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Anamnesi → parola che ha molte sottocategorie, come anamnesi
- personale (fisiologica, cioè ricordare gli step fisiologici che hanno
caratterizzato la vita del paziente, oppure patologica, cioè ricordare i segni
che hanno portato il paziente a rivolgersi al medico), anamnesi familiare
(storia patologica della famiglia del paziente), anamnesi fisiologica,
anamnesi patologica (remota o prossima). Questa parola viene da
μιμνῄσκω, ricordare, si basa cioè sulla memoria, sulla capacità del medico
di far sì che il paziente ricordi la sua storia personale. Dunque l’anamnesi
è la capacità del medico di porre al malato delle domande, grazie alle
quali si potranno conoscere con esattezza alcune cose che riguardano la
malattia, e questa potrà essere curata meglio; inoltre, permette al medico
di rendersi conto fino a che punto il paziente è mentalmente sano o
malato (ciò che racconta è oggettivamente riscontrabile o è alterato dal
fatto che la malattia è un πάθος, una sofferenza psicologica?). Nell’agosto
del 1947, finita la seconda guerra mondiale, il tribunale di Norimberga
condannò i gerarchi nazisti per crimini contro l’umanità, e ¾ di loro erano
medici, responsabili delle sperimentazioni mediche condotte nei campi di
concentramento nazisti. Il processo si interruppe un anno prima del
previsto e il tribunale militare emanò il Codice di Norimberga, che
regolamentava la pratica medica e la sperimentazione medica sul vivente,
e formalizzava il fatto che qualsiasi atto medico che non consegua
all’acquisizione del consenso del paziente è moralmente illecito e non
esistono giustificazioni morali da attribuire per salvare il medico che lo
compia, poiché il criterio di riferimento deve essere l’etica medica prima di
ogni altra cosa. Convenzionalmente questo è il primo momento in cui la
medicina si è posta di fronte al problema dell’autonomia del paziente e del
dialogo con esso, poiché nella storia precedente ci si incentrava su un
modello di rapporto medico-paziente detto paternalismo medico, che è
esattamente il contrario: il medico è visto come un pater familias romano,
può disporre delle persone che ha di fronte e agisce in scienza e
coscienza, secondo la sua conoscenza scientifica e dotazione morale,
senza interagire con il paziente. In realtà già in Ippocrate il modello
adottato è quello secondo cui non si può comprendere senza parlare con il
paziente: “Tu potrai essere il medico migliore del mondo e aver studiato
con me, che sono il miglior maestro possibile, ma sarai sempre un medico
imperfetto se non ti renderai conto che la medicina è insieme
apprendimento e insegnamento” → il medico insegna qualcosa
all’ammalato, e a ogni malato acquisisce dei dati e impara qualcosa,
quindi senza il rapporto con la centralità del malato l’essere medico è
difettoso. Secondo Ippocrate l’unico settore che lui non può trasmettere è
il vissuto della malattia, cioè il modo in cui il malato sente addosso a sé i
sintomi, poiché i sintomi sono oggettivi ma ogni malato li vive
diversamente. “Tu sarai un buon medico quando nella tua conoscenza
riuscirai a inglobare il vissuto della malattia” → concetto fondamentale di
consenso informato: medico e paziente sullo stesso livello, il primo ascolta
cosa il paziente vuole fare (può anche rifiutare la cura, richiamo alle
caratteristiche medico-legali della professione medica). Tra il periodo
ippocratico e il processo di Norimberga c’è un periodo in cui il medico è
considerato una persona più colta, formata attraverso un percorso di studi
e quindi in condizione di superiorità, mentre il paziente è in una condizione
di inferiorità anche culturale e questa disparità non è considerata
correggibile. Ricapitolando, alle origini della medicina l’anamnesi è
centrale (si acquisiscono dati sul vissuto psicologico della malattia), dal
1948 in avanti viene riconosciuta la centralità del paziente, mentre nel
periodo centrale prevale un modello paternalistico. La dimensione
dell’anamnesi è la dimensione del ricordo, costringe il paziente a
raccontare una storia: Ippocrate dice che il mestiere del medico è come il
mestiere del narratore, paragona anamnesi → semeiotica → prognosi a
passato → presente → futuro.
Sintomatologia (oggi diverso da semeiotica, perché la prima riguarda
- l’interpretazione dei sintomi, la seconda quella dei segni, ma nella
medicina antica erano la stessa cosa) → il segno ha un’importanza
centrale nella storia della medicina, e l’attenzione al segno è
inversamente proporzionale alla profondità degli studi anatomici: meno i
medici sanno come è fatto il corpo internamente, più attenti stanno a ciò
che il corpo mostra esternamente. La medicina fino al ‘700 è
sostanzialmente clinica, di attenzione all’ammalato, il medico registra in
maniera maniacale tutti i segni che il corpo del paziente dà attraverso uno
strumento diagnostico fondamentale, cioè i suoi cinque sensi (infatti fino
al ‘600 non si misura nulla, perché non ci sono strumenti per farlo).
Attenzione del medico alla semeiotica: oggi i segni indicano la strada, il
metodo da usare per raggiungere la diagnosi, nel passato il metodo per
determinare la prognosi. Si registrava qualsiasi cosa attraverso l’uso dei
cinque sensi, soprattutto a livello macroscopico (colori, temperature,
sapori dei liquidi corporei ecc.). E’ detto “facies ippocratica” l’insieme dei
segni esteriori, soprattutto del viso, che sono prognostici di morte. Un
segno importantissimo registrato dalla medicina ippocratica proviene
dall’interno del corpo, es. escreti del corpo, analizzati e descritti
minuziosamente: questo è un sistema clinico che la medicina adotta fino a
periodi storici molto avanzati, es. uroscopia, cioè analisi visuale (colore,
eventuale presenza di sedimenti ecc.) ed eventualmente di sapore delle
urine. Altra tecnica diagnostica della medicina antica, medievale e di
prima epoca moderna è la misurazione della variazione del polso
(sfigmologia). Queste due tecniche erano i cardini centrali per fare
prognosi. Diabete viene da διαβαίνω, scorrere, per Ippocrate è la malattia
dei pazienti che hanno un flusso di urine eccessivo (oggi poliuria), se
assaggiate quelle urine risultavano dolci → uso dei 5 sensi nella
registrazione del segno.
Esame obiettivo → strettamente correlato alla semeiotica.
- Diagnosi → per noi oggi è l’individuazione della causa della malattia, ma è
- una parola presente negli scritti medici fin da Ippocrate, e proviene da διά
+ γιγνώσκω, conoscere attraverso/discernere, nella medicina antica significa: ho tanti
segni davanti ai miei occhi, alcuni sono soggettivi, altri oggettivi, devo stabilire quali
sono significativi per fare una prognosi e quali invece non sono utili perché dovuti a
un’altra cosa, ad esempio il caso; il caso è il nemico principale di Ippocrate, in quanto
deve essere fuori dalla competenza del medico, che deve trovare cosa è significante.
Ciò che si sovrappone per casualità al significante va riconosciuto e non considerato,
altrimenti si giunge a una diagnosi sbagliata. L’anatomista Galeno, altro padre
fondatore della medicina, vissuto cinque secoli dopo Ippocrate ma ancora di
impostazione profondamente ippocratica, elenca le cose che un medico deve
prendere in considerazione guardando un corpo: “Noi dobbiamo diagnosticare le
malattie da quanto segue: dalla natura comune a tutte le malattie e dai caratteri
propri di ciascuna, dalla malattia e dal malato, dai segni oggettivi (es. sulla pelle,
concepita come forma di barriera del corpo che protegge tutto ciò che sta sotto) e dai
segni riferibili (soggettivi), dalle abitudini del paziente, dal suo regime di vita (“regime”
è una parola tipica della medicina antica ma importante anche oggi, vuol dire stile di
vita a tutto tondo), da quante trasformazioni ha la malattia.” C’è grande attenzione al
contesto entro cui le malattie si generano, anche perché i medici, dall’antichità fino al
‘500, non erano fissi ma itineranti, e potevano quindi trovarsi ad analizzare malattie
generatesi in situazioni climatiche e ambientali molto diverse tra loro. Per questo si
deve tener conto di tutti questi dati e fenomeni e concludere da essi ciò che si
produce all’interno del corpo. Oggi invece diagnosi significa eziopatogenesi, cioè
individuazione della causa della malattia (batterica, naturale, genetica, traumatica
ecc.). Per Ippocrate e per la tradizione medica significa solamente capacità di
discernere cosa significa e cosa no, cioè ciò che consente al medico di stabilire una
prognosi fausta/infausta.
Diagnosi differenziale → ho davanti due ipotesi diagnostiche diverse e
- devo trovare quella giusta tramite degli accertamenti, secondo il metodo
clinico. La clinica è la forma completa del ragionamento sperimentale
applicato, cioè la capacità del clinico di leggere i nessi delle cose e dei
sintomi del paziente.
Prognosi → proiezione della storia patologica nel futuro, viene da πρό
- +
γιγνώσκω, conosco prima/prevedo. Per Ippocrate la vera capacità del medico è
quella di prevedere il futuro; egli è nemico acerrimo dei sacerdoti di Asclepio, cioè i
sacerdoti degli dèi di guarigione, perché riconosce che la medicina templare del
concetto ontologico di malattia (precedente a lui ma destinata a durare per un lungo
arco di tempo, in quanto molto funzionale) si basa sull’apprensione (modalità di
comunicazione del sacerdote al malato), che lui laicizza, portandola all’interno del
suo sistema razionale, il quale si basa sull’oggettività invece che su ciò che dice un
dio. Ippocrate dà un peso importantissimo alla previsione (dedica un intero trattato, il
Prognostico, al modo in cui si fa prognosi corretta): “La previsione, che si fonda sulla
diagnosi, cioè sul calcolo del confronto dei segni favorevoli e di quelli sfavorevoli, è il
miglior modo per dire la verità.” La prognosi è dunque la comunicazione del vero, che
ha anche un valore etico intrinseco importante. La buona previsione fa da un lato la
qualità del medico, dall’altro la possibilità di cura (