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Quest’ultima conosce invece un certo successo in altri ambiti, come la

competizione musicale “Eurovision”. Il successo tuttavia è impari, perché a

seconda dei paesi il palinsesto è molto diversificato (es. l’Italia non ha sempre

stabilito il concorso), e anche ambiguo, infatti la competizione lascia molto più il

segno nelle periferie dell’Europa che nei paesi principali.

1979 le prime elezioni europee costituiscono per i broadcaster una nuova

sfida. I risultati sono parzialmente soddisfacenti: impari a seconda dei paesi,

ed “europei” in maniera etnocentrica.

1984 i dibatti elettorali sono strutturati nel solo quadro nazionale, e la stessa

 équipe di ricerca non ritrova più traccia di quel “beneficio del dubbio”

che aveva permesso all’Europa politica di trovare una prima espressione in

tv.

In questo contesto, la vecchia idea della televisione come strumento di formazione

dell’identità collettiva viene di nuovo a galla: l’identità crea la volontà che crea

l’unità. L’informazione comune diventa quindi una condizione dello sviluppo

dell’identità: informazione che oscilla tra un senso molto generale e astratta e uno

invece più legato all’attualità (idea di informare correttamente gli europei).

MEDIA programma approvato nel 1986 dalla Comunità europea, che sostiene

la produzione, formazione, distribuzione e multilinguismo. Il suo scopo

principale è incoraggiare partner di diverse nazionalità a lavorare

insieme, e sincerarsi che il frutto del loro lavoro si visto da tutti

spettatori europei.

Gli anni ’70 e ’80 sono caratterizzati dal discorso pubblico sulla globalizzazione e

sul confronto delle diverse identità. Sul piano dello sviluppo delle tecnologie, il

satellite viene visto come uno “strumento identitario” di primo piano destinato ad

assolvere compiti piuttosto disparati (progetti di distribuzione globale). Scendono

in campo tre attori principale:

1) Governi nazionali dei grandi paesi: concepiscono il satellite come uno

strumento di potenza industriale e un mezzo d’irradiazione culturale;

2) Gruppi multimediali internazionali: il loro interesse dimostra quanto sia

diffusa la fede nel potere della comunicazione di modellare un pubblico (si

interessano in particolare all’Europa);

3) Autorità pubbliche e broadcaster di servizio pubblico: l’interesse si sposta

dalla preoccupazione per l’emergere di un mercato comune alla coscienza di

un “deficit”: l’idea che la tv debba aiutare a creare una cultura europea

comune, percepita o come inesistente o fatta da contraddizioni/conflitti.

L’EUR si specializza nei generi che conosce meglio:

Sport: “Eurosport”, che inizia a trasmettere nel 1989;

 Informazione: “Euronews”, che inizia a trasmettere nel 1993 con un

 modesto successo: trasmette nelle cinque grandi lingue europee, senza

presentatore e talvolta senza commento;

Cultura: “Arte”, che inizia a trasmettere nel 1991: vi si ritrova la

 diplomazia, la preoccupazione per la cultura alta, la “ri-nazionalizzazione”

nella fase di ricezione. L’idea nasce in Francia nel 1986 e il canale infatti è

rimasto per lo più un’operazione francese e tedesca, più che europea.

La televisione è dunque stata intesa come un motore di unificazione culturale. Se

si considera l’Europa (almeno quella da costruire) come una vecchia nazione

europea, le autorità europee hanno combinato una sorta di teoria “comunicativa”

dell’identità culturale a una teoria determinista della televisione. Da questa

impostazione teorica dipende la circolarità dei ragionamenti sulla formazione di

un’identità.

Il fallimento pratico di una visione deterministica della televisione trova una sua

spiegazione anche in un’ultima “teoria” della televisione intesa come mezzo di

comunicazione innanzitutto visivo: in realtà, la televisione non può fare a meno di

utilizzare le parole. C’è molto da riflettere sul linguaggio comune che imporrebbe

la televisione. L’uso della lingua nelle reti televisive in occasione di trasmissione

di informazione e di dibattiti deve rispondere ad alcune esigenze di trasparenza e

insieme di immediatezza: presentatori, commentari e ospiti in studio

devono parlare la stessa lingua, ossia una lingua nazionale. Si capisce allora

perché un canale televisivo europeo comune a un gran numero di spettatori sia

condannato a restare una fantasia, a meno che non si tratti di un programma di

fiction o di un altro genere transnazionale.

In conclusione, l’Europa non ha bisogno di una rete televisiva unica, ma di un

volto politico e di un sentimento democratico sufficientemente interessanti da non

venire ignorati dai canali nazionali, soprattutto dai programmi d’informazione.

IL SERVIZIO PUBBLICO IN EUROPA

La fiction televisiva

La fiction, che viene considerata un luogo di espressione dell’identità nazionale,

raggiunge il suo apice in Europa con il termine degli anni ’80.

Gli anni ’60 si caratterizzano soprattutto per una produzione interna, mossa da

alcuni fattori particolarmente rilevanti:

1) Compito educativo;

2) Storia letteraria del Paese;

3) Potere attrattivo;

4) Sceneggiato letterario e teatrale.

Nel corso degli anni ’70, invece, si assiste a un forte declino del teatro televisivo a

causa dell’emergere di nuove forme di registrazione, come il telefilm.

È dunque con l’arrivo degli anni ’80 che la fiction popolare comincia ad emergere

sempre di più nel panorama televisivo:

Si tratta di vere e proprie antologie/serie;

 Generi: teatri giudiziari, serie drammatiche, serie poliziesche;

 Presenta spesso una critica sociale, evidenziata dalla sua forma sovversiva;

 Presenta rapporti con il cinema (che cresce ancora più di popolarità grazie

 alla nascita del secondo canale, che ne determina anche cambiamenti sia

dal punto di vista qualitativo che da quello quantitativo) e con la tv

americana (che attraverso la deregolamentazione, aumenta ancora di più le

sue produzioni e la sua invasività fiction “Dallas”).

L’informazione

Si tratta di un genere che si trova a metà strada tra giornalismo e televisione e

comprende al suo interno: magazine, infotainment

(informazione+intrattenimento), talk show, telegiornale.

1) Anni ’50 Nascita di un genere. In questo periodo, l’informazione non

riscuote ancora molta popolarità e attenzione: non esiste ancora la figura

dell’anchorman (ossia del presentatore-divo) e si tratta di un genere che

deve ancora stabilizzarsi, perché si trova a metà strada tra il modello

radiofonico e quello cinematografico;

2) Anni ’60 Sviluppo e politicizzazione. Il telegiornale diventa come un vero

e proprio “rituale civile” ed inizia anche a svolgere un ruolo importante nel

sistema politico, soprattutto in occasione delle elezioni: le cosiddette

“elezioni televisive”;

3) Magazine d’informazione:

Approfondire dei temi delle news;

 Compromesso tra un’informazione seria e una invece più leggera;

 “Finestra sul mondo”;

 Reportage di problemi sociali;

4) Anni ’70 Definizione:

Figura del presentatore unico;

 Moltiplicazione delle edizioni: subentra lo strumento del “gobbo”;

 Riforme dell’audiovisivo pubblico, destinate a incoraggiare la

concorrenza tra centri di produzione e canali;

Tre diverse testate: dibattiti politici importanti ma anche preoccupanti;

 Tecnologie: ENG (Electronic News Gathering) + grafica, ovvero l’uso di

videocamere collegate a dei videoregistratori professionali;

Relativa libertà al Sud;

5) Anni ’80 Concorrenza (forza dominante) e commercializzazione

(soprattutto sui telegiornali della sera). Si istituisce una vera e propria

dimensione regionale e nascono sempre più canali “all news”. Questa fase

si caratterizza anche per la nascita di interrogativi sul mestiere di

giornalista.

L’intrattenimento: il ritorno del rimosso

L’intrattenimento è un genere popolare, che si presenta come meno caro rispetto

a molti altri e in grado di veicolari spettacoli tipici nazionali ( portatore di

cultura).

Nel Sud Europa questo genere si caratterizza per:

1) Quiz e varietà in prime time;

2) Programmazione irregolare;

3) Competizioni canore;

4) Programma della domenica pomeriggio contenitore, dato che mescola parti

molto diverse tra di loro.

Il genere dell’intrattenimento, in quanto molto ampio, si segmenta al suo interno

in altri “sotto-generi”, alcuni di questi sono:

Quiz show (esempio di “light entertainment”): occupa un ruolo centrale

 nella dimensione dell’intrattenimento e deve la sua nascita a

“un’americanizzazione sottile” (“Lascia o Raddoppia?” è di ispirazione

americana). Il suo principale intento è quello di valorizzare la lezione morale

e di veicolare il compito del servizio pubblico;

Satira politica (obiettivo polemico, dato che al Sud manca la vera libertà):

 risale al XIX secolo anche se si sviluppa soprattutto nel corso degli anni ’80

e vuole mostrare i politici come fossero dei burattini;

Intrattenimento musicale.

Con la fase della deregolamentazione, produttori, autori e conduttori prendono in

prestito liberamente dagli Stati Uniti e comincia a “nazionalizzare” i format

americani: modifica delle regole, valore del premio dei giochi, cambiamento della

fascia oraria e della periodicità, “dilatazione teatrale”, concorrenti popolari.

Con questa fase, si va anche affermando la vera e propria figura del conduttore -

produttore, ossia quel conduttore che aveva proposto l’idea della trasmissione e

che poteva ambire al titolo di produttore o autore.

L’americanizzazione della realtà

1) Reality show:

Definizione: ambiti vari, persone comuni, soggettività, conduttori

 famosi, diretta, cronaca;

Esposizione di un’intimità emotiva “autentica”;

 Precursori: documentario (rivelare qualcosa di vero sulla società),

 tradizione confessionale (legame con la religione), trasmissioni di

“testimonianza” (in linea con il servizio pubblico), trasmissioni dei

processi (dove possibile) intervento sociale;

Anni ’80: “verità dei sentimenti” nuovi format, talk show, tv-verità;

 

An

Dettagli
Publisher
A.A. 2018-2019
6 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Andrea992806 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dei media e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Scaglioni Massimo.