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Portarono anche nuove varietà esotiche di gelsi. I terreni preferiti erano quelli del pesarese, ma anche Senigallia e
poggio berni. Anche la bachicoltura in bigattiere razionali è per il territorio marchigiano un felice portato dallo spirito
della famiglia. Anche qui vennero introdotte nuove specie, importate dal lombardo - veneto con la nuova tecnica di
incubazione in camere calde e un nuovo letto di bosco costruito da fascine secche poste su graticci di abete a
formare capannucce dove i bachi tessono i bozzoli. Gli inizi sono esaltanti e produttivi, ma da metà 800 comincia un
lento e progressivo declino dell’attività. La trasformazione delle derrate agricole è l’attività proto industriale più
antica della famiglia albani. Ter sono le tipologie di impianti di molitura posseduti tra 15 e 19 secolo lungo le valli del
foglia, del metauro, dell’apsa, del candigliano, del cesano e in prossimità di canali e fossati di derivazione artificiale: i
molini da grano, i molini da olio e il molino da colori che serve all’artigianato maiolicaro di urbania. Poi c’erano gli
opifici che godevano del diritto eslusivo di privativa che assicurava l’esercizio delle attività in regime di monopolio. È
il caso dei tre opifici della fattoria di pesaro e cioè: molino dei canoninci, di san cassiano e di porta collina. La politica
protezionista fu estesa anche agli altri opifici delle altre fattorie e accanto a questi opifici vincolati si affiancavano
numerosi impianti privati che la famiglia possedeva tra marecchia e metauro. Il settore tessile, in particolare la
sericoltura, si presenta storicamente nelle marche come un’attività manifatturiera a forte connotazione rurale in
quanto l’intero ciclo produttivo è rilegato nella struttura poderale mezzadrile. Prima fra tutte la gelsicoltura. All’inizio
era rilegata all’utenza locale di famiglie gentilizie o del clero, per poi decollare nel 18 secolo ed esaurirsi
completamente con la prima guerra mondiale. Nel 700 a fossombrone il mercato della sera ha carattere
internazionale: le filandine del territorio producono quasi la metà della seta marchigiana , con un’ottima qualità
apprezzata ovunque e una lucentezza dovuta alle acque del metauro. Anche pesaro, fano e sant’angelo in vado
producevano seta, ma in modo molto minore. Anche dopo la parentesi francese la seta forsempronese è molto
richiesta e la più costosa. Solo nel 1839 verrà introdotta la prima filanda a vapore comincerà l’attività ad essere
incorporata dentro gli opifici. L’economia forsempronese non conoscerà mai un vero decollo, rimarrà sempre semi
periferica. A metà 800 pesaro e fossombrone erano in competizione per la seta e la filanda pesarese riceveva per il
90% prodotti provenienti dalle bigattiere mezzadrili e padronali della famiglia albani. La famiglia non era inserita
all’interno del ciclo produttivo della seta solo per fornitura di materie prime, ma anche in altri momenti: a
fermignagno controllavano l’intero ciclo della lana, a urbania i feltri di lana per uso domestico mentre a fossombrone
la seta. Un’altra attività tradizionale marchigiana è l’industria della ceramica, molto antica. Ma dopo la fine del
ducato di urbino nel 1631 cominciò un’irreversibile crisi produttiva, tecnica e artistica. Solo a partire dal 1790, con
l’interessamento del cardinale Giuseppe albani, tale attività ricominciò a fiorire, grazie all’impianto di 4 opifici in
castelleone, urbania e pesaro. Nel 1820 il cardinale decide di avocare a sé l’intero ciclo produttivo rilevandolo per
intero e aggiungendo alla prima una seconda fabbrica specializzata in porcellane. L’economia decollò. Con la sua
morte nel 1834 l’opificio conosce una temporanea crisi, seguita con grande apprensione dalle autorità cittadine che
intervengono più volte presso gli eredi del cardinale per sventare la chiusura. Le intercessioni pubbliche danno esito
positivo e con l’avvento dei castelbarco nella proprietà, le attività riprendono più prospere che mai nelle nuove
fabbriche “ceramiche albani”. Il regime produttivo è il più possibile autarchico poiché le vernici vengono prodotte dai
molinelli di famiglia. C’erano due magazzini per lo smistamento uno a pesaro e l’altro a fano. Da qui partivano le
merci che andavano in tutta italia e anche in uk. Il resto della produzione veniva smerciato a livello locale. ma dal
1892 gli opifici albani, così tanto stimati per gravi cause interne di cattiva gestione del personale chiuderanno
definitivamente. Ad urbino c’era poi un’altra attività molto importante: la spillara. Produceva spille sia per i patrizi,
sia per i ceti meno abbienti. Fondata nel 1650 da alcuni nobili urbinati. Nel 1722 sarà annibale albani, in periodo di
camerlenfato, avendo intuito il potenziale della fabbrica, a proporre ed ottenere da papa innnocenzo III che il
privilegio di privativa venga esteso a tutto lo stato ad eccezione di bologna e ferrara. Così lo stato pontificio sottrarà
la spillare ai primi concessionari-affittuari la gestione della spillare, avocandola direttamente alla famiglia
proprietaria del laboratorio, cioè gli albani. Il regime di gestione inaugurato da annibale albani prevedeva che la
materia grezza provenisse dalla trafile di famiglia ubicata a fermignagno, poi si sceglievano i modelli competitivi, si
chiamavano i designer più qualificati del tempo per poi produrre spille. Anche in campo tecnologico gli albani sono
avanti. Dal 1750 detenevano il libretto di un ordigno per la produzione delle teste di spilla, ideato da a. nini, un
artigiano geniale. Anche in periodo napoleonico, la fabbrica non risente della crisi. Nel 1802 poi la privativa tra albani
e chiesa viene rinnovata e le sanzioni per il contrabbando inasprite e esonerata dalla tasse, la spillara conosce un
trend espansivo ampio, poi suggellato completamente nel 1817 con un editto papale che estende la privativa anche
ai territori nella precedente esclusi. Con l’unità d’italia e la conseguente fine del regime di monopolio, la fabbrica
verrà costretta a chiudere. Sempre ad urbino c’era anche una notevole produzione di vetri e cristalli. Nel 1736 il papa
attribuisce a leonardo pierantoni la privativa di fabbricare ad urbino vetri e cristalli. Dopo circa vent’anni di buona
attività, la produzione entra in crisi, suscitando l’interesse della famiglia albani. Il protagonista del rilancio produttivo
era carlo albani il quale, avendo molti amici in austria, trovò ricchi clienti, usufruendo anche dei canali di commercio
della vicina spillara. A fermignano un’attività molto importante era la cartiera. L’opificio era stato molto voluto dai
montefeltro, fu edificato vicino ad un molino da cereali di proprietà ducale, e produceva carta ad usum
fabrianensem per il ducato. Furono fatte dai montefeltro varie concessioni protezionistiche che le garantirono il
prestigio e fortuna. Ma con l’estinguersi del ducato, cominciarono i problemi. A sventare la prevedibile chiusura e a
fornire un nuovo stimolo produttivo fu papa clemente 11 albani che nel 1703 sancisce la definitiva appartenenza
della cartiera alla cappella del ss. Sacramento. Inoltre il papa concede ai cartieri di vendere la carta nella fiera di
Senigallia e di estrarla fuori dallo stato della chiesa, riaffermando così l’assoluta supremazia della cartiera. Nel 1732
la cartiera si espande e prese in affitto la cartiera dell’acqua santa di fossombrone, aumentando i profitti. Tuttavia a
fine 18 secolo, l’invecchiamento degli impianti, la carenza e l’aumento dei prezzi delle materie prime impongono un
notevole impiego di capitali che la gestione non può sopperire. Saranno quindi gli albani stessi ad investire per il
rilancio produttivo, facendo poi passare definitivamente l’attività sotto la famiglia nel 1870. Nelle marche c’era
anche una grande produzione di tabacco, introdotto in via sperimentale nel 16 secolo. Durante il 1700 gli albani,
ormai diventati nobili, aprono a chiaravalle una fabbrica, un tabacchificio presso un mulino rifornito ad acqua dal
vallato derivato dall’Esino, e rileva poi in affitto l’opificio di fano. Si rifornivano dalle terre di famiglia, aumentando
così di molto i guadagni. Nel contesto prevalentemente agricolo marchigiano, l’attività legata all’estrazione dello
zolfo costruisce un altro importante elemento. Le estrazioni sono inizialmente connesse all’industria della polvere da
sparo e successivamente per la produzione di acidi solforici per le industrie farmaceutiche. A partire dall’800 poi lo
zonfo viene usato anche nella solforazione delle viti, aumentando la richiesta. Le più antiche solfatare sono quelle si
sant’agata e di perticara di montefeltro. Nel 1631 con l’annessione del ducato alla santa sede gli zolfi vengono per la
prima volta dati in appalto. L’appalto veniva concesso per nove anni e solo eccezionalmente in perpetuo. A urbino i
primi apparlatatori furono i corradini, proprietari della miniera di san lorenzo in solfinelli, più tardi ceduta alla
famiglia albani. Nel 18 secolo lo zolfo prodotto nella zona veniva esportato ovunque. Ma a partire da metà secolo ci
fu una regressione. Con gli inizi del nuovo secolo c’è un nuovo boom estrattivo. nell’800 continuano periodo di
grassa e di magra. Nel 1884 la famiglia labani apre la società anonimca miniere solfuree albani per la gestione dei
suoi giacimenti e nel 1904 per evitare la crisi, attua la fusione con la diretta concorrente “trezza”. Viene così istituità
la società trezza-albani-romagna come unico gestore delle miniere nel pesarese e nella romagna. Si creò un regime
di monopolio che diede slancio alla produzione. I siti posseduti dalla famiglia erano 5, tutti ubicati nel montefeltro
(san lorenzo in solfinelli, cavallino, gallo, ca’ pierucci e lunano) urbinate, a cui si dovevano aggiungere gli impianti di
raffinazione e macinazione dello zolfo di pesaro. Altra struttura importante era l’opificio industriale della
“Ingualchiera”. Era una fonderia di ghisa, un’officina meccanica e uno stabilimento per la macinazione dello zolfo.
Altro commercio importante era il monopolio dello spaccio del sale a poggio berni che rimase sotto il controllo degli
albani fino al 1861. Altre attività imprenditoriali importanti riguardano le stazioni di posta e gli stabilimenti balneari.
Gli albani furono quindi molto importanti per il territorio, anche dal punto di vista occupazionale. Con le loro mille
attività diedero lavoro ad una buona fetta della popolazione. In più i riconoscimenti nazionali e internazionali e la
loro politica di sviluppo territoriale hanno permesso al territorio di avere una crescente economia. Con il stabilizzarsi
degli albani nella società de