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ABORTO
: DA PROBLEMA PRIVATO A PROBLEMA PUBBLICO
Nei primi secoli della città l’aborto fatto all’insaputa del marito era punito con il ripudio. Nonostante questo eprò sono
pochissime le informazioni riguardanti l’aborto e non risulta che le donne lo praticassero con frequenza. La situazione
cambia dal I secolo d. C. siamo nel periodo della emancipazione femminile romana e molti scrittori, tra cui Seneca,
Ovidio e Plutarco, ci riferiscono di donne vanitose che praticavano l’aborto per non sciupare il ventre o per essere di
nuovo ingravidate e provare piacere(Plutarco). Questa reazione dura da parte degli scrittori è dovuta soprattutto al
fatto che le donne prendevano tali decisioni senza consultare i mariti, privandoli del loro diritto di controllare la
moglie e la loro discendenza. Non bisogna quindi vedere in queste accuse la condanna dell’aborto in quanto tale, visto
come l’interruzione di una vita umana. Per i romani il feto era solo la speranza di una vita umana, una aspettativa
(concezione stoica). Per limitare l’aborto i romani instituirono un nuovo tipo di curatela: il curatore del ventre. Questo
fu instituito sotto Marco Aurelio e Lucio Vero, su richiesta di un tal Rutilio Severo che temeva che la ex moglie avrebbe
potuto abortire per privarlo di una prole. Si assiste quindi ad una pubblicizzazione dell’aborto, che in precedenza era
una cosa esclusivamente privata. In particolar modo sotto Settimio Severo e Caracalla una donna che aveva abortito
dopo il divorzio epr non dare il figlio all’ex marito viene punita con l’esilio. È la prima volta che l’aborto viene punito
con una sanzione pubblica, ma anche in questo caso non è punita l’azione in sé, ma l’atto di defraudare il marito della
prole. CAPITOLO 4: TESTAMENTI E DONAZIONI
LE SUCCESSIONI E LE SUCCESSIONI MORTIS CAUSA:
la successione poteva essere universale, quando c’era il trasferimento di tutti i rapporti di cui l’antecessore era
titolare, sia particolare, con il trasferimento di solo determinati rapporti. La successione universale poteva avvenire sia
tra vivi che a causa di morte. La successione tra vivi avveniva tramite una adrogatio, una conventio in manu o tramite
una bonorum venditio. La successione mortis causa vedeva invece oggetto l’hereditas, il complesso dei rapporti
giuridici che faceva capo al defunto e che si trasmetteva all’erede. Questa figura era riconosciuta dal ius civile e l’erede
si faceva carico non solo dei rapporti giuridici passivi del defunto, ma anche di quelli attivi, dei debiti e dei crediti.
Quando una eredità non superava il valore dei debiti era detta Hereditas damnosa. Erano esclusi dall’eredità i diritti
reali parziari con carattere personale (uso e usufrutto), i rapporti obbligatori legati alla persona e le obbligazioni da
delitto. L’eredità si diceva delata quando era attribuita ad una persona la possibilità di acquistarla. Questa persona
poteva essere chiarita all’interno del testamento del defunto (delazione testamentaria) o poteva essere stabilita dalla
legge (delazione legittima) in mancanza di testamento. Inizialmente queste cause di delazione erano le uniche
ammesse, anche se Giustiniano in seguito considerò valido il patto successorio, un accordo con il quale una persona si
impegnava con un’altra a istituirla erede, purchè questo patto fosse stato concluso con il consenso dell’ereditando e
purchè questi non avesse cambiato idea fino alla morte.
La successione più antica fu, quasi certamente, la successio ab intestato. Ai rapporti giuridici del pater subentravano
direttamente i suoi discendenti. Non era possibile istituire eredi altre persone o concentrare tutti i beni ereditari in
capo ad un figlio escludendo gli altri. Se l’ereditando no aveva eredi era però possibile che questo scegliesse un figlio
adottivo, in modo tale da non far estinguere i sacra, i riti sacri della religione domestica, ed il culto degli antenati. Con
il tempo il regime antico si andò ammorbidendo. All’epoca delle XII tavole il pater poteva fare testamento. Se questo
non era stato fatto, le XII tavole stabilivano che “ se taluno nuore senza fare testamento e non ha heresuus, abbia i
suoi beni l’adgatus proximus; se non vi è un adgatus, abbiano i suoi bei i gentiles”. Quindi in primo luogo l’eredità
spettava all’heredes sui, soggetto alla potestà paterna (figli, vedova in manus). Se non vi erano erede sui, l’eredità
spettava all’adgatus proximus, cioè al più vicino parente in linea maschile. Questo poteva accettare o meno l’eredità.
Se non veniva accettata, l’eredità restava vacante e poteva essere appresa da un interessato che, dopo averla trattata
per un anno come sua proprietà, la poteva usucapire. I gentiles erano invece i membri della gens a cui apparteneva il
defunto. Queste regole non avevano per la successione dei liberti. Se questi non avevano sui, la loro eredità passava al
patrono.
Con il tempo l’opera del pretore coinvolse anche le successioni. L’opera del pretore era incentrata sul tutelare la
successione per diritto di sangue (cognatio)
BONORUM POSSESSIO:
Il pretore concedeva alle persone che riteneva degne non il dominium, perché figura del ius civile, ma la possessio dei
beni del defunto. I casi in cui il pretore poteva concedere la bonorum possessio erano enunciati nell’editto ma
bisognava che per prima cosa l’interessato lo richiedesse. Il pretore poteva concederla anche in casi particolari, non
contemplati nell’editto.
La bonorum possessio veniva utilizzata dal pretore anche nel caso in cui un testamento non era fatto secondo la forma
stabilita. In tal caso infatti questo non era più valido per il ius civile, ma poteva esserlo per il ius gentium. La bonorum
possessio infatti poteva essere SINE TABULAS; CONTRA TABULAS o SECUNDUM TABULAS.
Il pretore solitamente accordava la bonorum possessio a 4 classi di persone:
a) Liberi: tutti i discendenti del defunto, soggetti o non soggetti alla sua potestas. Il pretore però stabilì anche
che i discendenti indipendenti, possessori di un patrimonio personale, dovessero conferire ai discendenti
dipendenti tutto ciò che avessero acquistatao fino alla morte del padre. Lo stesso avveniva per le cose in
possesso della figlia maritata senza manus, che doveva conferire ai coeredi la dote.
b) Legitimi:gli eredi contemplati dal ius civile gli agnati
c) Cognati: parenti di sangue fino al sesto grado, raramente si arrivava anche al settimo grado di parentela.
d) Vir et uxor: la vedova o il vedovo non accompagnati da manus. Per il diritto civile la moglie non in manus non
poteva succedere al marito perché non era legata a lui da nessun rapporto di parentela civile.
Il pretore quindi utilizzò questo mezzo di tutela per 3 fini:
1) Per estendere la successione intestata anche a persone non contemplate da ius civile
2) Per favorire chi era stato istituito erede tramite un testamento non confezionato nelle forme richieste
3) Per ammettere alla successione congiunti che erano stati esclusi dal testamento
Le due forme di successione (herditas e bonorum possessio) convissero, come si è detto, per molti anni.
L’opera del pretore aprì la strada anche a da altre innovazioni. Da prima per mezzo dei senatoconsulti, poi per mezzo
delle costituzioni imperiali.
I senatoconsulti riguardarono soprattutto la successione reciproca tra madri e figli:
Senatus consultum Tertullianum (fatto sotto Adriano):fornisce la madre di ius liberorum per l’eredità del
figlio. Quindi la madre è subito dopo i discendenti, il padre e i fratelli consanguinei.
Senatus consultum orphitianum (emanato nel 178 d.C sotto Marco Aurelio e Commodo):chiama il figlio
all’eredità della madre a preferenza di qualunque altro successibile.
Bisogna ricordare che i senatoconsulti avevano valenza normativa pari alla legge e per questo motivo i loro
provvedimenti erano fonte di ius civile.
Anche le costituzioni imperiali del IV e V secolo fecero prevalere la parentela di sangue rispettoa quella civile. Al figlio
fu infatti accordato il diritto di succedere anche agli ascendenti materni e la madre fu ammessa all’eredità del figlio
anche se priva di ius liberorum. Altre costituzioni tesero invece ad unificare il regime successorio, assimilando gli
effetti della bonorum possessio a quelli dell’eredità civile.
Giustiniano poi con la novella del 543 fece una riforma generale della successione intestata, che con il succedersi di
norme era diventata molto complicata. Giustiniano unificò definitivamente il sistema civilistico e quello pretorio,
ponendo alla abse di questa nuova disciplina la parentela di sangue, la cognatio. Giustiniano ripartì i successibili in 4
classi:
1) Discendenti sia di linea maschile che femminile
2) Ascendenti materni o paterni, fratelli o sorelle germani (stessi genitori) e i figli di questi
3) Fratelli o sorelle consanguinei o uterini (con un solo genitore in comune con il morto) e i loro figli
4) Tutti gli altri parenti, secondo il grado di parentela. In mancanza di questi il coniuge superstite.
LA SUCCESSIONE TESTAMENATRIA:
Abbiamo detto che la successione ab intestatio era la forma successoria più antica, ma certamente non era la più
ustata. Era raro infatti, soprattutto dall’età repubblicana, che un pater familias mortisse senza testamento, nel quale
poteva nominare l’erede e dispore del suo patrimonio dopo la morte. Il testamento, visto come prolungamento del
volere e del potere del pater anche dopo la sua morte, era a Roma molto importante. Cicerone infatti lo paragona alla
Legge nel diritto pubblico. Proprio per questa sua importanza la successione testamentaria era quella più ricorrente,
soprattutto tra i ceti benestanti.
Chi poteva fare testamento? Tutti i cittadini romani maschi indipendenti e intellettualmente capaci. Sotto Adriano
ottengono la capacità di fare testamento anche le donne con l’auctoritas del tutore. Questa non era necessaria se la
donna era dotata di ius libero rum.
Chi aveva capacità ereditaria? Tutti i cittadini romani eccetto quelli positivamente privati di tale capacità. Gli schiavi
del morto prima di ereditare dovevano essere manomessi (questo poteva avvenire nel testamento). Se invece
l’eredità era in capo a schiavi altrui, questa finiva in capo al loro padrone. Potevano ereditare anche i postumi sui,
coloro nati dopo la morte del testatore.
Cho non aveva questa capacità? La lex Veconia del 169 a.C. vietò di instituire eredi donne a cittadini con un censo
superiore a 100 000 assi (questa disposizione cadde con il venir meno dell’antico censimento). Come abbiamo già
visto, inoltre, non potevano godere dell’eredità coloro che non si erano sposati dopo una tot. Età e coloro che, sposati,
non avevano figli potevano solo godere