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Nei paesi europei si rileva una tendenza generale, presente in tutte le classi di età, che vede un

arretramento dei valori “tradizionali”, quelli che riguardano principalmente la morale sessuale e

familiare, il ruolo della donna nella famiglia e nella società.

Parte prima. La flessibilità. Dall'industrialismo al post – industrialismo

Occupazione, lavoro e diseguaglianze sociali nella società dei servizi

1) Apogeo e caduta delle classe operaia della grande industria

A metà anni Settanta in Europa e negli altri paesi dell'Occidente sviluppato, si concluse un

trentennio di crescita economica senza precedenti (la golden age) e di grandi miglioramenti delle

condizioni di lavoro e di vita. Ci fu una crescita dell'occupazione ed il tassi di disoccupazione dei

paesi europei scesero fino a l'1.5% a metà anni Sessanta. La forte mobilità settoriale si realizzò in

poco più di una generazione grazie a un profondo ricambio della forza lavoro: imponenti

immigrazioni interne e internazionali sostituirono le donne, che si dedicarono in maggior misura al

lavoro familiare, i più giovani, che proseguirono negli studi, e gli anziani, che cominciarono a

godere di un migliore sistema pensionistico. Il volume della produzione cresceva e i salari dei

lavoratori aumentavano. Infine si affermava il Welfare state che ridusse le insicurezze nel mercato

del mercato del lavoro con le indennità di disoccupazione e le pensioni e contribuì ad accrescere il

benessere delle famiglie dei lavoratori fornendo gratuitamente un crescente volume di servizi

sanitari, educativi e sociali. Cresce la dimensione media delle imprese, in particolare nell'industria

manifatturiera (gigantismo industriale → anni Sessanta e Settanta ). La percentuale dei piccoli

imprenditori e lavoratori in proprio, artigiani e commercianti, in qualche paese raggiunge livelli

molto bassi da far pensare ad un'imminente scomparsa del lavoro indipendente, mentre i liberi

professionisti aumentarono. Si raggiunse la massima diffusione del sistema di produzione taylorista

e fordista che prevede la standardizzazione del lavoro operaio in compiti ripetitivi da affidare a

lavoratori cui si richiedono solo disciplina e resistenza psicofisica. Ciò consentì l'inserimento di

manodopera senza esperienza né socializzazione al lavoro industriale. La burocratizzazione delle

imprese e dei servizi pubblici e la diffusione delle macchine per ufficio e dei centri di elaborazione

dati provocarono la parcellizzazione anche di molte mansioni non manuali e una forte crescita di

impiegati esecutivi addetti a lavori monotoni, ripetitivi...Negli anni Sessanta i sociologi parlano di

“operaio affluente” per descrivere i giovani operai che adottavano stili di vita simili a quelli dei

giovani di ceto medio e si mostravano poco propensi alla conflittualità e alla militanza sindacale.

Nel dopoguerra ci fu un ciclo di lotte: dal '69 scoppiò un movimento di scioperi che sorprese le

organizzazioni sindacali ed il sistema taylorista si rivelò fragile.

Le conquiste sindacali e politiche furono importanti in tutti i paesi europei: si consolidò il modello

di occupazione caratterizzato da un contratto a tempo pieno e indeterminato e dall'integrazione

organizzativa nell'impresa, ed in caso di perdita del lavoro l'intervento pubblico offriva ampie

tutele, inserendo i disoccupati in generosi programmi di sostegno del reddito.

Il sistema economico dell'Europa occidentale non fu più in grado di far fronte alla crescente rigidità

e al maggior costo del lavoro anche per i due schok petroliferi del 1974 e del 1979, che causarono

un forte aumento dei costi dell'energia. La recessione provocò un aumento della disoccupazione e la

classe operaia della grande industria cadde.

2) Deindustrializzazione e terziarizzazione

Il passaggio dall'agricoltura all'industria fu vissuto favorevolmente perché consentì un netto

miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita, nonostante i costi psicologici dell'inurbamento o

dell'immigrazione. La disoccupazione diminuì perché le donne ridussero la loro partecipazione al

mercato del lavoro. Traumatico fu il processo di deindustrializzazione e terziarizzazione, non solo

perché la chiusura delle grandi fabbriche precedette il decollo dell'occupazione nei servizi, ma

anche perché le nuovi occasioni di lavoro nei servizi non erano adatte alle caratteristiche personali e

alle qualificazioni professionali degli ex operai industriali (il tasso di disoccupazione crebbe sino a

superare il 10% negli anni Novanta/nell'Europa orientale si raggiunsero tassi oltre il 15%per

parecchi anni). Per ridurre i costi del lavoro e/o aumentare la flessibilità, le grandi imprese

cominciano ad affidare parte del proprio ciclo produttivo a piccole unità, che operano spesso al di

fuori del sistema delle garanzie consolidatosi nell'età dell'oro. All'inizio del nuovo millennio la

domanda di lavoro si concentra sempre pi nel terziario. Il paese più industrializzato rimane la

Germania, seguita dall'Italia e solo nell'Europa orientale il lavoro manuale rimase prevalentemente

industriale.

I processi di terziarizzazione sono diversi da un paese all'altro, pur essendo condizionati da un

cambiamento tecnologico e una crescita economica simili. Solo la minor parte dei lavoratori del

terziario fornisce servizi alle imprese, perché la componente maggioritaria è quella dei servizi alle

persone: dalla sanità, all'istruzione, dalla sicurezza al divertimento, dalla distribuzione commerciale

alla ristorazione. Ora il volume complessivo dell'occupazione nei paesi occidentali dipende in

larghissima misura proprio dall'occupazione nei servizi per la persona; gran parte di questo tipo di

servizi è fornita da dipendenti pubblici, che nell'Europa occidentale sono in forte crescita dalla fine

degli anni Settanta perché l'accresciuto peso politico della classe operaia aveva provocato uno

sviluppo della cittadinanza sociale e l'aumento della spesa pubblica. Nella società dei servizi quel

che fa la differenza nel livello dell'occupazione è proprio la posizione delle donne.

3) La femminilizzazione del mercato del lavoro

Nell'Europa occidentale la crescita dei tassi di attività femminili decolla solo negli anni Settanta e

prosegue più lentamente negli anni Ottanta e Novanta, per poi scendere nuovamente all'inizio del

nuovo secolo (fanno eccezione Spagna e Olanda, ove la partecipazione al lavoro delle donne è

cresciuta sempre a ritmi elevati). La transizione dell'economia pianificata a quella di mercato ha

provocato un crollo dell'alta occupazione femminile, che sono in parte si è poi ripresa (Paesi

scandinavi, Olanda e Gran Bretagna sono quelli a più alta partecipazione).

Importante è stato il ruolo del part-time (anche se in alcuni paesi dell'Europa settentrionale si sta

riducendo). Si può pensare che le donne siano riuscite a imporre situazioni in famiglia, sul lavoro e

nella società che sempre più consentono loro di conciliare impegni familiari con un'attività a tempo

pieno. La maggior partecipazione al lavoro delle donne si deve anche al crescente livello di

istruzione delle nuove generazioni, poiché in ogni paese europeo le donne più istruite sono più

inserite nel mercato del lavoro, vuoi perché vogliono far rendere il loro più alto capitale umano,

vuoi perché sono più emancipate dai valori familisti, vuoi perché sono più coinvolte in lavori più

gratificanti. L'offerta di lavoro femminile è più istruita di quella maschile, soprattutto nei paesi

europei in cui la partecipazione al lavoro delle donne è minore. Nel paesi all'avanguardia per

l'occupazione femminile (Svezia, Danimarca, Finlandia) le donne soffrono una maggiore

segregazione occupazionale rispetto a quelli a più bassa occupazione femminile (Grecia e Italia).

Si parla di segregazione orizzontale (l'espansione dell'occupazione femminile avviene per lo più

grazie ad una crescente domanda per attività considerate tipicamente femminili: insegnanti,

infermiere, cameriere, commesse, impiegate) e di segregazione verticale (le donne sono molto

sovrarappresentate tra gli impiegati esecutivi, gli addetti ai servizi e alla vendita, e anche tra le

occupazioni elementari, per contro sono molto sottorappresentate in tutte le attività manuali legate

alla produzione industriale). Ai livelli medio-alti delle attività intellettuali la presenza delle donne è

di poco superiore alla media nazionale: laureate e diplomate raggiungono le posizioni più

qualificate nell'area del lavoro non manuale molto meno frequentemente dei maschi con lo stesso

titolo di studio. Solo nei paesi dell'Europa orientale le donne istruite sembrano un poco meno

penalizzate per l'accesso alle posizioni lavorative più elevate.

4) Flessibilità produttiva, fine del lavoro standard ed esplosione della precarietà?

Al posto delle economie di scala si sono affermati i principi dell'economia dell'appropriatezza,

secondo i quali, più che ridurre i costi di produzione, è importante produrre i beni e i servizi

“appropriati” nel tempo e nel luogo in cui sono richiesti dal mercato. L'imperativo dei nuovi assetti

produttivi è diventato la flessibilità. Intesa come capacità di un'impresa di rispondere prontamente

agli impulsi dei mercati, quanto non addirittura di anticiparli. La flessibilità del lavoro può essere

perseguita in modi diversi: a parte la possibilità di variare le retribuzioni e gli orari di lavoro, si può

far fronte all'incertezza ricorrendo alla flessibilità numerica (riguarda i gradi di libertà con cui

un'impresa può adeguare volume e caratteristiche professionali dell'occupazione all'andamento della

produzione, interessa tre aspetti: le norme che regolano i licenziamenti e assunzioni, la possibilità di

ricorrere a rapporti di lavoro non a tempo indeterminato e quella di affidare fasi o funzioni del ciclo

produttivo in subappalto ad altre imprese o con contratti d'opera a collaboratori) e alla flessibilità

funzionale (concerne la possibilità di spostare i lavoratori da un posto all'altro all'interno

dell'impresa o di variarne il contenuto della prestazione, ciò richiede una polivalenza funzionale e la

disponibilità dei lavoratori ad accettare processi di riqualificazione; per avere dei dipendenti fedeli e

motivati occorre garantire loro un'occupazione stabile).

La prima conseguenza dei processi di esternalizzazione e de – strutturazione delle attività produttive

dovrebbe essere la for

Dettagli
A.A. 2013-2014
44 pagine
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SSD Scienze politiche e sociali SPS/07 Sociologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher alessandro.lora-1993 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Istituzioni di sociologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Sciolla Loredana.