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2. I CRITERI DI RISOLUZIONE DELLE ANTINOMIE FRA NORME INCOMPATIBILI
I criteri di risoluzione delle antinomie sono quattro. Per i primi due il raffronto è fra norme poste da fonti tra loro
pariordinate e di pari competenza e si pone in termini di efficacia, per gli ultimi il raffronto è tra fonti e si pone in termini
di validità.
Criterio cronologico
Fra due norme incompatibili sullo stesso oggetto adottate in tempi diversi prevale la successiva. L’art. 15 delle
preleggi dice che “le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore [ab-
rogazione espressa] o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti [abrogazione tacita] o perché la
nuova legge regola l’intera materia già regolata da legge anteriore [abrogazione implicita]”. In caso di abrogazione
espressa, il giudice si limiterà a constatare l’abrogazione. Nei casi di abrogazione tacita o implicita, il giudice dovrà veri-
ficare in via interpretativa se la norma anteriore è stata abrogata dalla successiva prima di constatare l’abrogazione. In
ogni caso la norma abrogata non è invalida, ma solo inefficace nei confronti della fattispecie davanti al giudice (questo
è molto importante perché il giudice non esamina della legge anteriore - questa non è invalida: il Parlamento quando
abroga una norma con una successiva non rende invalida la prima, ma è una decisione politica diversa, successiva nel
tempo, obiettivata dalla norma abrogante ed il giudice la constata). Quello cronologico, non è un criterio che pone
l’antinomia in termini di validità-invalidità ma in termini di efficacia-inefficacia.
L’effetto abrogativo consiste nella delimitazione dell’efficacia della norma abrogata ai rapporti sorti anteriormente
all’abrogazione (che scatta all’entrata in vigore della legge abrogante) in base all’art. 11 delle preleggi (“La legge non
dispone che per l’avvenire. Essa non ha effetto retroattivo”): l’abrogazione scatta nel momento in cui la legge successi-
va entrata in vigore. Gli effetti di tale abrogazione riguardano i rapporti futuri, non quelli possa che restano regolate
dalla legge anteriore. Se c’è una controversia davanti ad un giudice che riguarda i rapporti passati, la legge continua a
ricordare qui rapporti. Ma le preleggi sono contenute in una legge ordinaria, e il principio di irretroattività della legge è
fissato in Costituzione solo per le leggi penali (art. 25
2 : “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia
entrata in vigore prima del fatto commesso”). Fuori da queste (e, ma dubitativamente, per le leggi tributarie), le leggi
possono dunque disporre che il loro effetto sia retroattivo. Per le leggi tributarie tributarie questo è dubbio perché nella
nostra esperienza giuridica concreta affermando sempre di più il principio del legittimo affidamento (il cittadino ha pre-
visto un accantonamento futuro per il prelievo tributario; se dovesse intervenire il legislatore con una legge tributaria
retroattiva, il contribuente dovrebbe rivedere tutti i suoi calcoli). Ma tale principio è costituzionalmente riconosciuto? In
questa fase la questione molto dibattuta - e non riguarda solo le leggi tributarie, perché nel diritto dell’Unione Europea
i principi di affidamento è affermato con molta forza - e ci troviamo in una fase transitoria. È possibile però pensare, in
via interpretativa, che illegittimo affidamento diventando decidere di rango costituzionale e quindi è in grado di vinco-
lare progressivamente il legislatore.
Per l’effetto abrogativo, che può essere retroattivo solo se non si tratti di legge penale, vediamo degli esempi:
“Vietato fumare. I trasgressori sono puniti con un’ammenda di cento euro”. La disposizione prevede una sanzione am-
ministrativa, e quindi può essere accompagnata da un’altra che disponga l’effetto retroattivo della prima. Se invece la
regola fosse “Vietato fumare hashish o marihuana. I trasgressori sono puniti con la reclusione fino a un massimo di tre
mesi.”, ci troviamo di fronte ad una disposizione penale: irretroattiva.
Criterio di specialità
Una norma successiva a un’altra la abroga solo se, oltre a ricavarsi da disposizioni poste da fonti pariordinate e
parimenti competenti (v. oltre), i contenuti delle due norme sono ambedue generali: se la norma anteriore è speciale
(“È vietato fumare i sigari”), resiste a quella generale posteriore (“È permesso fumare”), mentre la norma speciale suc-
cessiva abroga quella generale anteriore. Quindi fra una norma generale e una speciale prevale quella speciale anche
se anteriore. Per l’art. 15 cod.pen., “Quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano
la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale,
salvo che sia altrimenti stabilito”. Il criterio di generalità deroga a quello cronologico, perché c’è una disciplina speciale
dettata per certi rapporti che, se non ci fosse quella legge, sarebbero vincolati da una norma più generale.
Come l’abrogazione, anche la deroga 11 opera sul piano dell’efficacia della norma: l’efficacia della norma generale
è derogata da quella speciale su singole sue fattispecie o gruppi di fattispecie. La deroga però a differenza dell’ab-
rogazione non fa cessare il vigore della disciplina derogata su tali fattispecie ma circoscrivere l’ambito di applicabilità
della norma anteriore, tanto che, se la legge speciale (deroga) viene abrogata o annullata, la disciplina derogata tornerà
a regolare l’ambito materiale che era da essa disciplinato. Ancora diversa è la sospensione, in forza della quale una cer-
ta fonte può sospendere temporaneamente l’efficacia di norme vigenti senza abrogarle o derogarvi (leggi temporanee
e decreti-legge fra entrata in vigore e conversione: art. 77 Cost. “provvedimenti provvisori con forza di legge”). La
deroga può durare all’infinito, potenzialmente, la sospensione è temporanea per definizione.
11
! la norma speciale, in forza di questo istituto, disciplina certi rapporti che altrimenti ricadrebbero nella previsione generale.
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Appunti di Miele Pasquale Lezione 7
Criterio gerarchico
Tra una norma posta da una fonte di grado superiore e una posta da una fonte di grado inferiore prevale la pri-
ma, anche se anteriore.
Criterio gerarchico secondo le preleggi
Siamo nel ’42 e ci troviamo in un sistema basato sulla forza di legge e sulla legge come fonte suprema. Secondo
l’art. 1 delle preleggi: sono fonti del diritto “1) le leggi; 2) i regolamenti; 3) (le norme corporative); 4) gli usi”. Ad esse
l’art. 2 aggiungeva gli atti del Governo “aventi forza di legge»” che secondo la l.n. 100/1926 erano i decreti legge e i
decreti legislativi (atti che potevano abrogare le leggi precedenti, anche se adottati dal Governo). I rapporti tra tutte
queste fonti erano disciplinate in termini di gerarchia : “I regolamenti non possono contenere norme contrarie alle dis-
posizioni delle leggi” (art. 4) e “Nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia solo in quan-
to da essi richiamati” (art. 8).Quindi c’era una scala molto semplice secondo cui prima c’era la legge e gli atti aventi
forza di legge, poi i regolamenti del Governo ed infine gli usi. I secondi non possono modificare i primi, gli ultimi nes-
suno dei precedenti. La gerarchia era intesa come maggior forza della fonte superiore rispetto a quella inferiore, come
a) capacità di innovare al diritto oggettivo (ovvero la capacità di introdurre disposizioni nuove, la c.d. forza attiva) e b)
capacità di resistere all’abrogazione in caso di sopravvenienza di fonte inferiore (la c.d. forza passiva). La forza di legge
dunque era tale che non soltanto modificava ed introduceva norme nuove rispetto alla legge, ma se un regolamento
fosse intervenuto successivamente con norme incompatibili con la legge tale atto sarebbe stato nullo (perchè subordi-
nato alla legge). In questo sistema la legge era la fonte suprema.
Criterio gerarchico secondo la Costituzione
La nostra è una Costituzione rigida perché il procedimento di revisione costituzionale (art. 138) è aggravato
rispetto a quello previsto per le leggi ordinarie (artt. 71 e ss.). Inoltre Cost. annovera solo i decreti legge e i decreti leg-
islativi fra gli atti aventi forza di legge - almeno espressamente - e presuppone che i regolamenti governativi siano sub-
ordinati alla legge statale e quelli regionali alla legge regionale. Potrebbe sembrare allora che la Costituzione si sia limi-
tata a sovrapporre un grado gerarchico a quello primario spettante alla legge, confermando implicitamente una visione
della gerarchia basata sulla “forza di legge” (forza di legge costituzionale che prevale sulla forza di legge ordinaria in
base al fatto che il procedimento di modificazione delle norme costituzionali è più oneroso) attiva e passiva della fonte
caratterizzata da un procedimento di formazione più gravoso di quello della fonte ad essa inferiore. Non è però così. Vi
sono infatti in Costituzione dei casi in cui il procedimento di formazione di un atto è più gravoso di quello dell’art. 138
(mettendo a confronto l’articolo 138 con il 132 notiamo che il procedimento del secondo è molto più complesso; ad-
operando il criterio che è la difficoltà del procedimento a stabilire la superiorità di un atto rispetto ad un altro, dovrem-
mo arrivare all’assurda conclusione che l’art. 132 sia la fonte superiore del nostro sistema!) e altri in cui è più gravoso di
quello delle leggi ordinarie (art. 79: possiamo dire che le leggi di amnistia e indulto sono superiori alle leggi ordinarie?
Sicuramente no.), senza che le relative fonti possano dirsi superiori, rispettivamente, alla Costituazione e alla legge. Esse
sono invece fonti a competenza riservata, abilitate cioè a disciplinare una certa materia. Per individuarle non bisogna
dunque vedere se il procedimento sia più gravoso di quello di una fonte “inferiore” ma solo se sia abbastanza tipizzato.
La Costituzione ha detronizzato la legge dalla posizione di fonte suprema, non perché la forza di legge costituzionale
prevale sulla forza di legge ordinaria, ma perché la Costituzione prevede almeno sommariamente i procedimenti di
formazione delle fonti primarie e la legge quelli delle fonti secondarie. L’elemento della gerarchia, dunque, non con-
siste nel fatto che c’è una fonte che ha una forza superiore all’altra, anche questo ma non è il punto centra