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DECISIONI DI INAMMISSIBILITÀ
La Corte pronuncia l’inammissibilità della questione quando mancano i presupposti per
procedere ad un giudizio
di merito. Ipotesi:
• mancanza dei requisiti soggettivi e oggettivi per la legittimazione a sollevare la
questione di legittimità
costituzionale: la questione è stata sollevata da un organo non qualificabile come
«giudice» (quindi non
legittimato ad adottare l’ordinanza di rimessione) o in un procedimento non
qualificabile come «giudizio»;
• carenza dell’oggetto del giudizio: l’atto impugnato non rientra tra quelli indicati
dall’art. 134 Cost. (cioè è
privo di forza di legge);
• mancanza del requisito della rilevanza;
• mancanza di indicazioni sufficienti ed univoche nell’ordinanza di rimessione (o nel
ricorso) per definire il
thema decidendum (es. non sono indicate chiaramente le norme impugnate o quelle
che fungono da parametro
di giudizio);
- errori meramente procedurali (es. mancata notificazione);
- caso in cui la questione sottoposta alla Corte comporta una «valutazione di natura
politica» o un sindacato
«sull’uso del potere discrezionale del Parlamento», esplicitamente esclusi dal controllo
della Corte dall’art. 28
della legge 87/1953 (ipotesi delicata, rimessa al giudizio discrezionale della Corte).
Il difetto o la carenza che preclude il giudizio di merito può essere:
• macroscopico: in tal caso la «manifesta inammissibilità» è decisa in camera di
consiglio e dichiarata con una
ordinanza;
• di difficile valutazione: in tal caso si fa luogo ad udienza pubblica, e l’inammissibilità
è dichiarata con
sentenza.
DECISIONI DI RIGETTO
Con la pronuncia di rigetto la Corte dichiara «non fondata» la questione prospettata
nell’ordinanza di
rimessione (o nel ricorso in caso di giudizio in via principale).
N.B. La Corte NON dichiara che la legge impugnata è «legittima», ma si limita a
respingere la questione
sollevata dal giudice a quo: rigettando la questione, la Corte nulla dice circa la
legittimità della legge in
astratto, ma si pronuncia solo sulla fondatezza della costruzione intellettuale
prospettata dal giudice.
La decisione di rigetto è generalmente pronunciata con sentenza, ma talvolta può
essere pronunciata anche
con ordinanza.
La sentenza di rigetto NON ha effetti erga omnes, ma solo inter partes : il suo unico
effetto giuridico è
quello di precludere la riproposizione della stessa questione da parte dello stesso
giudice nello stesso stato e
grado dello stesso giudizio.
Se il giudice proponesse nuovamente proprio la stessa questione di legittimità
costituzionale nello stesso
giudizio, la Corte gli risponderebbe con una ordinanza di manifesta inammissibilità .
Nulla impedisce al giudice, invece, di sollevare una questione diversa (diverso
parametro costituzionale,
diverso profilo o motivo di illegittimità, ecc.).
Nessuna preclusione subiscono inoltre gli altri giudici (né lo stesso giudice in altro
processo). Può tuttavia
accadere che, se un altro giudice risolleva la stessa questione senza aggiungere
argomentazioni nuove, la
Corte si pronunci con una ordinanza di manifesta infondatezza della questione stessa,
richiamando il
precedente.
DECISIONI DI ACCOGLIMENTO
Con la sentenza di accoglimento la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale della
disposizione impugnata, a
seguito dell’accertamento di un vizio della stessa, cioè di un contrasto con le norme
costituzionali che ne
causa l’invalidità.
La decisione di accoglimento deve sempre e necessariamente essere pronunciata con
sentenza.
N.B. Non c’è simmetria tra la decisione di rigetto e la decisione di accoglimento:
• la decisione di rigetto dichiara non fondata la costruzione prospettata dal giudice a
quo, nulla dicendo circa
la legittimità costituzionale della legge, e ha effetti solo inter partes (la Corte si
pronuncia solo sulla
questione, senza esprimere un giudizio sulla legge);
• la decisione di accoglimento agisce sulla disposizione legislativa impugnata,
dichiarandone l’illegittimità (la
Corte si pronuncia sulla questione e sulla legge), e quindi opera erga omnes, con un
effetto assimilabile a
quello dell’annullamento.
Art. 136, comma 1, Cost.: «Quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una
norma di legge o di
atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla
pubblicazione della
decisione».
[N.B.: NON confondere con la abrogazione, che opera appunto sull’efficacia].
L’art. 30, comma 3, legge 87/1953 precisa che «le norme dichiarate incostituzionali
non possono avere
applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione».
La dichiarazione di illegittimità si traduce, pertanto, in un ordine rivolto ai soggetti
della applicazione (giudici
e P.A.) di non applicare più la norma illegittima.
Questo significa che la sentenza di accoglimento non ha solo efficacia pro futuro, ma
ha anche alcuni effetti
retroattivi, poiché riguarda anche i rapporti che sono sorti in passato e che sono
ancora pendenti.
Gli effetti della sentenza di accoglimento, invece, NON riguardano i rapporti esauriti
(cioè i rapporti giuridici
ormai chiusi per prescrizione, per decadenza o perché è intervenuta una sentenza
passata in giudicato).
Unica eccezione alla regola per cui la sentenza di accoglimento ha effetto retroattivo
solo se i rapporti sorti
in passato sono ancora pendenti, mentre non riguarda i rapporti esauriti:
Art. 30, comma 4, legge 87/1953: «Quando in applicazione della norma dichiarata
incostituzionale è stata
pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli
effetti penali».
Tale norma è un’applicazione del principio di legalità delle pene, enunciato in via
generale dall’art. 25, comma 2,
Cost. e ulteriormente specificato dall’art. 2, comma 2, codice penale.
ALTRE TIPOLOGIE DI DECISIONE
Le due principali tipologie di sentenze (di merito) della Corte costituzionale sono le
sentenze di rigetto e le
sentenze di accoglimento.
Tuttavia, sono state individuate alcune altre categorie di sentenze che costituiscono
dei «sottotipi» rispetto
a queste due tipologie principali: le sentenze interpretative; le sentenze manipolative;
le sentenze monito.
Lezione 044
04. Che cosa sono i conflitti di attribuzione?
Conflitto di attribuzione: controversia che attiene alla (presunta) lesione di una
competenza
costituzionalmente garantita di un organo/soggetto da parte di un altro
organo/soggetto.
In questo caso il giudizio della Corte riguarda la delimitazione della sfera di attribuzioni
costituzionalmente
spettante agli organi e ai soggetti costituzionali.
Il riparto delle attribuzioni può essere violato da qualsiasi atto o fatto o
comportamento, sia di carattere
commissivo sia di carattere omissivo, posto in essere da un organo o soggetto
costituzionale.
05. I conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni.
Conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni o tra Regioni: conflitti tra «enti» o conflitti
intersoggettivi.
Art. 39, comma 1, legge 87/1953
«Se la Regione invade con un suo atto la sfera di competenza assegnata dalla
Costituzione allo Stato ovvero
ad altra Regione, lo Stato o la Regione rispettivamente interessata possono proporre
ricorso alla Corte
costituzionale per il regolamento di competenza. Del pari può produrre ricorso la
Regione la cui sfera di
competenza costituzionale sia invasa da un atto dello Stato».
Nei conflitti intersoggettivi, il giudizio è tra parti determinate: lo Stato e le Regioni.
Anche questi conflitti,
come quelli interorganici, hanno ad oggetto una lesione della sfera di attribuzione
costituzionalmente
garantita, lesione che può manifestarsi in due modi:
• invasione di competenza (vindicatio potestatis ): il ricorrente rivendica competenze
che gli sarebbero state
usurpate dal soggetto contro il quale solleva il conflitto;
• lesione di competenza in assenza di vindicatio (conflitto da interferenza): non si nega
la competenza altrui,
ma si adduce un cattivo uso del potere da parte di un determinato soggetto.
I conflitti intersoggettivi NON possono riguardare atti legislativi: in relazione a questi
ultimi, infatti, lo
Stato e le Regioni hanno a disposizione lo strumento del giudizio di legittimità
costituzionale in via principale.
Al di fuori degli atti legislativi, qualsiasi atto è idoneo a determinare materia di
conflitto (regolamenti, atti
amministrativi, atti politici, dichiarazioni, sentenze, ecc.), purché comporti una lesione
in concreto delle
attribuzioni dello Stato o della Regione.
06. I conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato.
I conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato sono lo strumento con cui un «potere»
dello Stato può agire
davanti alla Corte costituzionale per difendere le proprie attribuzioni costituzionali,
compromesse dal
comportamento di un altro potere dello Stato.
A differenza dei conflitti intersoggettivi, nei conflitti tra poteri dello Stato le parti del
conflitto NON sono
predeterminate: la Corte costituzionale, ogni volta, deve stabilire in via preliminare se
sussiste la «materia
del conflitto», accertando se vi sono i presupposti soggettivi (si tratta di «poteri dello
Stato») e i
presupposti oggettivi (si tratta di «attribuzioni costituzionali»): la Corte effettua quindi
un giudizio
preventivo di ammissibilità del conflitto.
Quali sono i «poteri dello Stato» che possono essere parte di un conflitto di
attribuzione?
Non sono ovviamente i tre «poteri» tradizionali («legislativo», «esecutivo» e
«giudiziario»), perché altrimenti
risulterebbero esclusi numerosi soggetti che non sono ad essi riconducibili: il
Presidente della Repubblica, la
stessa Corte costituzionale, il C.S.M., la Corte dei conti, ecc.
Definizione contenuta nell’art. 37 della legge 87/1953: «Il conflitto tra poteri dello
Stato è risoluto dalla
Corte costituzionale se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la
volontà del potere cui
appartengono