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NORMAZIONE: LE FONTI DEL DIRITTO
In termini generali possiamo dire che la normazione è un’attività di produzione e interpretazione delle norme,
affidate rispettivamente ai soggetti che adottano decisioni secondo procedimenti previsti o almeno ammessi dall’ordi-
namento (Parlamenti, Governi, corpo elettorale con referendum, UE, Regioni, collettività più o meno organizzate: con-
suetudini), e ai soggetti chiamati ad applicare tali decisioni (giudici).
La differenza fra produzione e interpretazione non consiste tanto nella creatività, cioè nel fatto che si crea qual-
cosa di nuovo nell’ordinamento giuridico, un tempo assegnata solo al legislatore, la cui ‘volontà’ il giudice era chiamato
ad applicare (bouche de la loi, ovvero giudice come soggetto che applica la volontà del legislatore che di per sé è
chiara). questo oggi noi non riconosciamo più come modello prevalente, perlomeno, perché sappiamo che questa è
una finzione in generale. Sappiamo che è rarissimo che il giudice non debba interpretare, non debba cioè comprendere
per conto suo il significato e ricostruire quanto indicato in un testo. Il brocardo “in claris non fit interpretatio”(l’interpr-
etazione non è data nelle disposizioni chiare) è rarissimo che ci sia. Questa differenza, quindi, consiste nel fatto che:
a) i soggetti che producono diritto sono titolari dell’iniziativa di adottare atti normativi, mentre i giudici non lo
sono, cioè non possono procedere d’ufficio all’interpretazione ma solo su impulso di parte (virtù passive della giuris-
dizione);
b) i soggetti che producono diritto possono rinunciare a produrlo, i giudici non possono rinunciare al giudizio:
una volta che era radicato il diritto, e la controversa si apposta, devono necessariamente risolverla (divieto di non
liquet);
c) solo i giudici sono chiamati ad accertare la legittimità di tutti gli atti, anche normativi, dei pubblici poteri, sulla
base di un parametro di giudizio fornito da norme. Qui emerge la scissione dei pubblici poteri.
Produzione di norme
Le norme che regolano direttamente la condotta umana sono prodotte da certi atti o fatti (fonti del diritto) abili-
tati, autorizzati da norme sulla normazione (o sulle fonti) a introdurre, abrogare o modificare (secondo quel certo pro-
cedimento) le norme di condotta, e stabilire se sono state violate. Le fonti, dunque, non solo norme, non sono diretta-
mente le regole che conformano i comportamenti umani (quelle che chiamano sinteticamente regole di condotta o
norme primarie). Questa differenza si deve fare perché se le norme sulle fonti non ci fossero non si saprebbe:
a) come possono sorgere e permanere nell’ordinamento le norme di condotta;
b) come abrogare o modificare le norme preesistenti;
c) come accertare se tali norme siano state violate da altre;
d) a che titolo la norma di condotta infligga una sanzione a chi l’ha trasgredita (specie legge penale).
I soggetti produttori di norme possono coincidere (autonomia produzione normativa) o non coincidere (eterono-
mia produzione normativa) coi destinatari. Nel primo caso le norme sono già legittimate per essere prodotte da coloro
che ne saranno i destinatari. Nato lo Stato moderno, questa coincidenza viene meno, e si pone il problema di legitti-
mare il potere di chi produce le norme (prima il monarca e poi i Parlamenti) diversi dai loro destinatari. Nelle democra-
zie costituzionali, infine, il potere normativo è imputato dalle Costituzioni, anzitutto, ad autorità pubbliche legittimate
dal suffragio popolare (Parlamenti). Secondo l’art. 70 della Costituzione, “la funzione legislativa è esercitata collettiva-
mente dalle due Camere”.
La distinzione - storica - tra autonomia ed eteronomia serve a capire il diverso ruolo dei giudici. A) Quando i pro-
duttori di norme coincidono coi loro destinatari, i giudici devono accertare per conto loro se si è formato l’atto (individ-
uazione della fonte), il cui contenuto normativo è noto, in quanto impostosi in via consuetudinaria (opinio iuris ac neces-
sitatis e il decorrere del tempo). In questo caso la disposizione coincide con la norma. B) Al contrario, se i produttori di
norme non coincidono coi destinatari, e se il sistema è democratico, le fonti (soggetto e procedimento) sono invece già
individuate dall’ordinamento: sono quelle e solo quelle. Il giudice dovrà ricercare il significato (norma) della dispo-
sizione contenuta nell’atto-fonte. Qui la disposizione è diversa dalla norma.
Gli atti o fatti (fonti) che esprimono eteronomia di produzione normativa non producono direttamente norme,
bensì disposizioni, ovvero testi di solito distinti in articoli a loro volta distinti in commi, da cui le norme si ricavano in via
interpretativa. Le norme sono i significati delle disposizioni, e quasi mai da queste si ricava uno solo significato. Come
può pure darsi (molto più raramente) che una disposizione sia di per sé priva di significato, e la acquisti solo in combi-
nazione con un’altra (il cd. combinato disposto). In ambedue i casi ci troviamo di fronte alla disgiunzione fra dispo-
sizione e norma (qui interviene l’attività interpretativa). Poiché il contenuto delle disposizioni è dunque quasi sempre
indeterminato, spetta al giudice determinarlo, ricercando la norma che egli ritenga di ricavarne.
Tullio ASCARELLI è stato il primo a dire, nel 1957, che “la norma giuridica vive come ‘norma’ solo nel momento
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nel quale viene applicata e perciò appunto ogni applicazione di una norma richiede l’interpretazione di un testo” (o
disposizione).
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! Giurisprudenza costituzionale e teoria dell’interpretazione, in Rivista di diritto processuale, 1957, 352
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