questione se una domanda o una affermazione sia retorica o
grammaticale, perché nel caso sia retorica essa annulla completamente il significato letterale della
frase. Nel testo di prima definire chi era il “noi” non era di vitale importanza, ma in questo testo non
è assolutamente