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PIATTI TEORICI
Quando si parla di piatti teorici iniziamo ad immaginarci le colonne di distillazione, che sono tubi di
vetro con dentro dei piattini. Per la distillazione si usa un contenitore con un liquido a cui viene
collegata la colonna. Il contenitore viene messo su una piastra riscaldante e il vapore parte dal
liquido e, man mano che la temperatura aumenta, avviene la separazione lungo la colonna. Il vapore
che parte dalla nostra soluzione incontra i nostri piatti di condensa diventa liquido e rimane lì;
quando il sistema aumenta la temperatura, questo liquido torna vapore, così tramite passaggi
successivi abbiamo la separazione dei componenti della miscela.
Quanto maggiore è la lunghezza della colonna, più piatti si possono posizionare e quindi migliore
sarà la separazione perchè questo processo di condensazione e ri-evaporazione avviene più e più
volte e il processo separativo è migliore.
Dal punto di vista teorico questo principio viene usato in campo cromatografico, introducendo il
concetto dei piatti teorici: gli analiti vengono trascinati dalla fase mobile attraverso la fase
stazionaria e separata in base alla loro differente affinità per le due fasi. Quello che succede è che
l'analita, istante per istante, stabilisce un equilibrio reversibile tra la fase mobile e quella stazionare,
ciascuno di questi equilibrio viene definito PIATTO TEORICO. Quante volte questo equilibrio
viene ripetuto lungo la colonna cromatografica rappresenta il numero dei piatti teorici, stabilito
tramite una equazione: H = L/N (equazione di VAN DEEMTER).
Quindi quando la cromatografia è davvero efficace? Quando il numero di piatti teorici è tale da
consentirci, all'uscito dalla colonna, la corretta ed effettiva separazione della miscela di analiti.
Questa efficienza separativa è stabilità in base alla lunghezza della colonna (L, in mm) e al numero
dei piatti teorici (N): l'efficienza è tanto più elevata quanto minore è H e quindi maggiore è N, cioè
il numero dei piatti teorici.
I fattori che influenza una separazione sono sostanzialmente di due tipi:
1) diffusione laterale, secondo la quale i liquidi tendono a passare da una zona a maggior
concentrazione a una a minore concentrazione;
2) allargamento di banda extra colonna, ossia in ogni sistema cromatografico avremo dei tubi,
cellule di rilevatori all'interno del quale può essere un rimiscelarsi dei componenti da
separare e questo comporta un allargamento della banda.
Gli altri due fenomeni sono fenomeni di diffusione longitudinale e Eddy diffusion (secondo la
quale, se la colonna è impaccata, il moto degli analiti all'interno della colonna non trova lo stesso
percorso per ogni molecola, anche se la stessa, ma ha percorsi diversi e questo comporta diversi
tempi di ritenzione e, quindi, lo slargamento del picco).
Sistemi di ultima generazione (colonne monolitiche) lavorano sull'impacchettamento della colonna
per evitare la formazione di canali preferenziali o di diverse vie di diffusione degli analiti nella
colonna proprio per minimizzare la grandezza della banda.
CROMATOGRAFIA LIQUIDA
Quando si parla di cromatografia liquido abbiamo una vastissima gamma di differenti metodologie
separative: gel filtrazione, cromatografia di affinità e scambio ionico sono tre esempi di
cromatografie che vengono molto utilizzate oggi.
Viene selezionata una caratteristica chimico-fisica dell'analita e si separano gli analiti in base a
questa caratteristica.
Nella gel filtrazione si usano le dimensioni delle molecole. Quando parliamo di glicoproteine,
bisogna tenere conto che esistono proteine che sono in grado di strutturarsi in maniera molto
compatta e raggiungendo dimensioni molto molto contenute se paragonate al loro peso molecolare,
quindi bisogna avere un'idea di ciò che si sta facendo e quindi usiamo il termine dimensioni e non
massa. Si usa nelle fasi tardive di una purificazione, normalmente alla fine di altri processi di
separazione. La risoluzione in questo caso dipende dalla lunghezza della colonna, anche se la nuova
tecnologia ha superato il problema. La colonna viene impaccata con silice o gel, dipende dagli
analiti che si vuole separare; la diversa porosità della colonna mi consente banalmente di separare
gli analiti dalle dimensioni più grandi da quelli più piccoli. I requisiti strumentali vanno da sistemi
molto semplici (es: versare la silice nella colonna) a sistemi più sofisticati (es: FLPC).
Nello scambio ionico ci si basa sulla carica netta dell'analita e si usa nelle fasi precoci (ma non solo)
di una purificazione e questa separazione può prevedere dei requisiti strumenti semplici (le colonne
possono essere impaccate a mano) o strumenti più moderni (FLPC).
Nel caso dei glicoconiugati, una delle cromatografie di affinità più usate è quella delle LECTINE.
Le lectine sono proteine che legano la componente oligosaccaridiche legata alle proteine, quindi
selezionando opportuna lectina abbiamo la possibilità di separate glicoproteine da una miscela di
proteine. Hanno inoltre specificità per i residui monosaccaridici di una proteina, come per il
mannosio o per il galattosio, ecc. ognuna di queste si differenzia per la specificità del
monosaccaride che riconoscono. Quindi viene pescato in una miscela di analiti, con opportuni
supporti cromatografici, il glicoconiugato che contiene un determinato residuo monosaccaridico
piuttosto che un altro.
L'HPLC ci permette di fare cromatografia usando pressioni elevate, questo prevede che i tempi di
analisi siano molto ristretti. Vengono usate colonne più piccole di diametro, più facilmente
montabili, pulibili e conservabili; prevede pressioni di ingresso elevate, precisione di ingresso del
campione e ci consente di adoperare rivelatori in linea, cioè tutto ciò che finisce nella cromatografia
viene rilevato automaticamente dal rivelatore.
Questa tecnica ha un'applicazione vastissima in qualsiasi campo e in tantissime linee di ricerca,
proprio per la possibilità di usare colonne piccole con fase stazionarie il più svariate possibili.
Le analisi sono automatizzate, spesso accoppiati ci sono autocampionatori che prelevano quantità
volumi noti decisi da noi da provette e questo permette di fare analisi in successione.
In generale, lo schema di un sistema cromatografico di tipo HPLC si può schematizzate così:
abbiamo un sistema binario di pompe (A e B), test valve, colonna cromatografica e detector.
La valvola ha più buchi e mi permette, in base alla posizione, di collegare le diverse entrate tra loro
e di iniettare i diversi analiti senza dover arrestare il flusso nella colonna, perchè la valvola è dotata
di due posizioni, una di carico e una di iniezione. Quando la valvola è in posizione di carico, tutto
ciò che inietto viene raccolto nel pezzo di tubo definito loop, dopodichè il resto del sistema
funziona in modo indipendente. Quindi devo passare dalla poiszione di carico a quella di inizione,
quindi l'eluente entra nei vari buchi che sono collegati e raggiungono l'analita, spingendolo nella
colonna.
Le COLONNE usate devono poter soddisfare determinati requisiti, prima tra tutti quella di poter
sopportare pressioni elevate di pompaggio (in caso di HLPC per esempio sono rivestite d'acciaio);
di solito vengono impaccate con silicio. La fase stazionaria può essere diversa e dipende dal tipo di
cromatografia che si sta eseguendo. In una colonna usata per la separazione di proteine, si usano
fasi stazionarie quali C18, C8, ecc. in base al tipo di analiti da separare e dal costo.
Le lunghezze delle colonne sono contenute e dipendono dal sistema usato.
La fase mobile è scelta in base al tipo di fase stazionaria; deve avere delle caratteristiche principali:
1) economica
2) trasperente all'UV
3) non deve essere corrosiva né tossica
4) non deve interagire col campione o, se interagisce, deve farlo in maniera reversibile.
5) La forza è correlata alla polarità del solvente
6) la selettività che dipende dalle interazioni molecolari
I solventi devono essere filtrati con filtri di microcellulosa (onde evitare di inserire particelle nei
tubi) e degasati (onde evitare di inserire aria nei tubi).
Le cromatografia vengono effettuate a temperatura ambiente, tuttavia è possibile effettuare
cromatografia a T controllata, anche a T alta e naturalmente, quando si alza la T del sistema
cromatografico, alteriamo di molto il sistema e sono condizioni estreme usate per analizzare
campioni molto particolari (esempio: proteine di membrana a 90°, dovuta a scarsissima solubilità
della proteina).
Come possono avvenire le eluizioni? Sia in isocratica, che in gradiente.
Se io ad esempio faccio una cromatografia a fase inversa in cui uso acqua e come fase inversa
solvente non polare, allora posso aumentare man mano la quantità di solvente non polare fino ad
avere lungo questo gradiente l'eluizione lungo la colonna.
I detector devono avere caratteristiche precise, ovvero devono essere universali, ovvero dare la
stessa risposta per tutte le molecole che inietto nel sistema; deve essere sensibile, deve dare una
risposta lineare e, dove possibile, fornire risposte strutturali. Inoltre deve avere un basso disturbo,
quindi con un basso segnale di fondo e una bassa deriva (drift).
I rilevatori più usati sono per esempio interazione luce-materia, UV visibile (più comune ed
economico), funziona in due modi: a lunghezza d'onda fissa (tutto ciò che fa qualcosa a quella
lunghezza d'onda mi dà una stessa risposta. Questo mi è utile quando conosco lo spettro di un
assorbimento di una certa glicoproteina, così da poter seguire proprio quella glicoproteina) o a
lunghezza d'onda variabile (nel caso di proteine, mi permette di fare spettri in linea del materiale in
eluizione nella colonna).
Esistono poi detector a fluorescenza, a indice di rifrazione e spettrometri di massa.
CROMATOGRAFIA DI RIPARTIZIONE/ADSORBIMENTO
Spesso non e possibile definire in maniera chiara se la separazione degli analiti avvenga in base ad
un processo di adsorbimento o di ripartizione, ovvero entrambi. Si parla quindi di cromatografia di
adsorbimento/ripartizione, che viene suddivisa, in base alle polarita relative delle due fasi:
Cromatografia in fase normale : la fase stazionaria e polare (ad es. silice), la fase mobile e non
polare (ad es. n-esano o tetraidrofurano). I campioni polari vengono trattenuti nella colonna piu a
lungo di quelli non polari o poco polari.
Cromatografia in fase inversa (RP) : la fase stazionaria e non polare (idrocarburo), la fase mobile
e polare (ad es. acqua o alcol). I campioni poco o non polari vengono trattenuti nella colonna piu a
lungo di quelli polari. Utilizzando uno o l’altro metodo, l’ordine di eluizione dei composti si
inverte, an