PROCESSO FORMULARE
Si diffuse a Roma dal III secolo a.C., inizialmente veniva utilizzato solo per risolvere le controversie tra stranieri (quindi per un periodo il processo formulare e le legis actiones coesisterono), poi in un secondo momento fu esteso a tutti.
Una delle differenze con le legis actiones era che i litiganti potevano esprimere con parole semplici e persino in lingua straniera le ragioni della controversia furono quindi bandite frasi o gesti solenni.
Svolgimento processo formulare
Il processo formulare era composto da due fasi: la fase in iure e la fase apud iudicem.
Per dare impulso al processo era necessario che:
- l'interessato comunicasse l'azione esperita alla persona che intendeva citare in giudizio
- compisse la vocatio in ius cioè la citazione in giudizio
Se la persona chiamata si rifiutava di comparire, poteva come nelle legis actiones offrire un vindex che promettesse la comparizione in giudizio del convenuto nella nuova data fissata dal giudice.
magistrato; oppure, la novità era che il convenuto potesse fare personalmente una promessa stragiudiziale mediante stipulatio. Se poi a seguito di quest'azione il convenuto non compariva, sarebbe stato considerato latitante cioè assente per colpa propria. Inizialmente il processo formulare poteva essere applicato a liti tra due straniere o tra un cittadino romano e uno straniero, solo con la legge Ebuzia divenne applicabile anche alle controversie tra due romani. Le parti processuali erano l'attore e il convenuto. Se le parti erano composte da due o più persone, era consentito agire congiuntamente nel litisconsorzio. Una volta comparse in iure le parti, il processo aveva inizio. Entrambe le parti dovevano collaborare all'elaborazione dello iudicium, ovvero l'atto scritto contenente l'inquadramento giuridico della lite. Il primo atto era costituito da una editio actionis in cui l'attore doveva enunciare la propria pretesa specificando iFatti su cui si fondava la richiesta e indicare l'azione processuale esercitata. Poteva però accadere che il caso non fosse previsto dall'editto, quindi nel caso in cui il magistrato reputava il caso degno di tutela, egli stesso doveva elaborare uno schema del tutto nuovo.
Dopo l'esposizione informale dell'attore avveniva il contraddittorio fra le parti, che aveva lo scopo di chiarire i fatti in modo da far emergere i punti fondamentali per l'elaborazione dello iudicium.
A questo punto potevano esserci delle ipotesi che facevano concludere il processo prima della litis contestatio:
- il magistrato poteva negare l'azione qualora la ritenesse manifestamente infondata o improcedibile sul piano formale;
- quando si verificava la constatazione di inutilità della prosecuzione del processo, ovvero quando il convenuto confessava il buon fondamento delle ragioni dell'attore. Se la confessione riguardava una somma di denaro già
Determinata l'attore passava direttamente alla fase esecutiva, altrimenti era necessario un processo di accertamento per determinare la somma da pagare; la controversia poteva essere troncata dallo ius iurandum in iure, ovvero un giuramento di carattere religioso e giuridico effettuato di fronte al magistrato.
A questo punto si verificava la litis contestatio che chiudeva la prima fase del processo formulare. Questa, nonostante si chiamasse come nel processo per legis actiones aveva un diverso significato, infatti non era più la chiamata solenne dei testimoni, ma il momento di accettazione della formula elaborata dal magistrato. La litis contestatio coincideva con il momento in cui il magistrato dava la lettura dell'atto scritto che riassumeva l'inquadramento giuridico della controversia e le parti lo accettavano.
Questo iudicium era un atto a forma libera in cui però comparivano delle parti tipiche che conferivano carattere giuridico alla formula:
- datio iudicis
si trovava in testa alla formula e consisteva nella nomina del giudice
demonstratio, con la quale si esponeva brevemente il fatto, in modo da fare chiarezza
intentio, parte in cui l'attore racchiudeva la propria pretesa nei confronti del convenuto
adiudicatio e/o la condemnatio, erano le parti finali. Potevano comparire entrambe o solo una delle due. La prima conferiva al giudice il potere di attribuire a ciascuno le parti spettanti della cosa litigiosa. La seconda conferiva al giudice il potere di condannare o di assolvere.
L'editto pretorio prevedeva anche che in alcuni casi il magistrato poteva inserire, a favore del convenuto, una taxatio cioè un tetto massimo che il giudice determinando l'ammontare della condanna, non poteva superare.
Il magistrato poteva inoltre aggiungere clausole a vantaggio dell'attore o del convenuto su richiesta dei litiganti. Quella più frequente era l' exceptio, che aveva lo scopo di esprimere una
condizione negativa della condanna così da bloccare l'azione esercitata dall'attore. La formula a questo punto doveva essere accettata dai litiganti e il suo contenuto diventava vincolante.
Le conseguenze della litis contestatio erano triplici: conservativi, modificativi ed estintivi. La litis contestazione infatti fissava in maniera definitiva il rapporto giuridico, rendendo immutabile lo iudicium. Questo effetto conservativo implicava quindi l'irrilevanza di eventi successivi. Inoltre le parti avevano l'obbligo reciproco di subire le conseguenze della sentenza che avrebbe emesso il giudice alla fine del processo.
Non era poi consentito un secondo processo sullo stesso affare (faceva eccezione il giudizio di libertà).
GENERALMENTE LA PRIMA FASE DEL PROCESSO SI CONCLUDEVA NEL GIORNO STESSO DEL SUO INIZIO, QUALORA IL CASO ERA MOLTO COMPLESSO ERANO NECESSARIE ALTRE UDIENZE.
apud iudicem
La fase concludeva il processo.
→ La sentenza doveva essere emanata
entro 18 mesi. In iure, A differenza della fase in questa non era indispensabile la presenza di entrambi le parti ma l'assenza ingiustificata portava alla soccombenza, quindi era interessedei due litiganti a partecipare attivamente al dibattito orale. Il compito principale del giudice era quello di esaminare i fatti e i rapporti giuridiciiudiciummenzionati nello formulare. In questo tipo di processo non esisteva ancorauna gerarchia delle fonti per questo tutte erano poste allo stesso piano. → Assumeva un particolare rilievo giuridico il giudizio estimatorio, ovvero la stimadella cosa litigiosa sotto giuramento, a cui l'attore veniva spesso chiamato per la summa condemnationis. quantificazione della Il giudice non era obbligato a motivare la sentenza e valeva il principio del libero convincimento del giudice, a differenza della prima fase in cui invece il giusdicente inquadrava la lite negli esatti termini e dettagli. L'attore doveva quindi fornire una intentiodimostrazione.convincente di quanto presentato nella formula.oratores patroni → Sia i litiganti che i loro avvocati (chiamati oratores patroni) potevano perorare le tesi attraverso le declamazioni.
A questo punto il giudice doveva elaborare la sentenza che poteva essere di assoluzione o di condanna. Solo quando la questione non gli era chiara, poteva rifiutarsi di proclamare una sentenza e in questo caso si provvedeva alla sostituzione del giudice (con il procedimento della mutatio iudicis).
Nella sentenza il giudice poteva condannare o assolvere il convenuto, non gli era consentito condannare l'attore, a meno che non fosse stata inserita una clausola nella iudicium formulare chiamata summa condemnationis.
Inoltre nella indicazione della taxatio il giudice doveva attenersi strettamente alle istruzioni contenute nella formula, non poteva discostarsi dall'importo indicato nella formula.
Non erano ammessi ulteriori gradi di giudizio (questa possibilità fu prevista solo nelle cognitiones extra ordinem). Era
Possibile contestare la sentenza solo per chiedere un accertamento della responsabilità del giudice per dolo o per interessi privati. La sentenza era generalmente in forma scritta e in caso di condanna, determinava la nascita di un rapporto obbligatorio tra l'attore vittorioso e il convenuto. Quest'ultimo doveva infatti pagare l'ammontare della condanna (questa obbligazione veniva l'actio iudicati): tutelata attraverso 3
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Il processo civile romano
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Diritto romano - il processo
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