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P
costo totale per unità di tempo. Il tempo medio tra due interventi (trascurando il tempo di riparazione) vale:
| costo globale di un intervento di manutenzione preventiva):
Il costo per unità di tempo vale quindi (con C
p ) mentre quello di sostituzione
Il numero atteso di interventi a guasto in un tempo T è pari a E[N(T)]∙F(T
P
preventiva E[N(T)]∙R(T ), con E[N(T)] = T / μ(T|T≤ T ). La disponibilità media del componente può essere
P P
e t rispettivamente tempo medio di un intervento preventivo e correttivo):
calcolata come segue (t
p c | |
Nella manutenzione preventiva classica a data costante l’intervallo tra un intervento preventivo e il successivo
, anche se tra i due si hanno interventi a guasto. Si tratta di un processo di rinnovo all’interno di
è sempre T
P
ogni intervallo T . L’espressione del costo per unità di tempo è:
P
W(T ) rappresenta la funzione rinnovi, che esprime il numero di sostituzioni attese nel tempo T ; il calcolo di
P P
tale funzione è notevolmente complesso, per cui essa viene sostituita, con buona approssimazione, dal
corrispondente valore della funzione di ripartizione F(T ), supponendo che si abbia al più un solo guasto
P
durante T . La disponibilità media si calcola come segue:
P
La manutenzione a data costante viene effettuata anche con interventi minimal repair: il componente non viene
sostituito in seguito al guasto, ma se ne ripristina la funzionalità con un intervento minimale che ne mantiene
inalterate le caratteristiche affidabilistiche che aveva un istante prima del guasto. Ciò comporta che
nell’intervallo T l’andamento della funzione tasso di guasto si mantiene inalterato. In questo caso si ha:
P )] indica naturalmente il numero di interventi minimali attesi durante T e C il costo
L’espressione E[N(T
P P MR
globale di uno di questi, inferiore al corrispondente costo di sostituzione preventiva. Il processo non è più
8
modellizzabile come un processo di rinnovo: i tempi di guasto non sono né indipendenti né identicamente
distribuiti e perciò esso costituisce un processo di Poisson non omogeneo. Tuttavia il numero di guasti attesi
è pur sempre un conteggio, dato da: →
Il tasso di occorrenza w(t), che è un tasso a priori, risulta uguale al tasso di guasto a posteriori λ(t). La
disponibilità media vale:
L’intervento su un singolo componente che ne mantenga inalterato il tasso di guasto è un modello poco
aderente alla realtà; tuttavia una politica di sostituzione per un singolo componente può tradursi in una
politica di minimal repair per il sistema. Simile alla manutenzione preventiva classica è la manutenzione
condizione: anch’essa prevede la sostituzione del componente prima del guasto ma, contrariamente
secondo
alla precedente politica, l’intervento avviene quando si rende effettivamente necessario sulla base
dell’osservazione dello stato di degrado del componente (dunque T non è costante). Tale politica sembrerebbe
P
più efficace, tuttavia non è applicabile in tutte le situazioni, ad esempio in quelle in cui non è possibile
ispezionare lo stato di degrado oppure nelle situazioni in cui non può assolutamente rischiarsi la rottura del
componente in esame. Le informazioni sulle condizioni della macchina sono ottenute mediante rilievi
periodici o continui: bisognerà individuare il o i parametri correlati al degrado del componente e definire le
soglie di allarme e di intervento. Un ultima tipologia di manutenzione è quella definita opportunistica: si
sfrutta il fermo impianto per intervenire su componenti che non hanno ancora raggiunto il tempo
programmato di intervento, ma per i quali tale istante temporale è prossimo. Pertanto, con tale politica, un
componente di un sistema viene sostituito:
All’età T con un intervento preventivo, arrestando il sistema.
P
Ad un’età precedente a T , se il sistema viene fermato a causa di un guasto di un altro componente e il
P (va dunque calcolato per ogni componente).
componente in esame supera una certa soglia T
o
In caso di guasto. 9
Università degli studi di Palermo – Corso di Laurea Triennale in
Ingegneria Gestionale
Sintesi del corso di Impianti Industriali (del Professore G.Galante)
Capitolo 1.
Le onde sonore sono onde meccaniche longitudinali che si propagano in mezzi elastici solidi, liquidi o gassosi.
L’energia di un onda è l’energia cinetica e potenziale del mezzo, e la sua trasmissione avviene attraverso gli
strati dello stesso. Per molti tipi di onde vale il principio di sovrapposizione degli effetti. Per studiare le onde
sonore si assumono le tre seguenti ipotesi: il mezzo di propagazione è un fluido perfetto, privo di viscosità (gli
sforzi su ogni elemento di superficie sono solo normali, definiti dal valore della pressione), le oscillazioni sono
piccole, la trasformazione termodinamica è adiabatica. In un onda periodica, oltre alla velocità di
propagazione c dell’onda e quella di oscillazione u delle particelle del mezzo, distinguiamo il periodo T (tempo
che intercorre tra due punti omologhi) e una lunghezza d’onda costante λ= cT = c/f (con f frequenza dell’onda,
che dipende dalla sorgente sonora). Definiamo pressione sonora la differenza tra la pressione istantanea e la
pressione che si avrebbe in assenza di perturbazioni (per esempio la pressione atmosferica). Nel corso
utilizzeremo il valore efficace di tale pressione, dato dalla seguente espressione:
1
Definiamo potenza sonora W l’energia sonora irradiata nell’unità di tempo (dunque si misura in Watt), mentre
definiamo intensità sonora I l’energia che attraversa l’unità di superficie nell’unità di tempo (dunque W/m ),
2
che per le onde sferiche vale I=W/4πR . L’energia sonora confinata nell’unità di volume del mezzo è espressa
2
invece dalla densità sonora D=p /ρc , con ρ densità del mezzo. Definiamo fattore di direzionalità il fattore dato da:
2 2
pressione sonora ad una certa distanza dalla sorgente nella direzione θ e p pressione sonora che si
con p θ m
avrebbe nello stesso punto se la sorgente fosse puntiforme. Con tale fattore si tiene conto sia delle
caratteristiche della sorgente che della direzionalità dovuta all’interazione della sorgente con le superfici entro
le quali questa è posta . Possiamo scrivere p = ρcu, e la quantità ρc si definisce impedenza acustica: da essa
1
dipende il trasferimento di energia da un mezzo ad un altro (esso è totale per due mezzi con uguale impedenza
acustica, altrimenti parte di energia viene riflessa nel mezzo di provenienza). Tra i valori efficaci di I e p si può
dimostrare che sussiste la relazione: ⁄ . In acustica le grandezze
Dalla precedente ricaviamo che D=I/c, che per onde sferiche diviene D=W/4cπR 2
finora descritte vengono misurate su scala logaritmica e sono denominate livelli sonori. Ciò è dovuto alle grandi
variazioni di pressione e intensità che si riscontrano in acustica (la scala logaritmica riduce tale variabilità);
inoltre l’orecchio umano giudica l’intensità relativa di due suoni in base al rapporto delle due, quindi con un
andamento logaritmico. La scala logaritmica usata è quella del decibel. Per l’intensità I si ha:
10log
con I intensità di riferimento. Esprimendo I in funzione di p otteniamo:
0 10 log 20log
02
=p /cρ si ha L =L . Viene definito anche un livello di potenza sonora come:
Se si sceglie (in campo libero) I
0 0 I p 10log
Solitamente I e W sono fissati rispettivamente a 10 W/m e W. Supponiamo di avere un campo sonoro
‐12 2
0 0
sferico. Vediamo che è possibile determinare il livello di pressione sonora noto quello di un altro punto. Infatti:
⁄
, →
4 4 1
1 Considerando sorgenti intrinsecamente simmetriche, il valore di Q dipende unicamente dalle posizioni in relazione
θ
alle superfici del locale in cui è posta. Dunque se la sorgente è in prossimità dell’intersezione di due superfici, si avrà
Q =4, se si trova all’angolo di un locale avremo Q =8, se sul pavimento Q =2.
θ θ θ
Dunque si può scrivere: 10 log 10 log 10 log
Da ciò possiamo dedurre che se la distanza dalla sorgente raddoppia il livello di pressione sonora diminuisce
di 6 dB. Se abbiamo più sorgenti sonore il livello totale di pressione o intensità sonora in un punto non è data
dalla somma dei livelli sonori, tuttavia basta sommare gli argomenti dei livelli. Per comporre diversi livelli
sonori presenti in uno stesso punto può usarsi, indipendentemente dal fatto che si tratti di I, W o p , la formula:
2
10 log 10
Quando non sono attive sorgenti sonore ben definite, il rumore rilevato viene definito rumore di fondo.
Quando il suono si propaga in spazi chiusi (campo diffuso o riverberante) è necessario considerare i fenomeni di
riflessione del suono quando questo incontra pareti o ostacoli; infatti quando un’onda sonora investe una
parete parte dell’energia viene assorbita, una parte trasmessa e una riflessa. L’assorbimento sonoro di una
superficie è espresso dal coefficiente di assorbimento α, definito come il rapporto tra la parte di energia non
riflessa (assorbita o trasmessa) e l’energia totale incidente sulla superficie. Spesso tale coefficiente viene detto
di assorbimento apparente in quanto rapporto tra l’energia che non viene riflessa e quella incidente (per una
finestra aperta vale α=1). Nella maggior parte dei casi un ambiente è costituito da materiali con α diversi e
perciò utilizziamo, per un’area S, un coefficiente medio, così definito:
∑
∑
Definiamo inoltre assorbimento totale la quantità A=Sα . Un altro parametro importante è il tempo di
m
riverberazione, ossia il tempo necessario affinché, spenta una sorgente sonora, il livello di pressione acustica
scenda di 60 dB (o la densità di energia scenda un milionesimo di volte); si dimostra che tale parametro vale
T =0,163V/A, con V volume del locale (T è quindi molto utile per trovare valori approssimati di A).
60 60
Consideriamo una sorgente sonora di potenza W che emette in campo diffuso assumendo l’ipotesi di densità
costante in tutti i punti del locale; definiamo cammino libero medio il percorso che l’energia sonora mediamente
compie tra due incidenze consecutive sulle pareti, e va quindi calcolato come la media aritmetica ponderale
di tutte le lunghezze dei percorsi consentiti, assumendo come pesi pe