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CAPITOLO 6° RELAZIONI TRA GRUPPI

La ψ sociale ha studiato le relazioni tra gruppi soprattutto nella loro caratterizzazione conflittuale. Esempio dello studio di Elias e Scotson (65) che dimostra quali processi di discriminazione si possono attivare nei rapporti intergruppi. Esaminata la realtà sociale di Winston Parva, piccola comunità suburbana di 5000 abitanti presso Leicester con una ricerca longitudinale di campo: si vedono tre diversi insediamenti: la zona 1 abitata da classi medie, la zona 2 abitata dagli estabilished, classe operaia con buona integrazione sociale e ricca rete di interazioni, la zona 3 abitata da outsiders, sempre operai, ma di nuovo insediamento, con alcune famiglie problematiche e una gang adolescenziale con condotte devianti. La ricerca mostra il processo di esclusione degli outsiders da parte degli estabilished con la costruzione e la legittimazione di stereotipi negativi veicolati da una rete di pettegolezzi e con l'attuazione di.

processi di esclusione e di discriminazione sistematica. Gli outsiders sono percepiti come minoranza anomica, sregolata, inaffidabile, che permane tale anche dopo che la devianza in zona 3 assume valori sovrapponibili a quella esistente in zona 2. Winston Parva è una miniatura del sistema universale umano in cui i fenomeni di discriminazione in – out group si strutturano a prescindere dall'entità delle differenze effettive tra i gruppi coinvolti. La ricerca sperimentale ha mostrato che è molto facile creare le condizioni per cui si generi animosità tra gruppi. Ricerca prototipica è il lavoro di Sherif nei campi estivi adolescenziali sulla genesi di ostilità tra gruppi di ragazzi. Soggetti ragazzi americani inconsapevoli di essere osservati al campo estivo di due settimane: I° fase, i soggetti arrivano al campo, prendono contatto e socializzano come gruppo unico; fase II° dopo una settimana sono divisi in Rossi e Blu (badando di

separare tutte le amicizie più strette) impegnati in attività completamente diversificate, compaiono le gerarchie nei gruppi; fase III° i due gruppi sono messi in competizione su attività sportive e di mantenimento del campo con premiazione dei vincitori, cosa che provoca deterioramento delle relazioni intergruppo con formazione di stereotipi negativi e ostilità esplicite a fronte di aumento della coesione dell'ingroup. Nell'ultimo esperimento Sherif introduce una IV° fase di ricompattamento dei gruppi per uno scopo sovraordinato per non congedare i ragazzi con ostilità in corso. Sherif giunge alla conclusione che se due gruppi in rapporto sono posti in situazioni competitive (giochi a somma zero) giungeranno rapidamente a un conflitto intergruppi (conflitto raramente interindividuale). La competizione fa sì che ogni gruppo delimiti i confini del proprio gruppo in modo rigido nei confronti dell'altro, in una situazione di.

La chiusura come questa aumenta il bisogno di sentire il proprio gruppo come migliore dell'altro e l'unico modo per rendere nuovamente permeabili i confini di gruppo è l'essere chiamati a collaborare per la soluzione di un problema sovraordinato.

Rabbie e Horwitz (69) si chiesero quali fossero le condizioni minime sufficienti per generare una discriminazione intergruppi e partirono dalla concezione lewiniana di destino comune per rispondere a questi interrogativi: basta classificare le persone in due gruppi per creare valutazioni discriminatorie? Bisogna aggiungere l'esperienza di veder premiato un gruppo e l'altro no in base a criteri casuali? Bisogna aggiungere ancora un intervento autoritativo di un agente esterno?

Disegno sperimentale con soggetti adolescenti in blocchi di 8 estranei e non interagenti tra loro divisi casualmente in due gruppi (Blu e Verdi); compito è la valutazione individuale sui membri del loro e dell'altro gruppo mediante

Un test e un questionario; la ricompensa è una radio concessa ai membri di un solo gruppo in base al lancio di una moneta o alla decisione arbitraria dello sperimentatore. Alla fine sia i premiati che i non premiati riferiranno descrizioni personali e di atmosfera più favorevoli per il proprio gruppo (cosa che non accade in un gruppo di controllo in cui non sono promesse ricompense). L'esperienza di condivisione di un destino comune positivo o negativo è condizione necessaria e sufficiente per osservare favoritismo verso il proprio gruppo di appartenenza. Una spiegazione centrata sulle relazioni intragruppo vede l'esperienza di condividere la stessa sorte (di vincitore o perdente in modo uguale) come generatrice della preferenza per il proprio gruppo. Tajfel affrontò lo stesso interrogativo in tempi molto prossimi in seguito a lunghi studi sui processi di categorizzazione sociale e sulla loro funzione cognitiva. Per Tajfel una rete di categorizzazioni intergruppi.

è onnipresente nell’ambiente sociale e fornisce linee guida per l’azione:per dar conto delle discriminazioni intergruppi non è necessario chiamare in causa né conflitti oggettivi di interessi né l’interdipendenza deldestino, basta una categorizzazione in gruppi degli attori del mondo sociale. Cercò quindi di creare esperimenti in cui l’assegnazione fossetotalmente casuale, l’interazione del tutto evitata, l’anonimato massimo, gli interessi strumentali personali assenti, le risposte riguardasseroargomenti realmente interessanti per i soggetti (validità ecologica). I soggetti erano studenti di scuola professionale cui fu proposto un compitodi percezione visiva (numero di puntini proiettati su uno schermo) o di valutazione estetica (preferenza per Klee o Kandinskij). Si crearono cosìi gruppi di sovra o sotto estimatori per il primo compito e i gruppi Klee o Kandinskij per il secondo, ognuno conoscevasocietà è caratterizzata da una forte tendenza alla discriminazione e al favoritismo verso il proprio gruppo di appartenenza. Questo fenomeno, noto come "effetto ingroup", si verifica anche in situazioni in cui non ci sono differenze oggettive tra i gruppi e si basa principalmente su una percezione di appartenenza e identità sociale. Tajfel sostiene che questa tendenza alla discriminazione può essere attribuita alla necessità di mantenere un senso di identità e appartenenza al proprio gruppo. Gli individui tendono a cercare di massimizzare i benefici per il proprio gruppo, anche a discapito degli altri gruppi. Tuttavia, Tajfel sottolinea che questa tendenza può essere mitigata attraverso l'introduzione di norme di imparzialità e uguaglianza. Quando agli individui viene richiesto di distribuire le risorse in modo equo tra i gruppi, tendono a ridurre il favoritismo ingroup e ad adottare una prospettiva più imparziale. In conclusione, Tajfel evidenzia l'importanza di comprendere e affrontare il fenomeno dell'effetto ingroup per promuovere una maggiore equità e giustizia sociale.

Categorizzazione sociale è sufficiente a produrre discriminazioni, il fatto stesso di mettere a confronto due gruppi attiva nei membri di ognuno il bisogno di affermare la specificità positiva del proprio gruppo a scapito dell'altro. Nasce col contributo di Turner la teoria dell'identità sociale (SIT) per cui il confronto sociale attiva nei membri il bisogno di specificità positiva dell'ingroup verso l'outgroup; da tale specificità deriva un'identità sociale positiva intesa come insieme degli aspetti del concetto del Sé derivanti dall'appartenenza di gruppo. Verso la fine degli anni '70 vi fu uno spostamento dell'interesse teorico verso i processi intragruppo a creare la teoria della categorizzazione del Sé (SCT) elaborata da John Turner e distinta dalla SIT in quanto pone l'identità sociale come base sociocognitiva del comportamento di gruppo e meccanismo che lo rende possibile.

quindi non più solo un aspetto del Sé derivante dall'appartenenza di gruppo. Per la SIT il continuum interpersonale intergruppi è pensato come agente dai termini del Sé a quelli del gruppo, per la SCT sia l'agire individuale che quello di gruppo sono espressioni di un agire nei termini del Sé a diversi livelli di astrazione. Il processo cognitivo impiegato è quello della categorizzazione, che implica accentuazione di somiglianze intra e delle differenze inter categoriali e i livelli di astrazione impiegati sono: un livello sovraordinato del Sé come essere umano (human identity); un livello intermedio di Sé come membro di un gruppo in confronto con altri gruppi (social identity) e un livello subordinato di Sé come individuo unico rispetto agli altri elementi dell'ingroup (personal identity). La categorizzazione del Sé e degli altri a livello intermedio accentua il carattere prototipico e stereotipico.delgruppo con omogeneità intragruppo e depersonalizzazione della percezione di sé dell'individuo. Questi tenderà a percepirsi come un elemento intercambiabile del gruppo più che come persona unica definita da differenze individuali, cosa che potrà creare fenomeni di gruppo come la stereotipizzazione, l'etnocentrismo, il comportamento collettivo. Critiche alla SIT giungono da Hinkle e Brown che elaborano un modello per cui intervengono due dimensioni indipendenti che individuano le diverse tipologie dei gruppi e specificano quando i processi sociopsicologici della SIT entrano in gioco: la dimensione di individualismo – collettivismo (quanto una cultura enfatizza la competizione o la cooperazione) e la dimensione ortogonale di orientamento autonomo-relazionale (confronti con standard astratti o con altri gruppi presenti nel contesto). BROWN PRODUTTIVITÀ DI GRUPPO Spesso il gruppo non riesce a funzionare in modo efficiente come sisarebbe potuto prevedere dalla conoscenza degli attributi dei singoli membri, è improbabile che riesca a sfruttare a pieno tutte le sue potenzialità o perché non è in grado di utilizzare e coordinare le sue risorse in modo ottimale o perché esistono fattori che diminuiscono la motivazione degli individui a fornire una buona prestazione. Già Triplett a fine '800 notava (tramite resoconti delle società ciclistiche in diverse situazioni di cronometraggio) che in situazioni competitive le prestazioni individuali sono superiori. Allport diceva che la presenza altrui facilita la prestazione nei compiti cognitivi semplici, ma la ostacola in quelli difficili, cosa spiegata da Zajonc che evidenziava come la presenza di membri della propria specie faccia aumentare il livello di attivazione, che facilita la prestazione nei compiti facili e ben appresi producendo risposte dominanti abituali, ma la inibisce in compiti complessi e nuovi.generandorisposte non dominanti. Facilitazione sociale è dunque l'effetto per cui la presenza di altre persone rende molto più probabili le risposte molto accessibili e meno probabili le risposte meno accessibili. Questo per due ragioni: perché ci sentiamo giudicati (effetto di confronto) e perché costituiscono una possibile fonte di distrazione. Max Ringelman (13) svolse studi sull'efficacia comparativa di tecniche di
Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
12 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/05 Psicologia sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Sara F di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Gruppi e influenze sociali e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Palmonari Augusto.