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Estratto del documento

Il convenuto poteva tacere, nel qual caso risultava definitivamente accertato il suo debito, o contestare il diritto

azionato: in questo caso il creditore lo provocava al sacramentum.

A differenza della legis actio sacramenti in rem, in cui le parti affermavano per sé lo stesso diritto, nella legis actio

sacramenti in personam una parte affermava il credito e l’altra lo negava. Inoltre mancava la fase di attribuzione del

possesso interinale, non essendoci una res oggetto della controversia.

La sfida al sacramentum, peraltro, permaneva e di conseguenza era necessaria sempre l’indicazione dei prædes

sacramenti.

2- La manus iniectio fu la più antica delle legis actiones e costituì il primo esempio di azione esecutiva generale.

Suo presupposto era il mancato pagamento da parte del convenuto di una somma di danaro, a cui era tenuto per

una causa certa ed indiscutibile. Il caso tipico fu quello relativo alle somme dovute a seguito di accertamento

giudiziale (“manus iniectio iudicati”); a questa ipotesi furono in seguito equiparati altri casi di crediti ben accertati, ad

es. crediti basati su una confessio in iure, per i quali si parlò di “manus iniectio pro iudicato”.

Il creditore, trascorsi 30 giorni (dìes iusti) dalla sentenza che aveva riconosciuto il suo diritto, conduceva, anche con

la forza, nuovamente in ius il debitore insolvente e dinanzi al magistrato lo afferrava pronunciando la frase: “quod tu

mihi iudicàtus es sestèrtium decem mila, quando non solvìsti, ob eam rem ego tibi sestertium decem mila iudicati

manum inìcio” (poiché sei stato condannato a pagarmi diecimila sesterzi e non l’hai fatto, io compio su di te la manus

iniectio per diecimila sesterzi).

Il condannato non poteva respingere la manus iniectio, ma solo offrire un vìndex per contestare le ragioni del

creditore. Se però il vindex risultava sconfitto, il debitore era condannato al pagamento del doppio del dovuto.

Se non era presentato il vindex, il magistrato confermava la dichiarazione del creditore mediante l’addìctio.

Il creditore aveva diritto di condurre il debitore presso la sua abitazione e di tenerlo legato per 60 giorni, durante i

quali doveva presentarlo in pubblico in tre mercati consecutivi per venderlo, dichiarando l’esistenza del debito e il

suo ammontare.

Trascorsi i 60 giorni senza alcun esito positivo, il debitore poteva essere ucciso o venduto fuori del territorio

romano(trans Tìberim) e, se vi erano più creditori, in base alle XII Tavole, poteva essere ucciso: il suo corpo diviso tra

gli stessi creditori.

Col tempo la manus iniectio andò sempre più trasformandosi da processo esecutivo in processo dichiarativo: al

debitore fu concessa la possibilità di respingere la manus iniectio e di iniziare un giudizio per accertarne la legittimità

(depèllere manum et pro se lege àgere: c.d. manus iniectio pura).

3- La legis actio per iudicis arbitrive postulationem costituì una semplificazione della legis actio per sacramèntum.

Essa fu introdotta dalla legge delle XII Tavole ed aveva un campo di applicazione ben delineato, risultando esperibile

dapprima per l’accertamento dei crediti derivanti da spònsio e successivamente nei giudizi divisori. 4

4- La legis actio per condictionem, introdotta, come riferisce Gaio, da una lex Silia del III sec. a.C. per l’accertamento

di crediti di somme certe di danaro, fu estesa, da una successiva lex Calpurnia, ai crediti di cosa determinata.

La condìctio costituì probabilmente un adattamento della legis actio sacramènti, in quanto sostituì il pagamento

della somma di danaro all’erario con il pagamento di una penale al vincitore.

La procedura era molto simile a quella della legis actio sacramenti. L’attore affermava davanti al convenuto che

questi era debitore verso di lui di una data somma di danaro e gli chiedeva di riconoscere il suo debito.

Se il convenuto negava, l’attore lo invitava a comparire nel trentesimo giorno davanti al pretore per la nomina del

giudice: di solito il convenuto per evitare la condictio provvedeva a pagare il dèbitum.

La prima parte dell’azione si svolgeva, dunque, extra iùs, e cioè non davanti al magistrato.

5- La legis actio per pignoris capionem era una forma di esecuzione sui beni del debitore, eseguita senza bisogno di

un precedente giudicato: essa fu utilizzata solo per crediti di carattere pubblicistico (es. il credito dell’esattore di

imposta).

La legis actio per pignoris capionem si celebrava anche in assenza dell’avversario e non richiedeva la presenza di un

magistrato; consisteva nell’attodel creditore che si impadroniva di una o più cose del debitore inadempiente,

pronunciando cèrta sollèmnia vèrba, per soddisfare il proprio credito.

Gaio ricorda alcuni casi in cui si ricorreva a tale azione:

— i soldati potevano agire con la pignoris càpio contro colui che era tenuto a pagar loro lo stipendio (æs militare) o a

fornir loro le vettovaglie;

— i publicani potevano agire con la pignoris capio contro i debitori di imposte al fine di riscuotere il vectìgal dai

privati contribuenti, in base a un provvedimento del censore (lex censoria).

L’appartenenza della legis actio per pignoris capionem al novero delle legis actiones fu molto discussa dai giuristi

romani poiché essa poteva essere celebrata fuori del tribunale ed anche nei dìes nefàsti (non propizi, nei quali non si

amministrava giustizia); la necessità di pronunciare certa verba (formule solenni) indusse a preferire l’opinione

affermativa. 5

4. Il processo formulare

Secondo quanto riferisce il giurista Gaio nelle sue Istituzioni, il processo formulare si sarebbe affermato per i

vantaggi che presentava rispetto alle legis actiones, usufruibili soltanto dai cittadini romani (cives) e, per di più,

eccessivamente caratterizzate da un rigoroso formalismo. Nelle legis actiones, infatti, ogni errore, anche minimo,

nella pronuncia dei certa verba o nel compimento dei gesti previsti dal rituale avrebbe comportato la perdita della

lite.

Fatta questa premessa, per capire meglio il passaggio al processo formulare, è opportuno capire il contesto storico.

Nel III secolo a.C. Roma si era trasformata e, a poco a poco, da società chiusa a base prevalentemente agro-pastorale

si era aperta ai traffici mediterranei, divenendo anzi potenza egemone nel bacino del Mediterraneo, potenza

schiavistica e mercantile. Già dal 338 a.C. Roma aveva coniato una sua moneta, sia pure servendosi delle zecche di

Capua e di Napoli. Nel 242 a.C., dopo la conquista delle prime province (Sicilia e Sardegna), veniva istituito il praetor

peregrinus competente a giudicare i processi in cui almeno una parte fosse uno straniero. Egli non poteva applicare a

questo le legis actiones, che erano riservate solo ai cives.

Quindi sostanzialmente, il processo formulare, nel diritto dell'antica Roma, costituì il procedimento processuale

ordinario dal III secolo a.C. e per tutto il periodo classico, nato per l'esigenza di offrire tutela anche a coloro che non

potevano esercitare le legis actiones, cioè i non cittadini romani e di tutelare nuove situazioni giuridiche nate con

l'espansione dei territori romani.

Tale schema non si basava come le legis actiones sulla pronuncia di precise ed immutabili parole (certa verba) bensì

sulla pronuncia di "formulae", ovvero il corrispondente delle "actiones" , contenute nell'editto che il pretore urbano

emanava ogni anno.

- Essendo stato introdotto dai pretori in virtù del loro imperium e della loro iurisdictio, il processo per

formulas apparteneva in origine al ius honorarium, e non poteva dunque essere utilizzato per le controversie basate

sul ius civile. Solo nel II secolo a.C., in concomitanza con una grande diffusione del processo per formulas venne

emanata la Lex Aebutia con la quale divenne legittimo l'utilizzo del processo per formulas anche per valere diritti

fondati sul ius civile. Al tempo della riforma giudiziaria operata da Augusto con la Lex Iulia iudiciorum privatorum

(17 a.C.) l'agere per formulas soppiantò del tutto le legis actiones e divenne l'unica procedura vigente, tranne in due

casi: per i giudizi ereditari che si svolgevano innanzi ai centuviri e per l’actio damni onfecti, ossia per l’azione di

danno temuto.

Il processo formulare, nonostante la diffusione nella prima età imperiale, per singole materie, della cognitio extra

ordinem, rimase in pieno vigore almeno fino all’età di Diocleziano (fino terzo secolo d.C.), e fu abolito solo da una

costituzione dei figli di Costantino, Costanzo e Costante, nel 342 d.C. 6

5. Le due fasi del processo formulare

Mentre le legis actiones erano cinque diversi moduli processuali, (riti,di cui tre "dichiarativi" e due "esecutivi") il

processo formulare aveva carattere unitario in relazione al procedimento. Tuttavia, tale procedimento, rispetto alle

legis actiones, conserva il carattere bifasico, articolandosi in una prima fase innanzi al magistrato giusdicente (fase in

iure), e una seconda fase innanzi a un giudice privato (fase apud iudicem o in iudicio).

- Nella prima fase (in iure) era richiesta la presenza di entrambe le parti in causa, non essendo consentito un

processo contumaciale. Per questo scopo la parte che prendeva l'iniziativa processuale (attore, ACTOR) avrebbe

dovuto chiamare in giudizio l'altra parte (convenuto, VOCATUS) con un atto detto in ius vocatio (chiamata in

giudizio). Contro il convenuto chiamato in giudizio che non avesse seguito l'attore in iure, era considerato "

INDEFENSUS" e si davano gravi sanzioni.

Provocata così la presenza in giudizio del convenuto, le parti illustravano informalmente le proprie ragioni al

magistrato giusdicente, e sotto la sua direzione comunicavano i termini della controversia nella formula, in base alla

quale poi il giudice privato avrebbe dovuto giudicare nella seconda fase del processo, detta apud iudicem.

Per l’appunto,il processo per formulas prende il nome da un documento scritto, detto appunto formula (o iudicium),

concordato dalle parti (attore e convenuto) innanzi al magistrato giusdicente, e indirizzato a un giudice privato, unico

o collegiale, che avrebbe dovuto emettere la sentenza. Il giudice, infatti, avrebbe dovuto condannare o assolvere il

convenuto basandosi sui termini della controversia trasfusi nella formula così come essa veniva concessa dal

magistrato giusdicente alla fine della prima fase del processo (fase in iure). La formula, quindi, era il programma di

giudizio, rivolto al giudice, sul quale si fondava il processo; e anzi il processo si considerava istituito soltanto quando,

con la litis contestatio, il magistrato munito di iurisdictio concedeva la formula (iudicium dabat) così come essa

risultava concepita per accordo delle parti in causa, le quali, a loro volta, avrebbero p

Dettagli
A.A. 2014-2015
10 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher nicoladigrazia di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del diritto romano privato e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi della Campania "Luigi Vanvitelli" o del prof Lanza Carlo.