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Leonard Cohen e Irving Layton. Quest’ultimo è un poeta di grande passione civile,
deciso nell’affrontare temi politici e sociali. La sua idea dell’erotismo vista come
forza liberatrice, corrisponde alle posizioni anticonformiste e iconoclaste assunte in
ambito sociale.
- Caraibi
I Caraibi non sono solo il luogo delle vacanze per eccellenza, ma anche il luogo
dell’ingiustizia, dello sradicamento prima e dello sfruttamento poi di intere
popolazioni, nel passato così come nel presente.
La letteratura è quindi una che si nutre di una realtà fatta di discriminazione, di
pregiudizio, di isolamento, di identità confuse, povertà e immigrazione.
I numerosi schiavi africani portarono con se i miti, le tradizioni, le religioni e i canti
delle loro terre. Questa cultura fu incorporata in quella europea. Ma non c’è niente di
idilliaco in tutto ciò. Infatti i mulatti punto di congiunzione tra africani e bianchi, non
sono altro che la conseguenza spesso di stupri subiti dalle schiave.
Soltanto a partire dall’inizio del 900 che cominciarono a farsi sentire le prime voci di
scrittori caraibici. Come avvenne nelle altre colonie, vi fu una prima fase di
imitazione e sudditanza culturale nei confronti dei modelli inglesi, coniugata con la
raffigurazione della natura e del colore locali, lasciò così il posto alla scoperta di una
prima confusa identità nazionale caraibica. Nei caraibi l’inglese non è però la lingua
nazionale parlata da una popolazione quasi totalmente d’origine britannica, ne è una
seconda lingua come in Africa e India. L’inglese è però l’unica lingua comune di
genti diversissime, l’unica insegnata nelle scuole, usata nei tribunali e scritta sui
giornali.
Il primo grande autore caraibico è Jean Rhys il quale pone al centro delle sue opere,
figure di donne di grande intensità spesso sradicate e sole, vittime del pregiudizio e
della prepotenza maschile.
Il genere del racconto ha avuto una grandissima diffusione; il tema principale è stato
quello della definizione di un’identità caraibica, affiancato poi da quelli della
tensione tra il peso culturale del colonialismo e l’eredità del mondo africano e
indiano, della rilevanza della questione razziale, della contrapposizione tra poveri e il
settore borghese.
Il maggiore tra i narratori caraibici è V. S. Naipul di origine indiana. La rottura
culturale e affettiva con il paese d’origine fu decisiva. Il contenuto centrale delle sue
opere è sicuramente il rifiuto della realtà coloniale e della tradizionalista comunità
indiana. Il personaggio centrale della sua opera è in stile settecentesco l’eroe. Ma nel
900 non possiamo che avere un antieroe. Il protagonista può infatti essere un uomo
qualunque, senza importanza, le cui però azioni senza importanza vengono raccontate
con la stessa pretesa di valore, con la stessa attenzione e la stessa dovizia di
particolari riservate alle avventure dell’eroe settecentesco.
Per quanto riguarda la poesia il maggior poeta caraibico e forse addirittura il maggior
poeta di lingua inglese vivente, è Derek Walcott. Alla base del suo mondo Walcott
individua una divisione profonda, fisica, psicologica, geografica e razziale. Ma sente
la necessità di superare tale divisione in nome dell’unicità dell’uomo e grazie alla
poesia che tale unicità sa cogliere.
Il suono più importante della poesia di Walcott è sicuramente il mare, quello liscio
del pigro agosto o quello che s’infrange sulla riva dopo l’uragano. Sempre quel
rumore di mare, che il poeta cerca di afferrare, e di portare nella sua poesia.
- India
Le opere letterarie fino alla metà degli anni 30 del 900, non presenta caratteristiche di
particolare originalità; il loro interesse è di puro carattere storico.
Dagli anni 30 in poi cominciano a diffondersi opere dall’aspetto più rivoluzionario,
forse sull’onda del pensiero di Gandhi, proclamazione dell’ingiustizia della divisione
in caste e della piena dignità di uomini detti intoccabili.
Con l’esordio nel 1938, Raja Rao dipinge l’effetto e le conseguenze della
predicazione gandhiana e lo fa con opere che hanno ovvio valore di testimonianza
politica. Ma per Rao in realtà è ancora più importante l’operazione linguistica e
letteraria, di cui tra l’altro si fa promotore, con la scelta dell’inglese come lingua della
comunicazione narrativa e con l’inserimento in essa dei vocaboli, dei ritmi, dei
registri linguistici sia dell’alta tradizione sanscrita che della bassa parlata popolare.
La dimensione mitica ha per Rao fondamentale importanza. I romanzi sono fitti di
simboli che mescolano religione storia e mito.
R. K. Narayan attraversa con la sua produzione letteraria tutte le fasi dell’India
moderna; è l’inventore dell’immaginaria città di Malgudi, in cui si muovono figurine
di un’India tradizionale che però è aperta anche alla modernità, una città quindi
sempre in bilico tra conservazione del vecchio e accettazione del nuovo. Narayan fa
emergere la realtà della società indiana per accenni, attraverso gli incontri e le
vicissitudini dei suoi personaggi.
I protagonisti della sua produzione non sono ricchi ma comunque senza problemi di
sopravvivenza, dediti a qualche modesta attività commerciale o artigianale ma
psicologicamente e socialmente consapevoli di un ruolo rispettabile e rispettato,
religiosi ma lontani dall’adesione totalizzante dei più poveri che nella religione hanno
l’unico conforto, sono in fondo quelli che meglio riescono a trovare un equilibrio tra
vecchio e nuovo, che più possono essere indiani e al tempo stesso comprensibili alla
nostra sensibilità.
Indiana è la visione dell’uomo e del mondo, propria di Narayan; inglese è la lingua in
cui la esprime; europea (ma con influenze indiane) è la forma letteraria da lui
adottata.
Anche dopo l’indipendenza una seconda generazione di scrittori continuò a scrivere
in inglese per descrivere le tragiche vicende che l’accompagnarono.
Il più brillante tra questi autori di seconda generazione è Kushwant Singh il quale
scrive nel e sul dopoguerra, in concomitanza e a seguito dei fatti dell’indipendenza
dell’India e della Partition, la separazione tra India e Pakistan.
“Train to Pakistan” appunto, racconta le vicende della formazione dei due stati
attraverso l’osservatorio di un villaggio di confine. La vita del villaggio placida e
raccolta, scandita dai ritmi dell’India immemore, viene stravolta da un turbine di odio
e di violenza. Ma tale odio proviene non da fuori, ma nasce da dentro, nutrito da un
groviglio di miti, credenze religiose e deformazioni storiche che solidificano negli
abitanti una paura dell’altro che spinge al suo annientamento.
Evento che ha cambiato prospettive è stato nel 1981 la pubblicazione di Midnight’s
Children di Salman Rushdie; l’opera diventa punto di riferimento per i giovani
scrittori, che vedono in quest’opera un’autorizzazione a ripensare il romanzo in
inglese a prescindere dalle forme linguistiche e narrative dell’ortodossia; l’utilizzo
quindi dell’inglese al servizio della propria immaginazione e al fianco del proprio
patrimonio culturale.
Arriviamo ora agli autori di ultima generazione, nati dopo l’indipendenza. Il più
interessante è Amitav Ghosh il quale possiede una chiave narrativa originalissima,
che sovrappone alla fiction la ricerca storica, la cronaca e l’autobiografia. “The
shadows line” forse il suo più bel romanzo, si chiude con un episodio terribile,
l’uccisione da parte di una folla fanatica di musulmani, a Dacca, dell’indifeso Tridib,
la figura centrale nella formazione del protagonista.
La contrapposizione tra indù e musulmani, che la divisione tra India e Pakistan ha
sancito e non risolto, si affaccia di continuo nelle pagine del romanzo. Ghosh ci
mostra la cecità dell’odio e le ragioni delle vittime e dei carnefici.
Molte sono le voci originali come Upamanyu Chatterjee il cui nel suo romanzo
d’esordio ritrae l’India burocratica e provinciale. Chatterjee si lancia nell’invenzione
letteraria basandosi sulla sua visione della realtà indiana e lo fa in inglese perché
quella è la lingua in cui ha scelto di esprimerla.
Il romanzo è sicuramente il genere per eccellenza in cui si è espressa la letteratura
indiana in inglese. Il teatro è invece poca cosa. È troppo grande la distanza tra le
forme teatrali della tradizione e quelle che l’uso della lingua inglese porta con sé; così
anche la poesia non ha trovato molte voci originali.
Si potrebbe parlare anche dei cosiddetti scrittori della diaspora ovvero quelli che
provengono o i cui genitori o i cui avi provenivano dal subcontinente indiano.
Il più originale degli autori indiani inglesi potrebbe essere Hanif Kureishi mentre tra
quelli statunitensi Bharati Mukherjee.
Salman Rushdie come altri indiani, sono degli straordinari story tellers in grado di
raccontare storie che durano intere giornate, piene di digressioni e riprese,
ingigantendo il reale pur restando ancorato ad esso, che coinvolge l’ascoltatore in una
tensione continua tra le sue attese e l’invenzione del narratore.
Rushdie stabilisce un contatto costante con il lettore, lo stuzzica, lo rende complice
dell’invenzione narrativa. Si diverte ad anticipare particolari di ciò che verrà
raccontato in seguito, a seminare indizi dei futuri sviluppi della vicenda.
Di Rushdie “The satanic verses” che discutono sul legame tra religione e potere, sul
rispetto esteriore delle regole religiose e sulle loro trasgressioni segrete, sull’ipocrisia
religiosa. The Norton Anthology of Theory and Criticism
- Franz Fanon
Frantz Fanon fu uno dei pensatori più influenti del 20° sec. Le sue opere critiche
ruotano attorno le condizioni della lotta coloniale, descrivendo le difficoltà che
dovranno affrontare le nazioni africane dopo che avranno ottenuto l’indipendenza.
Fanon fu molto attivo politicamente, ma cosa ancor più di rilievo, andò volontario in
guerra in Europa, restando poi in Francia per completare gli studi. Sempre in Francia
cominciò a praticare come psichiatra a Parigi e Lione. Qui capì come la società
francese, al di la dell’intelligenza, alto livello di educazione, conoscenza profonda
della lingua, vedeva il “nero” come alieno e inferiore, come un esempio di una razza
selvaggia e esotica, causa di anni di pre