Riassunto esame Istituzioni di diritto romano, prof. Brembilla, libro consigliato Diritto Romano, Brembilla
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contiene un’iscrizione che secondo molti autori è la più
La stele arcaica o cippus antiquissimus,
antica fra le scritture latine su pietra (è fonte epigrafica, primaria in senso tecnico).
È stata scoperta nel 1899 nel Foro Romano, rinvenuta sotto una piattaforma di marmo nero
chiamato lapis niger, sotto il pavimento del comitium nello spiazzo antistante la curia Iulia. La
posizione ed il ruolo del monumento (di natura sacra), hanno fatto discutere, sembra che sia stato
violato e distrutto durante l’incendio gallico del 390 a.C. e che a seguito di tale fatto fu spianato
e coperto dalla piattaforma di marmo nero. Alcuni autori collocavano lì la tomba di Romolo, per
altri era il luogo in cui era stato ucciso e smembrato da alcuni senatori, altri ancora vi
collocavano tombe diverse, ma il luogo era in ogni caso ritenuto funestus.
Le iscrizioni (Tavola 3) sono a caratteri capitali con verso verticale, incise in un blocco di tufo a
La scrittura segue l’andamento bustrofedico ed è disposta
forma di tronco di piramide. in senso
La lettura è ostica per via dell’arcaicità
verticale sulle 4 facce della stele e su uno degli spigoli.
della lingua, per l’attaccamento senza spazi fra le parole e per le notevoli lacune. La dottrina
la seconda e la terza riga compare l’espressione
concorda sulla lettura di alcune parole: tra
arcaica “sakros esed” che corrisponde alla locuzione “sacer esto” utilizzata per indicare la
sanzione che colpiva chi era colpevole di alcuni crimina e che consisteva nell’esclusione dalla
società del reo, che così non aveva più alcuna forma di protezione, civile o religiosa, tale che
poteva essere liberamente ucciso senza che fosse configurabile il reato di omicidio. La dottrina
riteneva che l’incipit dell’iscrizione indicasse la sanzione nei confronti di colui il quale avesse
violato la lapide o, secondo altri, il cippo o il luogo.
Particolare importanza è attribuita alla stele per la conferma tramite il termine reces (arcaico per
di un periodo monarchico all’inizio della civiltà di Roma, messo in dubbio
rex) da alcuni storici
dell’800. la dottrina discute se tale riferimento vada collegato alla figura del rex politico o di
quello sacrorum o sacrificulus, figura che compare solo dopo la caduta della monarchia. La stele
figura del kalator, l’araldo del re, ed alla decima-undicesima
inoltre contiene un riferimento alla
riga compare la parola iouxmenta, interpretata come la forma arcaica di iumenta, indicante gli
animali o da sacrificare o da traino o, secondo alcuni, indicante il carro, trainato da animali, con
cui il re giungeva al comizio. Problemi riguardanti la sua datazione: anche se la scrittura è
decisamente antica, essa contrasta con il materiale, il tufo, che sembra fosse disponibile ai
Romani solo a seguito della conquista di Veio nel IV sec. a.C. Una corrente della dottrina
sostiene che la stele sia una copia di una precedente stele andata perduta.
Il termine fasti, in principio attribuito a dies, indica i giorni nei quali il magistrato aveva facoltà
di pronunciare le parole do, dico, addico con il consenso della divinità. In tali giorni,
contrapposti ai nefasti, era possibile compiere attività private e pubbliche particolari come quella
giudiziaria. Per trasposizione i calendari, che indicavano i giorni fasti, presero proprio il nome di
a partire dall’epoca di Cicerone, si elencarono i nomi dei
fasti a loro volta. Inoltre nei calendari, davano il nome all’anno)
consoli e dei magistrati eponimi (che degli anni precedenti, per
facilitare il computo del tempo. Sono detti fasti anche gli elenchi di tali magistrati, corredati
dall’indicazione degli avvenimenti più rilevanti verificatesi durante l’anno. Questi elenchi
venivano esposti in pubblico per la comune consultazione.
Fra i resti epigrafici dei fasti consulares è stata rinvenuta una lista di magistrati eletti dal 164
all’84 a.C. (fasti Anziati, così denominati perché ritrovati su una parete di un edificio ad Anzio).
I fasti capitolini (Tavola 4) sono stati rinvenuti su frammenti di marmo, nel XVI sec., e
l’indicazione degli avvenimenti di rilievo per il
contengono le liste dei maggiori magistrati con
periodo che va dal V sec. a.C. al 19 d.C. Con i vari ritrovamenti susseguitesi nel tempo si è
giunti ad avere 49 rammenti di marmo che costituiscono resti dei fasti consulares capitolini, così
chiamati perché conservati in Campidoglio. La cronologia da essi seguita si basa sul computo del
tempo secondo l’era catoniana, che colloca la fondazione di Roma nel 752 a.C. I fasti trionfali
capitolini recano, invece, le registrazioni dei nomi, del titolo, della data degli onorati del trionfo
e dell’indicazione del popolo o del comandante vinti, a partire dalla fondazione di Roma fino al
19 a.C. A tale lista è erroneamente attribuita la denominazione di fasti, dal momento che non è
inserita nei calendari.
La tomba Francois Di Vulci (Tavola 5), è fonte indiretta di cognizione, e riveste particolare
importanza per le raffigurazioni sulle sue pareti. Scoperta nel 1857 dal Alessandro Francois,
risale al V-IV sec a.C. e presenta resti di pitture murali con soggetti storici e mitologici di
notevole valore.
In particolare è da sottolineare un fregio pittorico raffigurante una scena di lotta in cui sono
riportati i nomi dei soggetti. Ritroviamo Macstrna che libera Caile Vipinas, tagliando i ceppi alle
mani con la spada. L’imperatore Claudio, in un’annotazione ad un suo discorso al senato,
riferisce l’esistenza di un’antica tradizione secondo cui il re Servio Tullio, di origini etrusche, era
chiamato Mastarna (latinizzazione del nome del soggetto raffigurato nella tomba), ed era
compagno, del condottiero Celio Vibenna (latinizzazione del nome Caile Vipinas). In seguito
Mastarna, dopo la conquista di Roma e dopo la morte del compagno, sarebbe entrato in conflitto
con il fratello di Celio, Aulo, e dopo averlo ucciso cambiò il nome in Servio Tullio e divenne re
dato figurativo conferma l’esistenza di alcuni personaggi narrati dalla
di Roma. Questo
tradizione, secondo la quale ad un certo punto del periodo monarchico subentrò la dominazione
etrusca, che occupò Roma sostituendosi alla dinastia latino-sabina. Il racconto tradizionale trova
conferma in una fonte indiretta che ne avvalora il contenuto.
III Età Preclassica.
Il periodo storico indicato come epoca preclassica, va dall’avvento della Repubblica al
consolidarsi, con Augusto, del nuovo ordine costituzionale del Principato. Mentre per il termine
in dottrina, dato che quasi tutti gli autori riconoscono che l’ordine
finale non sorgono dubbi
repubblicano viene meno con l’avvento del Principato, il termine iniziale, come evidenziato in
precedenza, non è nettamente stabilito, oscillando fra il 367 (con il sorgere dello Stato patrizio-
plebeo ed il definitivo avvento della coppia consolare) e il 242 a.C. (nascita del praetor
peregrinus e consolidarsi dell’economia mediterranea).
Viene escluso da tale periodo, in ogni caso, il lasso di tempo fra la cacciata dei re (509) e
l’avvento della coppia consolare (367), periodo in cui esiste una sola certezza istituzionale data
dalla creazione del decemvirato legislativo, che diede vita alla legge delle XII Tavole. Al vertice
dell’ordine statuale, in questo lungo periodo, si sarebbero avvicendati coppie consolari e tribuni
militum consulari potestate. Questo periodo è inoltre caratterizzato dall’inasprimento della lotta
rivoluzionaria della plebe, che rivendicava interventi di natura economica, sociale e politica,
come l’abolizione della schiavitù per i debiti (nexum), la concessione del connubium con i
patrizi, l’accesso alle più alte cariche dello Stato e ai collegi sacerdotali. Si può ipotizzare che in
questo periodo il controllo politico dello Stato fosse mantenuto dall’organismo militare, che
aveva giocato un ruolo determinante nella cacciata dei re e nella lotta contro gli Etruschi di
Porsenna. La tradizione sostiene che all’indomani della cacciata dei Tarquini aveva assunto il
comando dello Stato una coppia consolare, L.Giunio Bruto e L. Tarquinio Collatino, che erano
probabilmente i comandanti delle legioni con grado di praetores. Tale coppia di praetores-
consules perdurò fino all’instaurazione del decemvirato legislativo nell’anno 451 a.C.
(interruppe la sequenza consolare e mostrò evidenti spinte oligarchiche), salvo il ricorso alla
figura del magister populi (dittatore) in caso di gravi motivi inerenti alla salvezza della patria,
verificatosi eccezionalmente per pochi anni e mai consecutivi. La cacciata dei decemviri e
l’ascesa al potere dei consoli Valerio ed Orazio diede il via alla fase politica consolare che perse
via via le connotazioni militari e divenne un organo costituzionale della Repubblica, con una
dei plebei alla carica di console nel 367 (leggi
svolta definitiva determinata dall’ammissione
Liciniae Sextiae), epilogo della lotta patrizio-plebea. Nel 444 a.C. vennero conferiti poteri
supremi ai tribuni militum,organi tipicamente militari a cui, in seguito, ebbero accesso anche i
plebei, detti consulare potestate.
La Repubblica si fondava su tre organi costituzionali: le magistrature, il senato e le assemblee
popolari.
Il concetto romano di magistratura fu quello di ufficio astrattamente considerato con cui i
singoli cittadini venivano investiti di una carica pubblica avente poteri e competenze
determinate. Il magistrato, come portatore di pubblici poteri, fa parte di una categoria astratta
comprendente più figure. Caratteristiche delle magistrature furono la temporaneità e la
responsabilità, la pluralità e la collegialità, l’elettività e l’onorarietà.
Per temporaneità si intende la durata limitata nel tempo della carica magistratuale, che per
questo motivo si differenzia dalla figura del re che aveva carica perpetua. La carica del
magistrato era stabilita in un anno di durata, alla fine del periodo si doveva reiterare la procedura
elettorale per la nomina di nuovi magistrati. Il potere così conferito è irrevocabile, e il magistrato
non può essere destituito se non per vizi inerenti al processo di investitura (presa dagli auspici).
Il magistrato è sottoposto alla legge e deve osservarla, per cui a fine mandato può essere
chiamato a rispondere degli atti compiuti in violazione ad essa (responsabilità).
La pluralità delle magistrature va intesa sia nel senso che coesistono diverse figure magistratuali
(console, pretore, edile, tribuno della plebe, questore e censore) sia nel senso che ogni
Costoro condividono l’intero potere sia
magistratura è formata da più componenti (collegialità).
nel senso che ciascuno è titolare per intero di esso e non pro parte. da tale principio discende il
diritto di intercessio, cioè la possibilità data a ciascun conlega di opporsi all’operato dell’altro,
l’efficacia degli atti compiuti.
annullando Investite del potere di eleggere i magistrati sono state
le assemblee dei comizi tributi, dei comizi centuriati e dei concilia plebis. Il carattere di
onorarietà va inteso, in primo luogo, come attribuzione, assieme con la carica, di una serie di
honores al soggetto eletto, e, in secondo luogo, dal punto di vista della gratuità della carica, per
cui il magistrato esercitava le funzioni a sue spese. l’imperium.
I poteri attribuiti ai magistrati repubblicani furono la potestas e La prima era tipica
di tutte le magistrature, comportava un limitato potere di coercizione, una capacità del magistrato
di dialogare con il popolo non riunito in comizi, un limitato ius edicendi (potere di emanare editti
in materia di multe ad es.). L’imperio invece, era proprio solo dei magistrati
solo in casi limitati,
maggiori (consoli e pretori) ed era attributivo del comando militare, di un potere generale di
coercizione sia di carattere patrimoniale che personale, del potere di convocare il senato ed i
comizi, nonché per i pretori la iurisdictio (lo ius dicere processuale), ed infine il potere di
emanare editti come programmi di governo nelle materie di propria competenza.
Le assemblee popolari attive in questo periodo furono il comizio centuriato, il comizio tributo ed
i concilia plebis.
Il comizio centuriato era detto anche comitatus maximus, ed era composto da tutti i cittadini
dall’assemblea del popolo riunito
abili alle armi di età compresa fra i 17 ed i 69 anni, e derivò
nell’esercito Il comizio mantenne la divisione in centurie dell’esercito
centuriato. centuriato (le
centurie dei cavalierini numero di 18, le cinque classi della fanteria divisa in 170 centurie, le
centurie degli ausiliari in numero di 5), il criterio di ripartizione fra le classi (maggiore o minore
ricchezza accertata dai censori, durante il censimento, che provvedevano all’assegnazione dei
cittadini nelle classi e nelle centurie sia dell’esercito che del comizio), il luogo di
riunione(Campo Marzio), il sistema di convocazione (solo i consoli ed i pretori hanno il potere di
convocare i comizi centuriati).
Le funzioni fondamentali di tale assemblea erano quella legislativa (votazione di leggi sulla base
di una rogatio presentata dal console o dal pretore, esercitata con un sistema di votazione che
privilegiava i più ricchi e i più anziani. La consultazione infatti cominciava dai più abbienti e,
raggiunta la maggioranza, non veniva consultato il resto delle classi. I più anziani erano
privilegiati dal momento che l’unità votante era la centuria ed essendo quelle degli anziani meno
affollate rispetto a quelle dei giovani, era diverso il peso individuale del voto), quella elettorale
(potere di eleggere i magistrati maggiori, console, pretore e censore, su indicazione del
magistrato in carica), e quella giurisdizionale, che permetteva di attivare il processo accusatorio
in materia di repressione criminale (il processo era diviso in due fasi: nella prima il magistrato
che promuoveva l’accusa procedeva all’istruzione del processo, alla contestazione dei capi di
imputazione e all’assunzione e discussione delle prove, nella seconda il popolo, riunito ed
ordinato in comizio, veniva chiamato a votare sulla condanna o assoluzione dell’imputato).
erano l’assemblea di
I comizi tributi tutto il popolo riunito, secondo il criterio territoriale della
ripartizione per tribù. Parte della dottrina ritiene che la loro origine debba essere collegata alla
trasformazione dell’assemblea della plebe (concilia) in comizi, dopo che era stato equiparato il
valore delle decisioni plebee (plebiscita) a quelle dei patrizi (leges) con la legge ortensia.
Secondo altra parte della dottrina la nascita di questo nuovo comizio sarebbe derivata da
un’esigenza di semplificazione delle complesse procedure di convocazione e di votazione che
caratterizzavano i comizi centuriati e di basare la forza della volontà popolare son su un criterio
timocratico ma sulla residenza nelle singole tribù. Della tribù si faceva parte in base alla
residenza, alla posizione geografica del possedimento fondiario del cittadino. Il numero
complessivo delle tribù dopo il 241 fu di 35. Le funzioni di tali comizi erano analoghe a quelle
del comizio centuriato, ma considerate di rango inferiore. Il sistema di votazione si svolgeva
sulla base della pronuncia di ciascuna tribù il cui voto favorevole o contrario alla proposta era
dato dalla maggioranza dei voti dei singoli residenti. La deliberazione era approvata con il voto
favorevole della maggioranza delle tribù.
I concilia plebis erano invece le assemblee originarie della plebe, punto di incontro degli
interessi ed epicentro dell’elaborazione della strategia rivoluzionaria prima del riconoscimento
dell’eleggibilità a console del plebeo. Dopo tale avvenimento e la conseguente equiparazione del
plebiscito (originarie deliberazioni dei concilia vincolanti solo per la plebe) alle leges prodotte
dai patrizi, furono accomunati alle altre due assemblee deliberanti della civitas repubblicana e le
sue decisioni divennero vincolanti per tutto il popolo. Le funzioni, analoghe a quelle delle altre
due assemblee erano quella legislativa, quella elettiva dei magistrati plebei e giurisdizionale in
materia di multe.
organo portante della costituzione repubblicana, manteneva il controllo dell’indirizzo
Il senato, e della programmazione finanziaria, dell’attività militare, della politica
politico della civitas
estera e dell’attribuzione delle funzioni ai magistrati. All’inizio della Repubblica era composto
da 300 senatori, fino a diventare 1000 al termine del governo di Cesare. Si diveniva senatori in
In seguito all’ammissione
quanto ex magistrati, ed in seguito ad una lectio operata dai censori.
dei plebei alle magistrature, questi ebbero anche accesso al senato, inizialmente, però, in
posizione di inferiorità per via della loro esclusione da alcune funzioni ed un limitato potere nella
dichiarazione di voto. Il senato poteva essere convocato dai consoli e dai pretori, e in seguito
anche dai tribuni della plebe ed esercitava funzioni di carattere costituzionale (potere di
nominare l’interrex che nel sistema repubblicano convocava solo i comizi, sostituendo i
magistrati nel caso eccezionale in cui fossero periti tutti), di controllo sulle deliberazioni
comiziali e di supporto e d’aiuto ai consoli mediante il senatoconsulto, parere formalmente non
vincolante rivolto ai magistrati, ma sostanzialmente vincolante dal punto di vista politico,
attraverso il quale il senato indirizzava l’attività di governo secondo le linee di continuità e
coerenza. Secondo Polibio la struttura costituzionale repubblicana appariva una sintesi atta a
superare le tre forme di governo secondo la distinzione aristotelica (monarchia, aristocrazia,
democrazia), rappresentando i magistrati l’elemento monarchico, il senato l’elemento
le assemblee popolari l’elemento democratico.
aristocratico e
Momenti rilevanti di questo periodo sono in particolare, oltre al raggiungimento della pace fra
patrizi e plebei, l’espansione territoriale di Roma e la conseguente inadeguatezza del sistema
della città-stato, ed il metodo di organizzazione del territorio conquistato, tendente più allo
sfruttamento della risorse che alla formazione di una grande entità politica. Con una sanguinosa
rivolta degli alleati italici contro Roma, fra il 91 e l’88 a.C. si giunse all’estensione dello stato di
cittadini romani a tutti gli abitanti dei territori italiani, di conseguenza il sistema politico
tradizionale risultò inadeguato e la stessa funzionalità delle assemblee divenne puramente
nominale, non essendo possibile lo spostamento periodico di grandi masse di cittadini da luoghi
L’unico rimedio possibile era quello di
anche molto distanti, per la manifestazione del voto.
concedere alle entità locali (colonie e municipi) una certa autonomia amministrativa. Vennero
creati dei comandi straordinari che generavano arbitri ed innescavano processi di sfruttamento
L’impostazione politica dei rapporti con i territori conquistati,
delle popolazioni provinciali.
fuori dall’Italia, si ispirava al principio della confisca impietosa di risorse, e il risultato della
romanizzazione ottenuto in Italia non fu perseguito su tali territori che, privi di una
riorganizzazione amministrativa unitaria, furono abbandonati allo sfruttamento economico,
generando solo un flusso economico verso Roma, in favore di gruppi sociali ristretti quali
l’aristocrazia senatoria ed i cavalieri. La carenza di vera strategia politica del sistema statuale
repubblicano, non permise ai gruppi di potere dell’ultimo periodo repubblicano di immaginare
una linea costituzionale che permettesse a Roma di omogeneizzare i propri possedimenti in tutto
il mondo. Solo il sistema del potere assoluto permise ad Augusto ed ai suoi successori di
realizzare una comunità romana universale.
Le fonti di cognizione in diritto preclassico, presentano la caratteristica di una distribuzione non
omogenea durante i secoli, IV-I a.C., di vigenza della costituzione repubblicana. Per la prima
parte, fino all’inizio delle guerre puniche, le fonti di cognizione sono assai scarse e vi è ancora
presenza di racconti ascrivibili alla tradizione. Per il periodo successivo vi è invece
un’abbondanza di fonti sia primarie che secondarie.
Come fonti primarie in senso tecnico, si possono indicare i primi resti epigrafici di leges (la
testimonianze preziose dell’attività legislativa dei comizi, e
tabula Bantina e la tabula Bembina)
di senatoconsulta (Tabula senatoconsultum de Bacchanalibus).
Della lex possiamo distinguere, grazie a queste fonti, tre parti, una prima composta dall’index
nel nome del magistrato che l’ha proposta e
(denominazione della legge), consistente
nell’argomento, e la praescriptio formata dalle prime linee della legge che riferiscono il nome
del magistrato proponente, la data e il luogo di approvazione della legge, il nome della tribù e del
primo cittadino di questa chiamato al voto. La seconda parte è composta dalla rogatio, e consiste
nel testo legislativo, talvolta distinto in paragrafi, preceduti da titoli.
Infine la terza parte contiene la sanctio, contenente la sanzione per la violazione della legge
stessa nonché alcune clausole volte ad armonizzare il nuovo dettato legislativo con altre
disposizioni già esistenti. un’efficacia diretta verso i cittadini,
Il senatoconsulto invece non aveva inizialmente dato che il
senato, organo consultivo, era privo del potere legislativo ed era composto da praescriptio
analoga a quella della legge, con i nomi dei senatori al posto di quello del magistrato, la relatio
contiene il testo della questione proposta al senato stesso ed infine la sententia, consiste nella
decisione dei senatori. Tra le fonti primarie ritroviamo anche resti epigrafici di atti della prassi
giuridica (lex parieti faciundo Puteolana), importanti testimonianze negoziali dello sviluppo e
della concreta applicazione ed attuazione degli istituti giuridici.
La Tabula Bantina (fonte primaria di cognizione in senso tecnico) è un resto epigrafico di leges
consistente in una lastra di bronzo, divisa in due frammenti, il primo e più grande è stato
rinvenuto nel 1790 sul Monte Montrone, nel territorio di Oppido Lucano, ed oggi è conservato
nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Il secondo frammento, più piccolo, è stato
rinvenuto nello stesso territorio nel 1967 ed è conservato nel Museo di Venosa.
La tavola, dotata di un foro per poterla affiggere, contiene un testo legislativo in due lingue sui
due fronti, sul primo lato è in lingua osca, mentre sul retro è in lingua latina.
La Lex Osca (Testo 1) contiene norme riferibili allo statuto del municipio bantino e disposizioni
sulla limitazione del diritto di intercessione sui processi comiziali, sul censo, sulla procedura
civile e sul cursus honorum, mentre la lex Latina (Testo 2) riferisce la sanzione di una legge
romana inerente all’obbligo di osservanza della legge da parte dei magistrati con le relative
sanzioni. Prima del ritrovamento del secondo frammento la dottrina riteneva più antica la legge
osca e successiva quella latina. Con il ritrovamento del 1967 si è riusciti a comprendere che il
testo osco è più recente di quello latino. Si è notata infatti la presenza, al centro del lato inferiore
della faccia scritta in osco, di un foro che si deduce essere stato praticato prima dell’incisione del
testo, viceversa guardando la faccia sulla quale è incisa la legge latina, si nota che il foro ha
rovinato la parola scritta prima che esso venisse praticato. Da ciò si evince ch la legge osca è
stata incisa dopo che la tavola è stata forata, quella latina in un periodo di tempo antecedente. La
lex latina è da ritenersi risalente alla seconda metà del II e I secolo a.C., la lex osca al I secolo
a.C.
La Tabula Bembina è il resto epigrafico di una lex. È stata rinvenuto in frammenti nel corso del
XV sec. nei pressi di Urbino. I dieci frammenti sono conservati presso il Museo Archeologico
Nazionale di Napoli, ed in parte a Vienna. Questa tavola di bronzo fu donata dal duca di Urbino,
Federico di Montefeltro al cardinale Pietro Bembo, letterato e umanista che trascorse un periodo
di tempo presso la corte di Urbino e dal quale la tabula prende il nome.
Su un lato riporta la lex agraria del 111 a.C., che reca disposizioni in merito al regime giuridico
dell’ager in Italia, Africa e Corinto. Sull’altro lato è presente un ampio brano della
publicus lex
rogata de repetundis, databile alla fine del II sec. a.C. recante disposizioni volte a reprimere
concussioni ed illegalità poste in essere da magistrati e governatori delle province. La dottrina
maggioritaria considera il brano inciso appartenente alla lex Acilia repetundarum del 123 a.C.,
per altri, invece, si tratta della lex Servilia Glauciae, presumibilmente del 104 a.C., per altri
ancora si tratta della lex Sempronia de iudiciis del 122 a.C.
Il Senatoconsultum de Bacchanalibus (Tavola 6) è un resto epigrafico su lastra di bronzo
rinvenuto nel 1640 a Tiriolo (Catanzaro), conservata oggi a Vienna.
È l’incisione di un’epistola, inviata dai consoli nel 186 a.C. si magistrati dell’ager Teuranus
affinché rendessero pubbliche e applicassero le statuizioni del senatoconsulto, di cui le principali
disposizioni sono trascritte nella stessa lettera. Il senatoconsulto mira alla repressione dei
Baccanali, degenerazione delle feste e dei culti di Bacco. Il contenuto (Testo 3) ci comunica che i
consoli che avevano sottoposto al senato la questione erano Q. Marcio Filippo e Sp. Postumio
Albino, e gli estensori del parere erano i senatori M. Claudio Marcello, L. Valerio Flacco e Q.
Minucio Rufo. Il teso contiene indicazione di una serie di divieti erga omnes tra i quali quello di
celebrare i Baccanali o assistervi, di assumere il titolo di sacerdote o di essere capo dei relativi
sacrifici, di vincolarsi con giuramento, voto, promessa nonché di prestarsi reciproco aiuto, di
eseguire riti sacri in segreto, in pubblico o in privato, salva l’autorizzazione del pretore urbano,
previa deliberazione del senato, con la presenza di almeno 100 senatori. Viene limitato a 5 il
numero delle persone che, eventualmente, possono prendere parte ai Baccanali, previa
autorizzazione del pretore, sentito il senato, composto da almeno 100 senatori. La sanzione per i
trasgressori è la pena capitale. Viene inoltre disposto lo scioglimento delle associazioni dei
Baccanali, che deve avvenire entro 10 giorni, e che il senatoconsulto debba essere inciso su
bronzo ed esposto al pubblico per tre mercati consecutivi. Il testo del senatoconsulto non pare
omogeneo e si ritiene che alcune disposizioni in esso contenute siano in realtà un’aggiunta fatta
dalle autorità locali che avrebbero compendiato varie norme emanate nel tempo per la
repressione dei Baccanali.
La lex parieti faciendo Puteolana (Testo 4) è relativa al diritto privato, riferendosi a negozi
giuridici della pratica quotidiana, iscritta su una tavola di marmo (Tavola 7) rinvenuta a Pozzuoli
Si tratta dell’incisione di un capitolato d’appalto
e conservata al museo archeologico di Napoli.
di opere pubbliche relativo all’edificazione di un muro e di una porta della città di Pozzuoli.
sulla base dell’anno di deduzione della colonia e
Nella praescriptio è indicata la data, calcolata
del nome dei duoviri di Pozzuoli e dei consoli a Roma, che ci permette di collocarla nel 105 a.C.,
anche se il tipo di marmo usato per l’iscrizione ed i caratteri dell’iscrizione depongono a favore
di una collocazione nell’età imperiale. Il contrasto tra il materiale scrittorio e la data si spiega
ipotizzando una successiva trascrizione del capitolato d’appalto, che usualmente non veniva
pubblicata. Ciò probabilmente per commemorare uno dei personaggi che sono indicati nel
contratto o la loro famiglia o per motivi di benemerenza. Dopo la praescriptio è indicato
del
l’oggetto contratto, cioè la costruzione di un muro davanti al tempio di Serapide. Nel
specificata la richiesta di una garanzia all’appaltatore, prestata da un certo
contratto viene anche le caratteristiche dell’opera
numero di garanti. Indica poi le dimensioni, ed il materiale che deve
L’opera comporta l’apertura di una porta monumentale
essere utilizzato per la sua realizzazione.
nella parete frontale dell’edificio, la chiusura di porte e finestre preesistenti sull’altra facciata
dell’edificio ed una sistemazione dell’area in cui esso è collocato, nonché lo spostamento dei
Nell’ultima parte sono indicate le disposizioni in materia di
monumenti sacri presenti in luogo.
collaudo e approvazione dell’opera finita, la data di consegna e le modalità di pagamento che
avverrà in due soluzioni la prima al momento del conferimento delle garanzie, la seconda dopo il
Sono riportati i nomi di 5 soggetti, tra cui C. Blossius, ritenuto essere l’appaltatore ed
collaudo.
uno dei garanti. Si ipotizza che gli altri 4 nomi riportati siano dei garanti.
La tabula Contrebiensis (Tavola 8), rinvenuta nel 1979 presso Saragozza, è una fonte epigrafica
costituita da una lastra di bronzo che presenta sei fori per la pubblica affissione. Reca il testo di
una decisione del senato di Contrebia emanata nell’87 a.C. e volta a dirimere una controversia
insorta tra alcune popolazioni stanziate nel territorio e stanziate nella valle dell’Iberum, nella
Hispania Citerior: si tratta degli Allavonenses, dei Salluienses, dei Sosinestani. Oggetto della
contesa (Testo 5) è una porzione di suolo delimitato pubblicamente dai Salluienses, dopo averlo
per costruire un canale di conduzione dell’acqua.
occupato previo acquisto dai Sosinestani,
si oppose
All’acquisto la popolazione degli Allavonenses, che vantavano un diritto sullo stesso
suolo. Le due popolazioni esposero le proprie ragioni davanti al governatore Valerio Flacco,
espressione del potere centrale di Roma, e la decisione dei membri del senato di Contrebia, fu a
favore dei Salluienses che conservarono la proprietà, versando però un indennizzo alla
controparte. La dottrina maggioritaria reputa che si tratti di una pronuncia arbitrale, ovvero di
una decisione scaturita da una forma litigiosa atipica. Vi è invece una corrente che sostiene che si
tratti di una vera e propria sentenza emessa a seguito di un processo prodromico (= molto simile)
rispetto a quello formulare.
IV Età Classica. dell’assetto politico istituzionale
Tale periodo è caratterizzato dall’instaurarsi del Principato,
potere di Augusto fino all’ascesa al trono di Diocleziano (284 d.C.).in
dall’avvento al questo
periodo si verifica un processo di trasformazione politica dello Stato romano, da res popoli a res
privata principis: le istituzioni repubblicane vengono affiancate e poi sostituite dalle figure del
l’uccisione di
nuovo ordine politico augusteo. Alle idi di Marzo del 44 a.C., Cesare pone fine al
tentativo di instaurazione di un nuovo regime, Ottaviano, che si trovava ad Apollonia (in Epiro),
e di essere stato istituito suo erede (Cesare l’aveva adottato),
avuta notizia della morte dello zio
l’eredità, dà esecuzione agli ingenti lasciti di Cesare a favore del popolo ed
torna a Roma, accetta
assume il nome del padre adottivo (quindi diventa Caio Giulio Cesare Ottaviano Augusto). Le
mire di ripristino delle libertà repubblicane dei cesaricidi vengono spezzate dalla politica
aggressiva di Augusto, che avvia la costruzione di un nuovo ordine politico, con forte
accentramento di poteri personali e perpetui verso il capo, mettendo in opera scelte politiche di
alleanza fra l’ordo senatorius ed i cavalieri, e gli uccisori di Cesare ed i Cesariani. Viene ad
affiancarsi alle istituzioni repubblicane una struttura incentrata sulla subordinazione gerarchica e
della delega dei poteri: ciò permette al principe di essere titolare di tutti i poteri delegati nonché
delle sostanze mobiliari ed immobiliari riconducibili al vertice politico. Il fiscus Caesaris, le
province imperiali, i funzionari, l’Egitto,lo stesso diritto con le costituzioni imperiali, non
appartengono alla collettività statuale,né sono ad essa riconducibili ma sono proprie del principe.
Augusto riveste il consolato al di fuori dei limiti giuridici e fonda il suo potere su di una
e viene investito dei poteri fondamentali come l’imperium
investitura plebiscitaria proconsulare
maius et infinitum e la tribunicia potestas, con atti del senato emanati in aperta violazione dei
principi regolatori del sistema. Inoltre l’uno e l’altro potere sono utilizzati fuori dal loro contesto
originale, in quanto per il primo potere si doveva essere magistrati o promagistrati e per il
secondo tribuni della plebe ed Augusto non aveva nessuna delle due cariche. Augusto era inoltre
dotato di auctoritas. Con Augusto si ebbe la fine del sistema della città-stato. Trionfava
l’imperialismo con i suoi caratteri tipici della subordinazione e dello sfruttamento dei territori
conquistati che venivano esclusi da qualsivoglia forma di integrazione: non si verificò per
l’Impero quanto era avvenuto in Italia in seguito alla concessione della cittadinanza romana agli
Italici, e quando ciò sembrò avvenire (nel 212 d.C. viene concessa la cittadinanza a tutti gli
dell’Impero) lo strappo si era prodotto e la nuova posizione del
abitanti principe coincideva con
la figura monarchica. Augusto, per opportunità, decide di lasciare in vita la costituzione
repubblicana, frutto della sintesi politica tra patrizi e plebei. Il nuovo ordine augusteo ripristinò
l’arcaico sistema gentilizio e familiare incentrato sul rapporto fra sui iuris ed alieni iuris, gli uni
titolari di diritti, gli altri possibili destinatari di ordini o incarichi. Quest’ultimi privi di
autonomia gestionale ed incapaci di essere titolari di diritti, costituivano gli strumenti del sistema
patrimoniale e politico del pater da cui ricevevano, in seguito alla morte, il potere di soggetti sui
iuris. Augusto aveva attivato il meccanismo verticistico del potere dell’auctor che con la sua
auctoritas conferiva essenza e valore agli atti dei sottoposti odei pupilli sotto tutela. Tale
principio giuridico di natura privatistica permise ad Augusto ed ai suoi successori di costruire un
ordine politico statuale che potesse reggere l’Impero. Il Principato appare essere la trasposizione
in termini di diritto pubblico del concetto arcaico del pater, unico soggetto sui iuris, e del
principio di appartenenza del meum esse.
Il soggetto civis romanus che era stato perno della Repubblica, contrapposto allo straniero in
termini di esclusivismo giuridico e di appropriazione del concetto stesso di romanità, viene ad
essere suddito dell’Impero, fino a giungere all’editto di Caracalla (212 d.C.) che attribuisce la
cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’Impero stesso.
Il percorso di Augusto è interessante e mirabile, nel 43 ottiene la carica di console, rinnovata fino
l’inviolabilità tribunicia, e nel
al 23, quando vi rinuncia spontaneamente, intanto nel 36 ottiene
30 lo ius auxilii, senza essere tribuno della plebe. Nel 29 gli viene conferito il titolo di imperator,
nel 28 diviene princeps senatus (controlla il senato e supervisiona tutte le magistrature) e quando
l’imperium
rinuncia alla carica di console nel 23 riceve proconsulare maius et infinitus e la
un’attività di comando e di controllo su tutte le
potestà tribunicia. Con il primo potere esercitava
province e all’interno del pomerium. Il potere era maius rispetto all’imperium dei proconsoli e
gli garantiva il comando di tutti gli eserciti. Con il secondo assumeva il potere di convocare i
concilia, di prendere provvedimenti di polizia e lo ius intercessionis, mediante il quale poteva
opporsi agli atti di qualsivoglia magistrato con valenza assoluta. Esercitò la lectio senatus che gli
permise un’attività di epurazione a danno dei senatori e di scelta dei nuovi. Esercitava la sua
supremazia in senato, dal momento che era princeps senatus, con l’asservimento quasi totale
delle magistrature,mediante un potere di scelta dei candidati e di supervisione sul loro successivo
sul senato nell’esercizio della funzione giurisdizionale in
operato. Esercitava un controllo
materia penale. Assunse inoltre il pontificato massimo nonché altre cariche sacerdotali.
A questo punto rimaneva fuori dalla sfera di influenza di Augusto solo la giurisprudenza,
struttura dello stato. Si risolse il problema con l’attribuzione al
sganciata dalla princeps di
un’autorevolezza tecnica da giurista espressa con lo ius respondendi ex autoritate principis, che
si sostanziava in una garanzia presto realizzata in fatto, di attendibilità presso il giudicante dei
responsi del principe alle domande rivoltegli dal soggetto in causa su questioni di diritto.
che prevedeva l’attribuzione
Venne istituito anche il processo chiamato cognitio extra ordinem
di questioni di diritto di particolare importanza al principe direttamente o a commissioni da lui
istituite.
Per la gestione dell’Impero vennero a delinearsi diverse figure di funzionari alle dipendenze del
princeps. Si distingue fra i funzionari, la figura del praefectus praetorio che dirigeva le coorti dei
pretoriani e il corpo di guardia dell’imperatore. Nel II sec. d.C. assunse importanti funzioni
giurisdizionali in grado di appello avverso le sentenze di governatori delle province.
Al praefectus urbis era affidato il comando delle coorti urbane, con poteri di polizia e tutela
dell’ordine pubblico, oltre a poteri di giurisdizione civile e penale su territorio di Roma.
era preposto all’approvvigionamento dei mercati per i generi di prima
Il praefectus annonae
necessità in particolare e competenza giurisdizionale per gli illeciti commessi in tale materia.
Il praefectus vigilum doveva assicurare il controllo degli incendi e vigilare sulla sicurezza
notturna. era funzionario di amministrazione dell’Egitto, annesso all’impero dopo
Il praefectus Aegypti il
30 a.C., in cui era vietato l’accesso anche ai senatori senza la sua autorizzazione, essendo
l’imperatore considerato successore della dinastia tolemaica.
Particolare importanza rivestiva la cancelleria imperiale composta all’inizio da un gruppo di
ausiliari privati del principe, suddivisa poi in diversi uffici gestiti da funzionari di rango elevato,
essi erano gli uffici:
-ab epistulis, provvedeva alla corrispondenza del principe
-a libellis rispondeva alle interrogazioni rivolte al principe dai privati
-a cognitionibus coadiuvava il principe nello svolgimento della funzione giurisdizionale nella
cognitio extra ordinem
-a rationibus, si occupava della gestione delle casse imperiali
-a memoria, redigeva ed archiviava gli atti ufficiali della pubblica amministrazione.
dovuto all’imperatore considerato proprietario del
Alle province imperiali era posto il tributum
suolo provinciale.
La politica finanziaria imperiale contrappose al vecchio istituto dell’aerarium della finanza
senatoria diversi nuovi istituti:
-l’aerarium militare, creato per sopperire alle esigenze finanziarie per il congedo dei militari,
dipendeva direttamente dal principe
-il fiscus, cassa centrale imperiale sorge coi successori di Augusto e vi si concentrano le casse
delle singole province
è a carattere personale e consiste nell’insieme delle proprietà del principe, in
-il patrimonium,
seguito connesso non alla persona ma alla funzione del principe
-la ratio privata, era a disposizione del principe per le esigenze private indipendentemente dalla
carica, la sua amministrazione era affidata ad un procurator.
Per quanto concerne la produzione normativa, con il principato si affermano come fonte primaria
le costituzioni imperiali, che divengono mezzi usuali di normazione, espressione della volontà
cogente del principe (quod principi placuit legis habet vigorem).
Sulla disciplina del processo Augusto intervenne nel 17 a.C. con l’emanazione di due leggi la lex
Iulia iudiciorum privatorum e la lex Iulia iudiciorum publicorum. Con la prima si pose fine
all’applicazione della procedura per leges actionis e si regolò in via definitiva il processo
formulare, che diviene procedimento ordinario. Con la seconda legge venne data forma al
Ma l’innovazione principale sta nell’inserimento graduale
sistema delle quaestiones perpetuae.
di nuovi modelli procedurali chiamati extra ordinem, che differiscono dai processi formulari.
Essi vengono attribuiti alla competenza di un funzionario che viene nominato iudex e segue il
L’iniziativa processuale non spetta più alla
procedimento dalla fase introduttiva alla sentenza.
parte che si reputa lesa, ma sta in capo allo Stato, con un procedimento di stampo inquisitorio.
Lo svolgimento del processo può qui prescindere dalla presenza delle parti introducendo la
procedura in contumacia.
La sentenza ha la possibilità di essere eseguita manu militari ed impugnata in grado di appello
davanti al superiore in grado del giudicante.
Rispetto alle epoche precedenti, le fonti di cognizione di questo periodo sono in numero più
elevato e maggiormente diversificate per tipologia. Abbiamo ad esempio le Res gestae divi
Augusti, di carattere letterario, resti di leges, di costituzioni imperiali, di senatoconsulti.
Fra le costituzioni imperiali si distinguono varie tipologie di manifestazione della volontà del
principe, abbiamo così edicta, mandata, decreta, epistulae e rescripta.
Editti e mandati sono a carattere generale, i primi fissano principi regolamentari cui devono
attenersi i destinatari, e sono a carattere territoriale, con validità temporale illimitata, possono
intervenire nell’ambito della repressione criminale ampliando o specificando la portata dei
crimine già previsti.
I mandati sono costituzioni a carattere generale che contengono principi ed istruzioni emanati
spontaneamente o su richiesta da parte di funzionari e governatori delle province.
Decreti, rescritti e epistole sono provvedimenti a carattere particolare. I decreti sono sentenze
emanate dal giudice in sede giurisdizionale, i rescritti sono risposte date dal principe alle
richieste avanzate da privati su punti controversi di diritto, mentre le elisole sono delle risposte
scritte che il principe inviava ad un funzionario o magistrato che lo avesse interpellato con
eguale forma scritta.
La Tabula ex lege quae dicitur de imperio Vespasiani (Tavola 9, Testo 6), è una grande tavola
di bronzo scoperta a Cola di Rienzo fra il 1342 e il 1350 ora conservata presso il Museo
Capitolino di Roma. Si presentava murata in un altare della basilica di San Giovanni in Laterano,
con l’iscrizione rivolta verso il basso. Contiene una parte della rogatio e della sancito della lex
de imperio Vespasiani con la quale fra il 69 ed il 70 d.C. vennero conferiti i poteri imperiali a
Vespasiano, appunto.
La Tabula Hebana, rinvenuta nel 1947 nel territorio che fu della colonia romana di Heba nella
maremma toscana (oggi provincia di Grosseto) contiene la parte finale della rogatio della
Rogatio Iunia Petronia de honoribus Germanico decernendis (Testo 7). Attualmente è
dell’Etruria a Firenze.
conservata presso il museo archeologico
È un resto epigrafico databile tra il 19 ed il 20 d.C. e contiene le onoranze postume da tributare
alla memoria di Germanico, fra cui la collocazione dell’effige dello stesso, di suo padre e di suo
zio sopra i capitelli delle colonne del porticato del tempio di Apollo sul Palatino, la sospensione
delle attività ad ogni anniversario della sua morte e la prescrizione di sacrifici agli dei Mani.
La Rogatio ci trasmette notizie in merito alla formazione delle centurie e al procedimento di
elezione dei pretori e dei consoli da parte del comizio centuriato.
La lex Irnitana (Tavola 10, Testo 8) è contenuta in sei tavole bronzee rinvenute nel 1981 presso
Siviglia, e reca lo statuto municipale della cittadini di Irni. Attualmente è custodita dal Museo
Arqueologico Provincial di Siviglia.
Per l’estensione ed il contenuto è considerato il ritrovamento epigrafico più importante degli
ultimi anni. Per le prime due tavolo, il contenuto è oggetto di congetture perché pervenute a
frammenti, mentre nella terza sono disciplinate le magistrature ordinarie municipali, costituite
dagli edili, dai questori e dai duoviri, delle quali vengono elencati diritti e facoltà. Viene poi
esaminata la possibilità di acquisto della cittadinanza romana per honorem con la specificazione
di alcuni problemi ad essa inerenti.
È regolata la figura del prefetto del municipio con diritti e poteri correlati. Sono trattate le
questioni del giuramento dei duoviri, degli edili e dei questori, la manomissione degli schiavi, la
nomina dei tutori, nonché la figura dei decurioni e le norme della loro convocazione ed elezione.
Seguono indicazioni su formazione e funzionamento di curie e comizi, norme in materia edilizia
e fiscale e vari riferimenti ad aspetti di amministrazione e giurisdizione.
Parte della dottrina ritiene che questa legge sia stata redatta seguendo un modello unico e
generale da applicare ai vari municipi, ma vi è chi nega l’esistenza di una norma di tal fatta.
I diplomata militaria sono provvedimenti mediante i quali gli imperatori concedevano particolari
privilegi ai militari quando venivano congedati dall’esercito con onore. Per la maggior parte
della dottrina essi hanno la natura giuridica di edicta e rientrano nel novero delle costituzioni
imperiali. Altra parte ritiene che si tratti li leges datae ed un ulteriore corrente li considera meri
provvedimenti amministrativi privi di valore normativo.
Ci è pervenuta una pluralità di diplomi ritrovati in varie parti dell’impero romano (Tavola 11), di
cui il più antico risale al 52 d.C. mentre il più tardo è del 306. I diplomata si presentano nella
forma del dittico essendo costituiti da due tavolette sottili di bronzo generalmente di ridotte
dimensioni, legate fra loro da un triplice filo metallico che passava fra gli anelli.
Il testo completo del provvedimento, si trova inciso nelle due facce interne su quelle esterne
invece è incisa una copia del testo del provvedimento di concessione e sull’altra i nomi di sette
cittadini romani testimoni e garanti dell’autenticità del documento.
I diplomi erano copie individuali del provvedimento originale che venivano concesse dietro
pagamento al soldato destinatario dei benefici che l’imperatore concedeva. Il testo del decreto
originale, veniva pubblicato in Roma, scolpito su una grossa lastra di bronzo, affissa prima nel
Campidoglio e successivamente nel tempio di Minerva sul Palatino.
I destinatari del provvedimento potevano essere marinai della flotta, equites singulares degli
imperatori, pretoriani ed urbani. Il contenuto dei privilegi poteva riguardare la concessione della
cittadinanza romana per i militari peregrini, il conferimento dello ius conubii che permetteva di
sposare una cittadina romana, diverse tipologie di esenzioni fiscali o, più raramente attribuzioni
di terre.
La Consitutio Antoniniana de civitate peregrini danda è una fonte papiracea, abbastanza
lacunosa, proveniente dall’Egitto, che oggi appartiene alla collezione di Gissen. Contiene il
provvedimento di Caracalla, con cui l’imperatore concesse la cittadinanza romana a tutti gli
abitanti dell’Impero, ad eccezione dei Nello stesso papiro oltre al testo dell’editto sono
dediticii.
contenute altre due ordinanze dello stesso imperatore.
È controversa la data di emanazione dell’editto, anche se la maggioranza degli autori lo colloca
nel 212 d.C. e solo alcuni propendono per una datazione successiva.
È anche incerta la motivazione che abbia spinto Caracalla a questo provvedimento, alcuni
sostengono una ragione fiscale per cui le entrate sarebbero aumentate di gran lunga con
l’aumento dei cittadini.
Altri propendono per motivi di ordine religioso, per sperare le differenze che ancora
permanevano tra i cristiani e no, secondo altri ancora, avrebbero influito motivi di natura
problemi in talune zone dell’impero.
politica,per ottenere la benevolenza del popolo e risolvere
Ulteriori problemi interpretativi sono inerenti allo status dei nuovi cittadini, chi suppone che
questi continuassero a possedere la loro cittadinanza locale in parallelo a quella romana, potendo
quindi utilizzare sia istituti del proprio diritto locale che di ius civile, viene contraddetto da chi
sostiene che la cittadinanza romana omogenizza l’impero assoggettando tutti i cittadini al diritto
civile di Roma.
Anche chi protende per questa seconda soluzione, ammette che i diritti locali permanessero in
uso come consuetudini.
Gli Apokrimata (Tavola 12) sono un gruppo di costituzioni imperiali scritte su un papiro molto
ben conservato proveniente dall’Egitto ed acquistato dalla Columbia University. La
si trae dallo stesso papiro che, scritto in lingua greca reca l’indicazione “copia di
denominazione
Apokrimata affissi nel portico del Ginnasio di Alessandria nel 200 d.C.”
Il termine usato, è stato variamente tradotto, in senso generico con “decisioni” (potendo quindi
poiché si tratta di risposte date dall’imperatore
contenere responsa, rescripta o subscriptiones)
Settimio Severo a cittadini privati di varie nazionalità che lo interrogavano in merito alla
risoluzione di questioni di varia natura.
all’attenzione dell’imperatore sono di diversa natura, abbiamo vasi di
Le questioni sottoposte
diritto privato, amministrativo ed anche penale.
Le domande non sono riportate sul papiro e le risposte sono brevi e concise, rendendo spesso di
difficile comprensione il testo e la natura delle questioni. dell’idios
Come per gli apokrimata, ci è giunto su un papiro anche il Gnomon logos (detto anche
rinvenuto anch’esso in Egitto. Il papiro è di grandi dimensioni, 2
Forma idiologi, Tavola 13),
metri per 3, ed è composto di tre parti. Le prime dieci colonne di scrittura sono ben conservate
mentre l’undicesima è frammentaria. Il termine greco gnomon è stato variamente tradotto, in
senso letterale significa squadra, regolo o modello, ed è stato tradotto in latino col termine forma.
Il testo è una guida di natura fiscale, un piccolo codice redatto ad uso del magistrato, idiologus, e
dei suoi ausiliari preposti in Egitto all’amministrazione di beni che privi di proprietario
entravano a far parte del fisco imperiale. Questo funzionario risulta essere uno dei più alti in
grado di tutto l’impero, considerata l’importanza della provincia egiziana.
Le competenze dell’idiologo e del suo ufficio avevano ad oggetto tutte le attività di natura
fiscale, e all’epoca di Adriano questo ufficio si fonde con la carica di sacerdote capo e
sovrintendente alle cose sacre, con attribuzione delle relative competenze.
Il testo è composto da un proemio e da n insieme di 121 massime, di cui solo 115 sono ben
conservate, ed è redatto interametne in lingua greca. Dal prologo si intuisce che il testo non è
altro che un riassunto di cui è inviata solo una parte, quella centrale, probabilmente quella che
nella vita quotidiana era di maggior applicazione. Le norme emanate per aiutare l’idiologo ed il
suo ufficio dovevano essere molte di più.
Del testo leggibile possiamo distinguere un raggruppamento delle norme per argomento, il primo
gruppo attiene al diritto ereditario, il secondo ai rapporti di stato, il terzo al diritto sacrale greco-
egizio.
Quanto all’autore, parte della dottrina ritiene si tratti di un privato, forse un impiegato che fosse
interessato ad avere il breve codice da consultare, per altri la paternità andrebbe assegnata allo
stesso ideologo con l’intento di trasmettere la conoscenza delle norme agli uffici alle proprie
dipendenze.
In merito alla data è certo che lo scritto sia posteriore al 149 d.C. perché sul retro del papiro sono
registrate alcune operazioni contabili che si riferiscono a tale data, tuttavia, la maggioranza della
collocazione dell’opera verso la fine del regno di Antonino Po fra il
dottrina propende per una
150 ed il 161 d.C. mentre vi è chi posticipa la data all’epoca di Marco Aurelio, fra il 169 ed il
176, sulla base del presupposto che il regime fiscale che emerge dall’opera è piuttosto rigido e si
accorda meglio con quello dell’imperatore M. Aurelio.
Le Tavolette di Transilvania, sono tavolette cerate, in maggior numero trittici, rinvenute fra il
1786 ed il 1855 durante degli scavi in una miniera d’oro abbandonata e sono conservate presso il
Museo di Budapest (Tavola 14).
Sono tavolette di legno leggermente incavato, legate tra di loro con un filo di lino. La scrittura è
solo sul lato interno, mentre le parti esterne non sono destinate alla scrittura perché non cosparse
di cera, e fungono solo da copertina.
Il documento doveva essere segreto, poiché il libretto così formato era reso inaccessibile da una
legatura di filo metallico coperta con i sigilli in cera dei testimoni.
Le tavolette contengono una serie di atti negoziali di varia natura, vi sono contratti di
compravendita, di locatio operarum, di mutuo, di società, di deposito, vi è un verbale con il
quale si da atto dello scioglimento di un’associazione funeraria ed una ricevuta attestante
l’obbligo di pagare un debito. Tutti questi atti sono stati redatti fra il 131 ed il 167 d.C.
Di particolare importanza fra i negozi contenuti nelle tavolette è la mancipatio di una fanciulla
schiava datato 139 d.C. che ci riporta alcune informazioni utili. Rileva infatti che pur essendo i
soggetti del negozi dei peregrini utilizzino la forma solenne della mancipatio riservata ai
cittadini romani, alcuni interpreti sostengono che l’utilizzo di tale formalità fosse solo dovuto ad
uno spirito di emulazione e che il contratto fosse invalido per incapacità a contrarre delle parti e
si risolvesse in una mera traditio, mentre altra corrente sostiene che sia plausibile una
concessione di uno ius commercii a carattere generale per tutti i peregrini della Dacia, vista la
frequenza dell’utilizzo di tali forme in quel territorio. Un’ulteriore interpretazione propende per
l’esistenza di un diritto locale definibile daco-romano, che mutua i caratteri del diritto di Roma,
ma nel contesto e con regole locali valide per i cittadini della regione.
Le Tavolette di Pompei (Tavole 15-16), sono tavolette cerate, alcune protette e ben conservate
dallo strato di cenere emesso dal Vesuvio nell’eruzione che distrusse la città nel 79 d.C.
Il primo gruppo di tavolette è stato ritrovato nel 1875 durante una campagna di scavi all’interno
di cassette di legno poste in una stanza della casa del banchiere Lucio Cecilio Giocondo, si tratta
di 150 tavolette cerate, sia dittici che trittici, contenenti atti connessi all’attività bancaria del
proprietario della casa stessa e dei suoi antenati.
L’archivio può essere datato per gli anni fino al 62 d.C.
I negozi giuridici contenuti nelle tavolette sono di vario tipo, contratti d’affitto di terreni, di
pascoli, anche di suolo pubblico, concessioni di prestiti in denaro, contratti di deposito e di
intermediazione.
Molti sono i casi di testationes, trascrizione di negozi avvenuti fuori dalla forma scritta, ma
copiati a fini probatori.
Il secondo gruppo di tavolette viene rinvenuto nel 1959 durante gli scavi per la costruzione dei
un’autostrada, da cui emerse una domus marittima del I sec. d.C. contenente un archivio di una
famiglia di banchieri.
Le tavolette, conservate relativamente bene, dopo il ritrovamento subirono delle deformazioni
date dall’evaporazione dell’umidità che combinata alla cenere che le aveva ricoperte le aveva
preservate.
Il materiale proviene da un archivio di grandi banchieri ed imprenditori, i Sulpicii che
svolgevano una vasta attività commerciale e finanziaria. Gli atti contenuti nelle tavolette hanno
varia natura, negoziale e processuale, vi sono documenti di credito, locazioni, garanzie personali
o reali, e molti documenti presentano la forma della testatio, in particolare in ambito processuale.
Particolare interesse suscita la tredicesima tavoletta (Tavole 15 e 16) che reca iscritti due
chiriografi relativi uno ad un contratto di prestito marittimo e l’altro alla garanzia ad esso
redatta in greco, contiene l’asserzione di Menelao di aver
relativa. La prima iscrizione (Testo 9),
ricevuto 1000 denari da Primo, servo di Publio Attio Severo, in base ad un contratto di prestito
marittimo tra loro concluso, e che restituirà la somma secondo gli accordi contenuti nel contratto,
nel secondo brano, i soggetti sono Menelao e Marco Barbazio Celere, è redatto in latino e
contiene l’assunzione di garanzia di Celere per la somma dovuta da Menelao. Questo documento
ci mostra l’istituto della fideiussione in epoca imperiale.
Le Tavolette di Ercolano sono state ritrovate fra il 1930 ed il 1940 tra le rovine della città
danneggiata dall’eruzione del Vesuvio come per Pompei. Abbiamo anche qui dittici e trittici,
provenienti da varie abitazioni di soggetti che svolgevano diverse professioni, rappresentando
una corposa testimonianza di documenti della prassi.
Anche qui abbiamo atti negoziali e processuali.
È importante la serie di tavolette sul c.d. “processo di Giusta” in cui si presenta la controversia
tra Calatoria Themis e Petronia Iusta riguardo al riconoscimento dello stato di libertà
(ingenuitas) di Iusta, nata da madre liberata dal patrono C. Petronius Stephanus. Giusta invoca
Calatoria presso il Foro di Augusto davanti al pretore urbano, ed abbiamo riportati tre vadimonia
e alcuni testimonia. In particolare ci interessano i vadimonia, che non hanno precedenti come
epigrafiche, che sembrano essere le copie dell’atto introduttivo del
ritrovamento nelle fonti
giudizio consegnate a tutte le parti. Le testimonianze invece, riportano le dichiarazioni di vari
soggetti chi a favore della fanciulla, ed in minor numero a favore del presunto proprietario che
adduce una presunta manomissione della madre di Giusta. Non ci sono prove che le parti si siano
effettivamente recate a Roma per il giudizio, e parte della dottrina protende per l’ipotesi di una
conclusione in via amichevole della questione.
DESCRIZIONE APPUNTO
Riassunto per l'esame di Istituzioni di diritto romano e Esegesi delle fonti del diritto romano, basato su appunti personali e studio autonomo del testo consigliato dal docente Diritto Romano, Brembilla. Con analisi dei seguenti temi: l'esegesi delle fonti del diritto (con relativa descrizione), lo studio approfondito del diritto romano, l'evoluzione del giurista (dall'età arcaica a oggi), passaggio dall'oralità alla scrittura.
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