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TERZO MODULO: MORMINO
Problemi che Mormino ha trovato: innatismo + distinzione fra imitazione umana e quella animale (la vita
sociale obbedisce a regole di vita sociale simili e più vecchi dell’uomo) + idea che la capacità di capire le
idee dell’altro (teoria della mente) sia attribuibile agli umani (anche ai bambini) e non agli animali non
umani. L’empatia (teoria della mente in una forma raffinata) è, secondo Mormino, qualcosa che non
caratterizza solo noi umani, dato che il comportamento di molti animali rivela di comprendere ed essere
toccato dallo stato d’animo altrui (sulla base del comportamento dell’altro, che anche gli animali non umani
vedono). Occorre anche ricordare che ci sono uomini incapaci di leggere i sentimenti altrui o che comunque
non vi partecipano.
Dire che l’uomo è capace di empatia, tranne in casi eccezionali e che gli animali non ne sono capaci, tranne
in casi particolari, e dire che comunque esiste un senso innato di empatia costituisce una contraddizione.
Dobbiamo comunque cercare di capire questi fenomeni sulla base di qualcosa di diverso dall’innatismo.
Locke diceva che se si propone l’esistenza di contenuti innati della mente bisogna fare i conti con il fatto
che molti non li hanno + l’innatismo è un eccezionale modo per coltivare la pigrizia (ci evita di interrogarci
sull’origine dei meccanismi, ci dice solo che qualcosa che c’è, c’è e basta). Mettere un’empatia innata è una
non risposta, occorre capire perché l’empatia nasca o meno.
Questo è rilevante anche dal punto di vista etico: finché pensiamo che l’empatia sia innata, continueremo a
pensare che le persone non empatiche vadano eliminate e non cercheremo un modo per migliorare la loro
condizione. Quello che cerchiamo è una spiegazione riduzionista (in termini di comportamenti e azioni più
semplici di quelli che vediamo).
Da un punto di vista fenomenologico (quello che noi sappiamo) gli animali e gli uomini hanno capacità
imitative. Quello che sorprende è che sono gli animali con vita sociale ad avere comportamenti imitativi. Es.
il fatto di spulciarsi sé stessi o gli altri è un comportamento che si ritrova in moltissimi animali ed è un
comportamento fortemente sociale (favorisce la distensione sociale); tutti gli animali fanno questo a se
stessi, ma solo quelli sociali lo fanno l’un l’altro. È un comportamento che viene appreso (i piccoli non
hanno questa tendenza da subito, ma una delle prime cose che fa la madre è proprio questa ed è dai
comportamenti materni che i cuccioli apprendono per imitazione).
Se così tanti animali apprendono per imitazione qualcosa vuol dire che questa capacità si è presentata (dal
caos primordiale è emersa una forma di vita che aveva capacità di imitare) e, dato che era una buona
risorsa, si è conservata ed è passata ai suoi discendenti.
Perché la maggior parte degli animali dimostra di saper imitare?
La parola chiave è scorciatoia = imitare è un modo per evitare tentativi fallimentari di compiere un’azione e
seguire un esempio che già funzione. Vedere qualcuno fare qualcosa e imitarlo è un modo veloce di fare le
cose.
Il concetto di scorciatoia ci fa capire che abbiamo a che fare con un organismo che ci dà un vantaggio (in
termini di tempo, soprattutto in una situazione in cui le risorse sono poche, i rivali sono tanti e le prede
furbe).
Esistono però anche livelli alti di imitazione: possiamo dire che il concetto di scorciatoia vale anche per
questi?
Es. l’allievo di Giotto che copia dal maestro un certo modo di fare la faccia come ovale mette in atto la
stessa funzione del cucciolo di scimmia che tira fuori il bastoncino di formiche dal formicaio quando ha visto
altri farlo.
In Europa a un certo punto la Cecoslovacchia si è divisa in due e questo è un fatto che molto difficilmente
avviene in modo pacifico. Se io fossi un leader scozzese e volessi dividermi dal Regno Unito andrei a vedere
cosa è stato fatto in Cecoslovacchia e negli altri paesi che si sono divisi ed eviterei gli errori già commessi.
Quindi il concetto di scorciatoia si applica anche ai casi di alta imitazione.
Mormino dice che tutti i fenomeni che riguardano l’imitazione di un altro siano già troppo complessi per
essere la spiegazione di base (anche il bambino che tira fuori la lingua); questo perché rimane il problema
della corrispondenza (come sappiamo che la nostra azione è uguale a quella del modello), per spiegare così
l’imitazione dovremmo presupporre un continuo confronto con il modello e dei continui feedback (e questi
feedback mancano al bambino che tira fuori la lingua).
Occorre ridurre la spiegazione dell’imitazione a qualcosa che non ricorra a uno specchio per essere
fatto.
Il primo modello che possiamo imitare senza questo problema siamo noi (modello interno): possiamo
imitare i comportamenti che noi abbiamo fatto => autoimitazione.
Es. bambino che sta imparando a mangiare con cucchiaio. Se il cibo gli finisce addosso (azione inefficace)
dovrà correggerla, se avrà successo il bambino la ripeterà e prenderà come modello della prossima
cucchiaiata quella efficace.
Così il problema della corrispondenza non c’è: noi abbiamo una memoria dell’azione che noi stessi abbiamo
compiuto (abbiamo gli schemi motori che ci hanno permesso di farlo la prima volta).
p. 13 del testo di Mormino (“Per una teoria dell’imitazione”) = se vogliamo imparare a fare qualcosa che fa
la nostra specie occorre impararlo, farlo in prima persona (non sappiamo fare nulla innatamente). Fare un
certo tipo di azione è poi più semplice se si ha un certo corredo genetico piuttosto che un altro (per questo
i membri della stessa specie fanno quasi sempre le stesse cose, non perché c’è innatismo).
no apprendimento di gruppo, di classe e di specie, ma chi apprende è sempre il singolo.
Quello che noi ripetiamo sono atti motori trovati accidentalmente: quando un bambino è piccolo si muove
in modo scomposto, mentre gli adulti si muovono molto meno (infatti anche quando noi siamo inesperti
nel fare qualcosa facciamo molti movimenti inutili e siamo scomposti, mentre l’esperto fa semplici gesti); i
bambini fanno moltissime smorfie e scalciano = tutto questo è puramente casuale (non in vista di uno
scopo). Noi stessi agiamo freneticamente quando siamo in situazioni impreviste e non sappiamo come fare.
Questo perché quando abbiamo un bisogno e non sappiamo come soddisfarlo esploriamo il mondo (moto
esplorativo).
Dopo pochissime ore dal parto l’organismo del bambino richiede nutrimento; il bambino non ha mai
mangiato, sente un bisogno dentro di sé di cui non sa nulla. L’unica cosa che può fare è muoversi nel
tentativo di cercare una soluzione. Se ci sono degli esseri che reagivano con l’immobilità allo stimolo della
fame, questi si sono estinti, perché ai piccoli il cibo non arriva se non attraverso il movimento. Tutti gli
esseri animali che conosciamo hanno una tendenza a muoversi per cercare cibo (i neonati appena nati se
messi sulla pancia della mamma si muovono in cerca di cibo). Lo stimolo della fame impone (innatamente)
al bambino di muoversi per cercare una soluzione.
Quando dormiamo e non siamo coscienti di quello che facciamo ci rannicchiamo: di fronte al bisogno di
calore, senza coscienza, il nostro corpo si muove, si sposta e cerca la posizione giusta.
Animali molto più elementari di noi si spostano quando batte il sole e se possono andare in un luogo dove
c’è ombra ci vanno, i rettili fanno generalmente il contrario.
Sono tutti esempi di azioni accidentali e compiute accidentalmente. Il fatto di muoversi verso una posizione
più vantaggiosa è una forma di adattamento di cui tutti gli animali che vediamo oggi sono dotati => è
iscritta nel nostro corredo genetico e non serve la consapevolezza (per questo Mormino parla di
“movimenti accidentali”).
Moto esplorativo = cercare a casaccio (nel senso che non lo possiamo sapere prima) una forma di
soddisfacimento del bisogno.
Supponiamo che nel nostro movimento in cui cerchiamo qualcosa che ci sottragga ai bisogni abbiamo
successo (es. troviamo fonte di cibo); la volta successiva che proviamo lo stesso bisogno facciamo la stessa
cosa (es. il bambino impara che l’oggetto sferico, seno della madre, è fonte di cibo => la volta successiva il
bambino prenderà a modello del proprio comportamento futuro il comportamento efficace precedente che
accorcia il suo movimento esplorativo).
Mormino: prima dell’imitazione c’è l’autoimizione (primo momento in cui impariamo a copiare un
modello). Ora ci chiediamo come dall’imitazione di sé si arriva a quella degli altri.
Così il processo dell’imitazione è stato spiegato attraverso un modello più semplice, cioè quello
dell’autoimitazione.
LEZIONE 25
Spinoza nel terzo libro dell’”Etica” utilizza il concetto di imitazione degli affetti: noi siamo portati
necessariamente a copiare gli affetti di qualcuno che sia simile a noi e per cui non nutriamo alcun affetto.
Se noi vediamo qualcuno che piange/è triste ci intristiamo anche noi, ma deve essere simile a noi e deve
essere qualcuno verso cui non nutriamo alcun affetto. Deve essere simile a noi, perché se sono un
cacciatore e vedo il cervo che lacrima ferito io non provo tristezza nel vederlo triste, in quanto non lo
considero simile a me. Inoltre se vediamo triste una persona che odiamo saremo felici => qui non c’è
imitazioni degli affetti. Se vedo un amico triste, se proviamo tristezza perché lui è triste non è per
imitazione, ma perché ci dà dolore vedere una persona che amiamo soffrire (non avviene contagio della
tristezza).
Una delle prove dell’imitazione degli affetti è, secondo Spinoza, il fatto che i bambini fanno così: piangono
quando gli altri bambini piangono, desiderano ciò che gli altri desiderano. In merito al desiderio, e solo in
merito a questo, Spinoza anticipa Girard (Girard parla solo di imitazione del desiderio e qui Spinoza dice che
appena vediamo qualcuno che desidera desideriamo anche noi => si introduce il desiderio mimetico).
Questa è l’unica occasione in cui si parla di desiderio mimetico prima di Spinoza.
Inoltre Spinoza dice che dato che gli enti che imitiamo hanno un corpo simile al nostro, quando essi
provano determinate emozioni, noi nel vedere questo corpo provare certe sensazioni/emozioni entriamo in
risonanza (come due corde di uno strumento: quando ne pizzichiamo una ed è accordata correttamente
anche quella accanto vibra).
Se qualcuno ha un corpo simile