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Di rango equestre, il prefetto era scelto direttamente dall'imperatore, a cui solo rendeva conto. La ricchezza e
l'estensione dell'Egitto ne faceva una delle province più importanti e al tempo stesso pericolose per la stabilità
dell'impero, tanto da essere affidata a un funzionario di stretta fiducia del Principe, esterno al ceto aristocratico
senatorio (i senatori avevano financo il divieto assoluto di recarvisi) e ridotto nel rango e nell'autorevolezza.
Al secondo posto vi era il praefectus praetorio, istituito nel 2 a.C. Erano comandanti (generalmente due o tre) della
guardia del corpo dell’imperatore, i quali assunsero un’importanza politica notevolissima nell’ambito
dell’amministrazione imperiale disponendo del comando di tutte le truppe stanziate sul suolo italico.
Tra gli altri prefetti meritano una particolare menzione: il præfectus annònæ (sovrintendente
all’approvvigionamento del grano); il præfectus vìgilum (capo della polizia urbana della città di Roma); il præfectus
vehiculòrum (direttore generale dell’amministrazione postale); e i praefectus æràrii (deputati alla gestione della
cassa pubblica).
I curatores, erano di rango senatorio: in questo periodo, il curator aquarum era una delle più alte cariche dello
Stato, affidata a senatori di rango consolare, e conferiva al detentore il controllo assoluto sull’approvvigionamento
idrico della città e sulla gestione degli acquedotti.
La burocrazia in senso stretto, che si occupava dell’attività della corte imperiale, era costituita per lo più da liberti,
organizzati in vari uffici: l’ufficio a rationibus (ragioneria del princeps), che col trascorrere del tempo si trasformò in
una sorta di ministero delle finanze dell’impero; per la corrispondenza del princeps (anche in relazione alle petitiones
presentate dai privati) furono istituiti due uffici: l’ufficio ab epistulis (il segretario generale competente nei rapporti
con i vari uffici) e l’ufficio a libellis (rapporti con i privati), con distinte competenze sul piano formale.
L’ufficio a cognitionibus di occupò dell’istruttoria dei processi che si venivano a svolgere extra ordinem innanzi al
princeps.
Altro settore della burocrazia fu quello dei procuratores, che si occupavano prevalentemente dell’attività privata del
princeps; si trattava per lo più di liberti vincolati dal princeps da rapporto di patronato.
Il principato vide la nascita e il rafforzamento di un controllo burocratico sulle province, e soprattutto sul sistema
degli appalti. Circa l’amministrazione delle province, le principali di esse (ad eccezione dell’Egitto) venivano gestite,
in qualità di governatori, da appartenenti all’ordine senatorio, mentre le rimanenti erano destinate a governatori di
rango equestre. 3
7. Il problema della successione
Con la morte di Augusto si apre il problema della successione. Molti storici affermano che non si trattò di un potere
monarchico perché non ci fu trasmissione ereditaria. Ma in realtà Augusto fece di tutto per rendere ereditaria la sua
carica. Ebbe infatti tre mogli ma non una discendenza diretta maschile. Augusto pensò ai figli che Giulia – sua figlia
con la moglie Scribonia – aveva avuto da Agrippa (uno dei tre mariti di costei): però due morirono giovani e uno fu
esiliato.
Non restava che il figliastro Tiberio (già relegato a Rodi), per cui nel 13 d.C. Augusto fu costretto ad adottarlo.
Nel 9 a.C. lo investì dell’imperium proconsulare e nel 6 d.C. della tribunicia potestas. L’anno dopo (14 d.C.) Augusto
moriva, lasciando come suo naturale erede Tiberio, che assunse in poco tempo tutti i poteri di princeps.
Ad un anno dalla morte di Augusto, il 15 d.C., egli già era sostanzialmente l’imperatore.
8. Il principato dopo Augusto. L’età degli Antonini
Nella sua prima fase il principato, dopo la morte di Augusto, e fino all’età dei Flavi, non vide trasformazioni radicali
sotto il profilo della costituzione formale. La dialettica princeps-senatus conobbe vicende alterne (ad esempio, con
netta prevalenza del princeps sotto Domiziano). E’ inutile, ai nostri fini, riferire le politiche di una lunga serie di
imperatori, con le loro sfumature formali e di sostanza.
Per quanto concerne l’economia non era gran mutata rispetto a quella della fine della repubblica. In quest’epoca
essa venne afflitta da crisi cicliche, alternate a momenti di maggiore floridezza. L’industria rimaneva di modeste
proporzioni ed estensione, mentre un buon andamento avevano l’artigianato e i commerci.
In questo contesto, l’età degli Antonini (dalla metà del II secolo alla fine dello stesso) si caratterizza come la fase del
culmine, dell’apogeo dell’impero romano, sotto vari aspetti: l’impero raggiunge la sua massima estensione,
l’economia è florida, la politica illuminata di sovrani come Antonino Pio e Marco Aurelio favorisce lo sviluppo della
cultura e dell’arte.
La cosiddetta età Antonina rappresentò, nell'ambito dell'intera storia romana, uno dei momenti migliori, forse
l'ultimo, dei due “secoli d'oro” dell'Impero romano.
9. L’età dei Severi
L’età successiva ha inizio col colpo di Stato militare di Settimio Severo nel 211 d.C., che associa al potere Caracalla
(come farà questo l’anno dopo col fratello Geta).
Il governo dei Severi si appoggia più sulle province che non su Roma e l’Italia, e si comincia così a vedere
l’imbarbarimento della cultura latina.
Nel 212 d.C. Antonino Caracalla emana la famosa constitutio Antoniana, che sancisce la concessione della
cittadinanza ai provinciali, come momento finale di un fenomeno di equiparazione in atto da tempo.
La concessione della cittadinanza, però, se comportava degli indubbi vantaggi, poneva altri problemi, come, ad
esempio, il rapporto tra il diritto romano, che formalmente era uniforme per tutti, in quanto cives Romani, ed i diritti
e le consuetudini locali, spesso assai lontani da quelli della madre patria. Il conflitto appare particolarmente acuto in
materia di matrimoniale, in quanto i cittadini delle province orientali non potevano essere di colpo sradicati dalle
loro consuetudini endogamiche, poligamiche o addirittura tuttora ancorate a forme matrimoniali collettive, per
convertirsi alla rigida esogamia e monogamia del matrimonio romano.
Fatta questa digressione, l’età sei Severi vede accentuarsi la burocratizzazione dell’impero sotto i vari profili:
economico, amministrativo, culturale. Gli organi repubblicani sono ormai solo cariche onorifiche, mentre si accentua
il conflitto del princeps con l’aristocrazia senatoria.
Infatti, l'imperatore, a differenza di quanto era accaduto durante il Principato, utilizzò l'appellativo di dominus, che
rimandava alla parola Deus, dio, divinità. Tale forma di governo si presentava in forma dispotica, tirannica,
antidemocratica, nella quale l'imperatore, non più contrastato dai residui delle antiche istituzioni della Repubblica
romana, poteva disporre da padrone dell'Impero, cioè nella qualità di dominus, da cui la definizione di dominatus.
La monetazione dell'epoca ritraeva molti sovrani che portavano attorno al capo una corona di raggi del dio solare, a
testimonianza di questa nuova forma di governo. 4
In questo quadro storico anche il processo civile venne burocratizzandosi, come espressione di uno Stato autocratico
e oppressivo, mentre si espandeva la competenza del princeps nel campo della giurisdizione penale.
I comizi, le assemblee popolari, già svuotate di contenuto, finirono per sparire come organi costituzionali.
In radice si mostrava quella che sarebbe stata la forma di governo dell’età successiva, il dominato, secondo il
principio “quod principi placuit, legis habet vigorem” (Ciò che è gradito al principe, ha valore di legge).
10. La cognitio extra ordinem
In questo contesto per quanto riguarda il sistema processuale si fa riferimento alla cognitio extra ordinem.
Le sue caratteristiche fondamentali erano l'abbandono del residuo formalismo proprio della procedura formulare, e
l'incremento dell'iniziativa statale nel campo del processo: ormai il processo si svolgeva dall'inizio alla fine dinanzi ad
organi statali, dietro prevalente impulso degli stessi, ai quali era riservata anche l'emanazione della sentenza (i
funzionari statali erano tenuti ad applicare puntualmente le leggi e le ordinanze vigenti).
Contro la sentenza del funzionario era lecito interporre appello al funzionario di grado superiore o allo stesso
imperatore; in caso contrario, la sentenza veniva eseguita da un corpo di agenti con mansioni poliziesche
(apparitores). 5
CAPITOLO 11° - LE FONTI DEL DIRITTO NELL’ETA’ DEL PRINCIPATO
1. Introduzione
Le fonti del diritto nell’età del principato sono sostanzialmente due: la giurisprudenza classica, rappresentante il
fiore all’occhiello dell’edificio del diritto romano, e le costituzioni imperiali, ossia quella che nell’età successiva fu la
dicotomia iura-leges.
Come sappiamo, il diritto di dare responsa, ossia risposte a quesiti giuridici posti in prevalenza dai privati, era la
massima espressione della libera giurisprudenza repubblica.
Tuttavia, in questo contesto storico sono già percepibili alcuni segnali dei cambiamenti che il mutato clima politico-
costituzionale inevitabilmente è destinato a determinare e, segnatamente, primario settore d’incidenza è proprio
quello dell’attività dei giuristi, la cui libertà non può che progressivamente subire un processo di limitazione.
Una prima avvisaglia in tale senso si ha con Augusto (e con i suoi successori), in quanto il primo imperatore dell’età
del principato, al posto del diritto di dare pubblicamente responsa (si ricordi il publiche profiteri di Tiberio
Coruncanio, Vd Capitolo 6) che restava formalmente in vigore, introdusse il ius respondendi ex auctoritate principis,
consistente nella facoltà per il giurista che l’avesse ricevuto di fregiare i propri responsi dell’auctoritas imperiale.
Per l’appunto, il giurista munito di questo privilegio vedeva così equiparati i suoi responsa ai rescritti imperiali (ex
auctoritate principis), e questi erano vincolanti nei giudizi.
È evidente che tale ius, potere assai incisivo, veniva concesso solo ai giuristi che godevano della stima intellettuale
del princeps, ma anche della sua fiducia sul piano politico. Ciò non toglie che altri giuristi potessero ancora esercitare
il ius respondendi, ossia l’attività di consulenza, ma propria et privata.
In pratica, l’introduzione del ius respondendi presuppone il potere del princeps di intervenire in prima perso