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Il 5 dicembre 1823 licenzia le canzoni a Brighenti per la stampa. Il fatto che Leopardi
volesse dare risalto all'operazione linguistica delle annotazioni lo dimostra la
pubblicazione nel 1825 delle annotazioni accompagnata da una presentazione dell' autore
ed alla riedizione della canzone 10. Per capire la formazione del testo è necessario
guardare più da vicino il manoscritto e gli autografi che ci testimoniano il testo delle
Annotazioni si sia formato per successive integrazioni. Anche la consistenza del
manoscritto mostra diverse fasi di composizione:
• carte 1-34 annotazioni alle canzoni 1-7
• carte 35-48 integrazioni alle canzoni 1-7, carte 48-62 annotazioni canzoni 8-9
• carte 63-79 annotazioni alla canzone 10 e altre integrazioni
Il testo delle annotazioni si presenta quindi con un testo composito cresciuto nel tempo.
Alcuni elementi fanno pensare che esso possa essere copia della redazione precedente, di
cui sono sopravvissuti alcuni frammenti. Si sono conservate due schede che recano una
prima redazione del testo utilizzato da Leopardi sul verso come supporto per ulteriori
note. La prima contiene la prima redazione della pagina 57 e viene utilizzata sul verso per
annotare esempi per il vincitore nel pallone, la seconda reca la continuazione della prima
nota e annotazioni all'espressione "da un secolo e più siamo fatti servi".
Le correzioni della prima redazione passano sistematicamente nella seconda, che reca
ulteriori esempi individuali. Le due relazioni non sono perfettamente speculari e la
seconda è un ampiamento delle precedenti.
Uno stile eloquente: l'apologia di Tasso
Il rapporto di Leopardi con Tasso si istituisce subito su un livello di proiezione biografica,
ma anche su quello del teorico della propria poesia, dotata di una prosa sommamente
eloquente. Il primo contatto tra Tasso e Leopardi era avvenuto in quelle noiose polemiche
antitassiane, che Leopardi aveva letto perché erano state redatte dai cruscanti. La
proposta di Monti mostra che nell'ottocento la polemica antitassiana era ancora molto
viva.
Un'analisi più ravvicinata delle citazioni tassiane presenti nel testo ci permette di chiarire
la strategia linguistica intentata da Leopardi. Nelle annotazioni Tasso è citato come una
autorità linguistica sei volte con la Gerusalemme Liberata e una con l'Aminta. In
particolar modo Leopardi riprende da Tasso l'uso dell' interrogativa che è usata in vece di
perché, che non trova esempio nella Crusca. Nella famosa annotazione a "ferrata
necessità" di Bruto minore, in cui Leopardi vuole dimostrare l'uso abitativo del participio
passato, ferrato per ferreo, vengono addotti esempi proprio per analogia, e si porta un
esempio del Tasso. Tasso in un'ottava usa come sinonimi d'oro e dorato, dimostrando
l'equivalenza aggettivo=participio passato. Un'altra citazione della Gerusalemme Liberata
riguarda l'uso di ascendere transitivo. Nella canzone Alla primavera per spiegare l'uso del
vocabolo dissueto (estraneo alla Crusca), riporta esempi con altre voci affini presenti
nella Crusca come ad esempio mansueto. Abbiamo notizie dell'elenco di lettura terzo
dove, nell'ottobre del 1823 Leopardi legge la Liberata, lettura provocata o base delle
riflessioni dello zibaldone dell'estate autunno del 1823. Uno snodo importante che radica
in Leopardi la concezione della superiorità dell'uomo Tasso sul poeta e lo spinge verso la
costruzione del pasto personaggio delle Operette morali.
In una delle prime annotazioni in riferimento al termine vorago, Leopardi nelle note a
margine del foglio annota una scritta che decifrata ci riporta al discorso a Scipione
Gonzaga. Nel discorso a Scipione Gonzaga troviamo nuovamente l'uso di che al posto di
perché, troviamo l'attestazione della parola "nefando errore", invece per l'ultimo canto di
Saffo il termine giovare non ha il significato che gli dà la Crusca, ma quello di dilettare
ripreso dal Tasso. La lettura del discorso Scipione Gonzaga può essere collocata prima
del giugno 1822 perché nello Zibaldone compaiono citazioni dal Discorso attorno a
questa data. Questa lettura potrebbe essere stata fondamentale per la composizione della
Crestomanzia e delle Operette morali.
Uno stile familiare: Caro e i libri di Lettere
Il '500 occupa un posto di rilievo nella riflessione linguistica leopardiana, e gli iniziali
trecentrismo e purismo sono corretti da Giordani, a partire da settembre nel 1817, in
cinquecentismo e filogrecismo. È infatti nella teoria della grazia sviluppata nel 1820,
nella teoria del pellegrino del '21 e nel trattato di barbarismi che possiamo identificare le
stazioni principali di questo riflessioni sulla lingua letteraria. Non tardi prende a modello
le Lettere familiari di Annibal Caro, che dalla princeps veneziana del 1572, conoscono
numerosissime ristampe come modello epistolare, ma anche linguistico e morale. Era un
corpus linguisticamente e variegato in cui le componenti eterogenee venivano fatte
coesistere con un tono mezzano. Uno stile vario che era in sintonia con il concetto di
grazia della lingua di Leopardi e uno stile familiare che è quasi tutto uno con il parlare,
come aveva scritto Caro nel 1552 a Campi. Il primo semestre del 1822 è il periodo di
maggiore utilizzazione dell'apologia ed è quello in cui cade la maggiore stesura delle
annotazioni. La varia lectio permette di ricostruire questa lettura e di collocarla nel marzo
e maggio 1822, in cui prende corpo la seconda forma delle canzoni. Vale la pena
ricordare che nonostante nella biblioteca di Monaldo di Caro figurassero numerosi
volumi, Leopardi legge le Familiari nell'edizione Comino e dalle "Lettere di diversi
eccellentissimi uomini" pubblicate da Giolito. La lettura leopardiana si concentra sul
tema secondo delle Familiari, che vengono più volte citate a riprova di un'attenzione non
solo linguistica. Famosa è la lettera a Lucia Bertana, dove si ricostruisce la sua polemica
con il Castelvetro, le osservazioni linguistiche tratte da questa lettera occupano delle
Annotazioni già a partire dalla carta 22. Un'altra lettera importante è la 77 scritta a
Varchi dove difende l'uso di voi e loro, che Varchi aveva corretto in voi ed eglino. Delle
due lettere a Corrado torna sulla dimensione apologetica, Caro infatti difendeva l'uso di
persi per perduti adoperato da Antonio Gallo e intenta una difesa delle possibilità del
poeta di allargare i confini della lingua e con questo dà una legittima cittadinanza al
pellegrino di Leopardi. Il curatore delle lettere, Lepido Caro, nota che l'etimologia per
dispersi non è da persi, ma dal participio passato sparso più le particelle di, a, con, che in
composizione mutano la a in e.
Vita di Lorenzo Sarno
Dal 1817 al 1826 Leopardi progetta una serie di testi autobiografici, il primo esperimento
è il diario del primo amore che registra l'innamoramento per la cugina Geltrude Cassi tra
il 1817 e il 1818. Un altro frammento autobiografico è sicuramente la vita di Lorenzo
Sarno che appare anepigrafo, ma il problema dell'anepigrafia può essere risolto facendo
riferimento ad un supplemento della vita abbozzata di Lorenzo Sarno. Peruzzi nota che il
testo non è composto in unica sessione di lavoro ma in più riprese con frequenti aggiunte
e posteriori. In un'ultima campagna correttoria Leopardi corregge il Lorenzo in Silvio. La
vita abbozzata di Lorenzo Sarno avuto tre momenti di elaborazione, uno nel 1817 in un
momento di notazione idillica -penna b, un secondo in cui vengono aggiunte
considerazioni nel temperamento del protagonista -penna c, e una terza fase di
elaborazione in cui il cognome del protagonista è associato a varie entità come città con
tentativi onomastici -penna D.
Il nome è Lorenzo, ha destato varie ipotesi negli studiosi che lo hanno riconosciuto a
volte nel Laurence Stern, della vita di Tristan Shandy, altri con Lorenzo Alderani,
interlocutore di Jacopo Ortis. In realtà il nome si riferisce a Lorenzino de Medici, del
quale Leopardi aveva letto l'apologia su consiglio di Giordani in una lettera del 1819.
L'apologia tratta il breve discorso con cui Lorenzino di Medici, accusato di aver ucciso il
giovane Duca di Firenze Alessandro de' Medici, presentava la propria versione dei fatti e
la propria giustificazione ed era stampata a Lucca nel 1818 in appendice alla vita del
Giacomini, su petizione di Giordani. Giacomo legge immediatamente la prosa di
Lorenzino e concorda con Giordani sul fatto che sia molto eloquente. La lettura di
Lorenzino è doppiamente fruttuosa se consideriamo che Leopardi ne ricava sia un
modello di lingua al pari del Tasso, una lingua che mantenga una costruzione tutta
italiana possedendo l'eloquenza greca e latina e che nonostante sia tutta costruita, non
rivela nè artificio nè affettazione. La fuga di Lorenzino diventa un modello non più solo
letterario, ma anche l'unica via di uscita una situazione divenuta intollerabile quando la
censura paterna diventa più pesante. Possiamo collegare il tentativo di fuga da parte di
Leopardi come una diretta conseguenza della lettura dell'apologia di Lorenzino, che
mettendosi in contatto con il conte Broglio D'Agliano vuole procurarsi un passaporto per
Milano. Viene rotto per la prima volta il tabù dello specchio: fornisce al conte
un'immagine di sè, ma non accenna alla sua deformità fisica. E, il passaporto non viene
firmato da Broglio, ma da Filippo Solari che pensa di augurare allo zio di Leopardi Carlo
Antici, un buon viaggio per il nipote. Il passaggio della notizia è breve; Monaldo scoprì il
piano, Giacomo scrive una lettera drammatica il 13 agosto indirizzata a Broglio, ma
cosciente che l'avrebbe letta anche il padre. Giacomo intento alla propria apologia parla
di tirannicidio fallito e si dichiara nè pentito nè cangiato, ma è piuttosto ingannato. Il
destinatario non era il conte, ma il padre "sappia però che io non mi fido di lui più di
quello che gli si fidi di me". La partita per Leopardi non era persa, ma solo rimandata. Il
cognome Sarno, è ascrivibile invece al conte di Sarno uomo virtuoso che insieme ai
baroni napoletani decise di sollevare una congiura contro Ferdinando I d'Aragona nel
1485, ma a differenza di Lorenzino fallirà nell'impresa e sarà messo da Ferdinando I ad
Aragona a morte. Così intitolando Lorenzo Sarno per protagonista della propria vita
abbozzata, Leopardi aveva messo la storia sotto un modello che era riuscito a compiere il
tirannicidio e un altro modello, quello di Sarno che era stato ingannato ed era poi stato
condotto a morte.
I tre tempi degli idilli
Emilio Peruzzi e Domenico de Robertis fanno degl