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IL DOPOGUERRA IN ITALIA
Ci sono varie interpretazioni su che cosa sia stato il fascismo:
Benedetto Croce, grande filosofo e intellettuale italiano
• degli Anni Trenta, membro della Costituente nel Partito
Liberale, in sede di Costituente tenne alcuni noti discorsi fra
i quali uno in cui disse. “E cosa affatto estranea alla sua
tradizione è stata la parentesi fascistica, che ebbe origine dalla guerra
del 1914, non da lei voluta, ma da competizioni di altre potenze, la
quale, tuttoché essa ne uscisse vittoriosa, nel collasso che seguì
dappertutto, la sconvolse a segno da aprire la strada in lei alla
imitazione dei nazionalismi e totalitarismi altrui.”
A Croce rispose, sempre in sede di Costituente, il capo
• Ferruccio Parri,
della resistenza italiana, sostenendo che
il fascismo non sia stata una parentesi della storia d’Italia,
ma che sia dentro la storia d’Italia, se ne vanno comprese
le sue radici di lungo periodo nella storia d’Italia, per
capirne il suo esito e il suo ruolo nella storia italiana. È da
un’analisi della storia italiana che si può partire per capire
cosa sia stato il fascismo e costruire l’Italia nuova del
dopoguerra.
Secondo Parri e altri storici, il fascismo andava compreso
come una sorta di esito di lungo periodo delle contraddizioni dello Stato
liberale italiano. È dal fatto che lo Stato liberale non è stato abbastanza forte da
reggere l’urto delle tensioni del primo dopoguerra che è nato il fascismo.
Questa tesi riprende in parte l’analisi fatta all’epoca, negli anni 20 e 30 da
Gobetti e Gramsci,
alcuni grandi intellettuali italiani come che avevano visto
nell’ascesa di Mussolini l’esito delle contraddizioni dell’Italia liberale,
avviando una sorta di processo al Risorgimento. È nella mancata
democratizzazione dello Stato, della cesura tra
Nord e Sud, che si devono cercare le
contraddizioni, le fragilità di questo Stato. C’è un
senso di un’incompiutezza della natura dello Stato
liberale italiano, qualcosa di incompiuto. Tutta
una stagione storiografica ha cercato e ha studiato
l’Italia liberale come una precondizione del fascismo (per la Germania è stato
così a lungo:tutta la storiografia è stata condizionata da questo approccio
intellettuale, che ha guardato alla Germania guglielmina come precondizione
dell’ascesa del nazismo. Lo storico è condizionato dalle vicende successive, ma
si è poi cercato di riprendere in questi anni uno studio meno condizionato dagli
esiti).;
Un’altra interpretazione diffusa negli anni 60/70 si deve a
• Barrington Moore,
uno storico inglese, che studiò le
grandi dittature del Novecento come un esito delle difficoltà
di modernizzazione di alcune società. Il fascismo e il
nazismo sono il prezzo pagato a una rapida
modernizzazione , a un cambiamento politico di massa, da
società relativamente arretrate. Il fascismo è visto come una
sorta di pedaggio da pagare alla modernizzazione, il
passaggio da una società premoderna a una moderna società
industriale. La difficoltà di modernizzazione politica di alcuni Paesi
decolonizzati negli anni 50 e 60 determinò l’ascesa di queste interpretazioni.
Il fascismo sarebbe un elemento, un aspetto della modernizzazione, ovvero:
bisogna guardare al fascismo e poi al nazismo come a moderni autoritarismi di
massa, basati non solo su modelli coercitivi, portati avanti con mezzi autoritari,
ma anche su un diffuso consenso, più o meno di massa, a questo tipo di regimi.
Per governare una società di massa, occorre un consenso, di cui il fascismo
effettivamente godette. Renzo De Felice,
Tutta una storiografia, inaugurata in Italia da ha studiato il
• fascismo come regime di consenso di massa. Il consenso al fascismo viene da
un sostanziale consenso popolare a questa forma di regime. Secondo De Felice,
probabilmente, se non ci fosse stata la Seconda guerra mondiale, forse il
fascismo non sarebbe finito, sarebbe potuto divenire
un lungo autoritarismo di massa come quello
franchista, fino al 1975. Come in Spagna, in Italia ci
fu un grosso ruolo della Chiesa e della Corona.
De Felice dunque sostiene che si è all’interno di
consenso, non solo di coercizione. La Spagna nel
1939 rimane neutrale, non entra nella Seconda guerra
mondiale e il franchismo sopravvive. Ci fu un uso
sapiente dei nuovi mezzi di comunicazione di massa,
come il cinema e la radio, il partito di massa. Sempre secondo De Felice, per il
caso italiano, più che di fascismo si dovrebbe parlare di “mussolinismo”, il
grande consenso fu più al duce che al regime in sé. Questo pone il problema
dei grandi capi carismatici della società di massa dell’Ottocento. L’amore degli
italiani per il duce fu un aspetto da non sottovalutare, il consenso fu piuttosto
all’uomo che al regime.
Un’altra serie di interpretazioni che si agganciano a
• quella del consenso di massa fu quello di una
Hannah Arendt,
distinzione, spiegata da che studiò
più il nazismo che il fascismo, che fa una distinzione
tra veri e propri totalitarismi (tra stalinismo e
nazismo) e totalitarismi imperfetti (come la Spagna
franchista e l’Italia nazista). Fascismo e franchismo
furono dei totalitarismi imperfetti, furono negoziati
con i grandi poteri dello Stato, la Chiesa, la Corona,
l’esercito e la burocrazia. C’erano grandi poteri dello Stato con cui Mussolini e
Franco dovettero negoziare la propria politica. Elementi come l’esercito e parte
della burocrazia non furono completamente fascistizzati.
La famiglia reale è un altro potere che rimane nella società, non viene del tutto
fascistizzato, anzi è un negoziato con Mussolini. La Chiesa è un altro grande
potere che resta nella società italiana e in quella spagnola.
La grande industria sostenne, in parte, il fascismo.
Questi grandi poteri sostennero il fascismo, ma mantennero una loro identità,
una forza politica. Fu così impedita la nascita di un totalitarismo, uno Stato
totale. La storiografia più recente ha cercato, da un lato, di ridimensionare gli
aspetti di totalitarismo perfetto del nazismo e dello stalinismo (perché
comunque si mantengono delle forze politiche), dall’altro, la storiografia
Emilio Gentile,
italiana più recente, come quella di ha molto discusso e
criticato la tesi del totalitarismo imperfetto e ha sostenuto che, nonostante il
permanere di vari poteri ai vertici dello Stato, si può
applicare al fascismo tutti i connotati del totalitarismo.
Ciò che accomuna i regimi è una concezione della politica
come lotta violenta, è lo strumento della violenza come
forma interna di lotta politica, di una ideologia della
guerra come strumento di risoluzione delle controversie
interne, una concezione della violenza interna, della non
legittimità dell’avversario politico interno, che accomuna
questi regimi. Inoltre, c’è una dimensione ideologica e
razziale del regime, portata a massimo compimento dal nazismo, ma condivisa
anche dal fascismo italiano. Questi sono gli aspetti guardati di più da Gentile:
la natura violenta di questi regimi e la loro rottura con la tradizione
illuministica, parlamentare.
Per capire ciò che succede in Italia, bisogna distinguere la crisi dello Stato liberale
dall’avvento del fascismo.
Nell’immediato dopoguerra, nell’involucro dello Stato liberale, ci fu una grossa
difficoltà della società italiana e dello Stato a evolvere verso una democrazia di massa
(quando le forme della politica, la piazza, i partiti divengono di massa e c’è
un’incapacità del vecchio Stato liberale di evolvere, di autoriformarsi verso una
democrazia di massa, cosa che accadrà solo dopo la Seconda guerra mondiale), il
cuore dell’equilibrio politico ottocentesco, il Parlamento morì di morte naturale, era
incapace di rivitalizzarsi (la vicenda dell’Aventino fu simbolica dell’incapacità di
autoriformarsi, di ricostruire nuove leadership politiche).
La leadership liberale si dimostrò incapace di fare presa sulle masse popolari in
piazza e fu incapace di accogliere, oltre alla classe operaia, i nuovi ceti medi, gli
intellettuali, gli studenti che aderirono poi al fascismo, che fu visto come forma di una
nuova leadership di una società in rapida modernizzazione.
Un altro problema era legato al anche vero che la classe politica italiana era divisa al
proprio interno (anche nell’ala cattolica e socialista) e quindi non riuscì ad opporsi al
fascismo.
All’inizio, il fascismo venne sottovalutato e si credette di poterlo tenere sotto
controllo assorbendolo dentro le istituzioni dello Stato, come in Parlamento. Ci fu un
vuoto di politica nel quale si inserì il fascismo. Si affermò come un movimento
violento, che utilizzò la violenza come lotta politica ma che arrivò al potere come
restauratore di un ordine pubblico rispetto a una situazione potenzialmente
rivoluzionaria e dunque disordinata. (motivo per cui venne appoggiato dalle altre
potenze europee)
Nel 1919 i rappresentanti italiani si trovano a Parigi a negoziare i termini della pace e
le sistemazioni territoriali: nonostante l’Italia fosse una delle potenze vincitrici, era
stata umiliata ai tavoli della conferenza di pace e questo diffuse anche un notevole
VITTORIA MUTILATA
malcontento nella popolazione e conseguente nascita di
movimenti nazionalistici.
Nel contempo, il biennio rosso, la protesta della classe operaia, alimentò un certo
revanscismo che, unito al mito della vittoria mutilata, fu uno dei primi elementi
utilizzati dal movimento fascista di Mussolini per ottenere un certo consenso.
Nel novembre 1919 furono tenute le prime elezioni dopo la guerra a suffragio
universale maschile dove, per la prima volta, si presentò un partito cattolico, il
Partito Popolare Italiano, Don Luigi Sturzo.
fondato da A lungo non si era fermato
un partito cattolico a causa del non expedit anche se agl’inizi del secolo, con Giolitti,
c’erano state numerose aperture politiche (il patto Gentiloni, del 1913, fu il primo
esempio di grande apertura al cattolicesimo).
I due partiti di massa, il PPI (partito popolare italiano)e il PSI
(partito socialista italiano) ottennero la maggioranza dei seggi (il primo partito che
emerge fu il PSI, seguito da quello popolare).
Con questi due nuovi protagonisti si formò una divisione del quadro politico che rese
il Parlamento molto fragile.
Il PSI stesso era attraversato da divisioni anche al suo interno:
Come con il partito soci