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Indicatori demografici e di sviluppo
DEMOGRAFICI
- tassi di natalità
- tassi di mortalità
- tassi di incremento naturale
- tassi di mortalità infantile
- speranza di vita
Tuttavia questi indicatori da soli non sono sufficienti a tener conto dei cambiamenti, perché lo sviluppo è complesso. Si sono quindi studiati indici più adatti a indicare lo sviluppo di un Paese, che tengano insieme il più ampio spettro possibile di indicatori: il principale è l'Indice di Sviluppo Umano (ISU o IHD), che considera speranza di vita alla nascita, tasso di alfabetizzazione degli adulti, PIL pro-capite, aggiornato ogni anno. Altri indicatori recentemente messi in atto mirano a calcolare il benessere di una società riferendosi anche ad un indice di sviluppo di genere, cioè distinguendo in un Paese quanto il livello di reddito delle donne è paragonabile a quello degli uomini: il BES (Benessere Equo e Sostenibile) combina indicatori sociali e ambientali.
Alla
fine degli anni ’50 si individuarono una serie di “criteri di sottosviluppo”:- alimentazione insufficiente (sottoalimentazione), che fece scatenare gli aiuti soprattutto di parteamericana;
- gravi carenze nel settore dell’istruzione e della sanità (diffuso analfabetismo, malattie endemichedi massa, forte mortalità infantile);
- risorse poco sfruttate o sperperate;
- elevata percentuale di popolazione agricola con bassa produttività;
- ridotto tasso di urbanizzazione e modesta consistenza dei ceti medi;
- industrializzazione debole o assente;
- ipertrofia e parassitismo del settore terziario (“terziario ipertrofico”);
- basso reddito pro-capite;
- diffusione di disoccupazione, sottoccupazione e lavoro infantile;
- dipendenza economica dai Paesi sviluppati;
- forti disuguaglianze sociali;
- crescita demografica sostenuta (a fronte di alti tassi di natalità): raddoppio in Africa ogni 15 anni.
Le caratteristiche che hanno contribuito a definire un trend comune ancora oggi riconoscibile sono:
- forte crescita demografica (II o III stadio di transizione demografica);
- debolezze delle strutture produttive agricole, spesso settore prevalente, ma segnato dalla crisi dei sistemi tradizionali di sussistenza e dall'espansione del sistema di piantagione;
- crescita urbana e terziaria ipertrofica;
- forti squilibri sociali.
A livello locale ci sono però fattori di differenziazione:
- sviluppo industriale che negli anni '70 ha investito selettivamente il Terzo Mondo determinando l'emergere dei N.I.C. (Paesi di Nuova Industrializzazione, o New Industrialization Countries), come Singapore, Taiwan, la Corea del Sud, l'Egitto, il Brasile e in parte l'India, con politiche di sviluppo dei governi locali, strategie di delocalizzazione delle multinazionali con produzione destinata al mercato interno (sostituzione delle merci importate) ed estero sia del Terzo Mondo sia dei
- STADIO TRADIZIONALE: livello tecnologico e produttivo basso, struttura sociale gerarchizzata, rete urbana e dei trasporti a debole interconnessione, I stadio di transizione demografica;
- STADIO DI TRANSIZIONE: crescita di infrastrutture e investimenti produttivi, emergere di una élite sociale su base economica, formazione di stati nazionali, crescita dell'interconnessione della rete urbana e dei trasporti, II-III stadio di transizione demografica;
- STADIO DI TAKE-OFF: crescita di investimenti nel settore secondario (l'unico in grado di dare adito allo sviluppo), conseguenti incrementi produttivi e ruolo trainante dell'industria;
- STADIO DI MATURITÀ: crescita cumulativa che interessa tutti i settori (anche il terziario);
- STADIO DELLA SOCIETÀ DEI CONSUMI DI MASSA: crescente importanza dei beni di consumo e dei servizi, politiche di welfare, rete urbana e dei trasporti a massima interconnessione, IV stadio di transizione demografica.
Per questo modello
Il processo di modernizzazione si traduce quindi nella diffusione spaziale diforme di organizzazione territoriale a crescente complessità. Il limite del modello sta nella sua rigidità evolutiva e nel suo etnocentrismo occidentale, senza tener conto dei costi sociali e ambientali dell'esportazione del modello occidentale di sviluppo e delle differenze di partenza dei Paesi.
TEORIA DELLA DIPENDENZA: al modello di Rostow sono stati proposti modelli di sviluppo alternativi: negli anni '60 e '70 prese piede una scuola di pensiero nota come "teoria della dipendenza", che analizza lo sviluppo come un sistema di relazioni tra Stati piuttosto che come una serie di fasi, connesso al sistema di commercio internazionale, che rivela la presenza di Stati dominanti, più sviluppati, e dipendenti, in via di sviluppo, che rimangono tali. Questa teoria è stata molto criticata perché rappresenterebbe un modello di sviluppo troppo semplicistico.
delledinamiche internazionali e non terrebbe nella dovuta considerazione la capacità delle politichelocali nell’attivare meccanismi di sviluppo.
TEORIA DEL SISTEMA MONDO di Wallerstein (anni ’70): sarebbe la teoria migliore per spiegare iconcetti di dipendenza e sottosviluppo. Sarebbe il sistema capitalista mondiale causa delladipendenza e del sottosviluppo: un unico sistema-mondo, costituito da un centro (militarmenteforte, con economia e forza lavoro diversificata), una semi-periferia (produzione manifatturiera edeconomia diversificata: può essere centro in declino o periferia in crescita) e una periferia (forzalavoro poco qualificata con lavoro intensivo, politicamente debole, colonizzata, priva di economiediversificate), renderebbe spiegabili le dinamiche mondiali. Le relazioni tra le zone sono quindisempre dinamiche, anche se ci devono essere sempre le tre zone distinte.
MODELLO CENTRO-PERIFERIA: connesso alla teoria del sistema mondo, è un
nucleo teorico di interpretazione del sottosviluppo basato su teorie che si fondano su una critica della teoria neoclassica dell'equilibrio di mercato, secondo la quale la crescita economica è un processo continuo e lineare che produce spontaneamente una equilibrata allocazione delle risorse entro il sistema economico. Secondo tale teoria la crescita economica comporta invece necessariamente squilibri sociali e territoriali tra centro e periferia. Il centro è caratterizzato dalla presenza di fattori iniziali favorevoli, con un innesco precoce della crescita, economie di agglomerazione e processi cumulativi; la periferia invece dipende dal centro da cui importa manufatti e in cui esporta risorse, forza lavoro e capitali perdendo fattori fondamentali per lo sviluppo (scambio ineguale). Tale dialettica può essere contrastata da fattori di riequilibrio spontanei (effetti di diffusione della crescita dal centro alla periferia) o determinati politicamente. Su questa baseteorica Friedman ha elaborato una tipologia di regioni economiche applicabile a diverse scale spaziale: centrali, di transizione verso livelli superiori, di frontiera, di transizione verso livelli inferiori, ciascuna con caratteristiche non immutabili, che consentono il passaggio a livelli superiori e inferiori.GEOGRAFIA DELL'AGRICOLTURA
Agroecosistema: ogni attività agricola si fonda su un insieme di elementi e relazioni che sono propri dell'ecosistema, sui quali essa esercita forme di alterazione e di controllo. Ogni sistema agrario è un ecossistema troncato o esportatore, ovvero un ecosistema nel quale la naturale successione di relazioni dei cicli biogeochimici viene interrotta al fine di ottenere una produzione di materia vegetale e animale che viene esportata al di fuori del sistema stesso. Ogni agroecosistema pertanto può sussistere nel tempo e mantenersi produttivo solo attraverso un ripristino artificiale dei cicli troncati, con continui apporti di materia (concime,...
Le caratteristiche e l'efficacia produttiva di un agroecosistema non dipendono però solo dai meccanismi naturali delle relazioni ecologiche, ma anche da fattori extra-ecologici (antropici), variabili a seconda dei contesti:
- il grado di conoscenza empirica (sommaria) o scientifica dei processi ambientali;
- tecnologie disponibili e i loro processi di diffusione spaziale;
- orientamento economico della produzione (es. di sussistenza o di mercato);
- condizioni giuridiche e sociali in cui la produzione agricola si svolge: tra queste in particolare il geografo presta attenzione a:
- regime della proprietà fondiaria (tipo di proprietà, grado di concentrazione fondiaria...);
- struttura delle aziende agricole (dimensioni, frazionamento parcellare, grado di accorpamento o dispersione e localizzazione).
parcellare…);
forme di conduzione (diretta, affittanza, mezzadria, bracciantato…) e rapporti di produzione;
struttura occupazionale.
ORIGINI DELL'AGRICOLTURA: sono state proposte due diverse tesi:
1. TESI MONOCENTRICHE: sulla base di riscontri archeologici riconoscono un unico nucleo originario risalente al IX millennio (momento storico preciso) e corrispondente alla "Mezzaluna fertile". Per lungo tempo questa è stata l'unica idea di nascita dell'agricoltura, ma nel tempo vi sono state affiancate le
2. TESI POLICENTRICHE: la domesticazione di piante e animali e la messa a punto di tecniche agricole avrebbero avuto simultanea origine in più nuclei a partire dai quali si sarebbero poi diffuse nei diversi continenti. Il primo geografo ad avanzare questa teoria fu l'americano Carl Sauer, che negli anni '50 elaborò la scuola di geografia culturale di Berkeley: tale teoria, fondata su un ragionamento ipotetico-deduttivo
(utile alla ricostruzione di processi la cui estrema lontananza temporale