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LEVINAS “TOTALITA’ E INFINITO”

Sezione quarta: AL DI LA’ DEL VOLTO

Levinas, autore di cultura ebraica ed ebreo praticante, allievo di Husserl, nel

1961, edita questo testo “Totalità e Infinito. Saggio sull’esteriorità”. Il titolo dice

già una tesi: ci dice che ci sono questi due modi di approcciare la realtà: dal

punto di vista della totalità e dal punto di vista dell’infinito.

Totalità, intendendo in chiave polemica nei confronti di Hegel, la visione della

realtà dal punto di vista superiore, inglobante, che racchiude in sé tutti gli

elementi.

L’infinito è una posizione che non dice un tema metafisico ma un tema

antropologico e ontologico dell’esperienza come illimitata apertura, apertura

trascendente dove il soggetto si manifesta come tale in quanto va verso l’altro

(altro soggetto).

All’origine, non c’è un principio riassuntivo della realtà che minaccia la

pluralità, la molteplicità, il divenire delle cose ma c’è la pluralità finita che è

fatta di soggetti aperti all’infinito, quindi, sempre ricomincianti la loro

esperienza in un movimento di autotrascendenza verso altri, dove questo

Maria Concetta Carugno Pag. 120

movimento verso altri non è un’aggiunta alla soggettività ma è definitoria della

soggettività.

Saggio sull’esteriorità: con esteriorità si intende l’alterità irriducibile: non è

tanto il discorso di contrapposizione tra l’interiore e l’esteriore in senso

spirituale, ma vuol dire che l’esteriorità è la via della relazione ed è il modo in

cui la relazione avviene, cioè incontrando un’alterità che è irriducibilmente

esteriore, cioè irriducibilmente altra. L’esteriorità è l’alterità irriducibile.

“Levinas è il più lucido nemico dell’esito totalizzante delle concezioni relazionali

platonica, romantica e idealista”. Levinas è un autore che porta all’estremo

questa inimicizia con le dottrine totalizzanti, in cui in primo piano non c’è

irriducibilmente il soggetto con la sua apertura infinita e con la sua

trascendenza verso l’altro, quindi, sia Platone, sia il romanticismo sia la

teoretica idealista (in particolare, Hegel).

“Il paradigma occidentale è dominato, secondo Levinas, dall’idea di una totalità

inclusiva e risolutiva delle differenze” perché l’unità viene intesa, non soltanto

a livello relazionale tra soggetti o affettivo, ma come unità di fusione, cioè di

ricomprensione univoca, con un unico senso di tutto nella totalità.

Tutta la preoccupazione di Levinas è quella di una fenomenologia di questa

relazione per cui, essendo effettivamente altri, irriducibilmente altri,

insostituibilmente altri, un Altro esteriore, un Altro che non è ricompreso

all’interno di un tutto che unifica dall’esterno le cose, questa esteriorità non

significa opposizione alla relazione ma è proprio il contrario: proprio perché è

autentica e irriducibile l’esteriorità, l’alterità proprio per questo è possibile la

relazione, cioè c’è relazione perché c’è vera esteriorità perché c’è dell’altro con

cui mettersi in relazione, altrimenti c’è un’apparenza di relazione ma, in realtà,

c’è una prioritaria identificazione che in qualche modo risolve l’uno nell’altro o

tutti in qualcos’altro.

In questo suo modo fortemente polemico, Levinas punta esattamente a

ripresentare, concettualmente, il problema della relazione.

Levinas dice: “La relazione con altri è l’assenza dell’altro, essendo proprio tale

assenza dell’altro la sua presenza come altro reale”. Assenza vuol dire che

l’altro non è quello che è presente a me ma è quello che sta in sé. Quindi, lui

gioca continuamente sul paradosso della dualità, dell’unità, della presenza e

dell’assenza, dell’identità e dell’alterità.

L’ultima parte del testo, la sezione quarta, si occupa di qualcosa che sta sotto il

titolo “Al di là del volto”. IL VOLTO, nel senso di avere un volto, è il luogo

enigmatico di tutto questo perché il volto dice, in modo irriducibile, una vera

alterità e una vera unicità (ognuno ha il suo volto) e nello stesso tempo è luogo

dell’incontro, della comunicazione, quindi, la possibilità della relazione. Avere

un volto vuol dire poter entrare in relazione con un altro volto. Nello stesso

tempo, il volto è ciò che si pone come per eccellenza l’altro. Il volto è ciò che

assolutamente identifica e proprio perché identifica separa e proprio perché si

identifica e separa come volto e non come materia, è luogo della

Maria Concetta Carugno Pag. 121

comunicazione, dell’intesa. Tutto questo nella teoretica di Levinas viene detto

in questi termini: l’antropologia va reimpostata a partire dall’altro.

Che cosa vuol dire vedere il mondo dal punto di vista dell’altro? Cosa vuol dire

vedere se stessi dal punto di vista dell’altro? Infatti, lui dice: “Nell’incontro con

l’altro volto ci sono soltanto due possibilità: o l’eliminazione del volto o il

doversi subordinare al fatto che l’altro volto sia fatto così e sia di altri”. Quindi,

siamo tra l’affermazione benevola e l’omicidio: è come dire che è qualcosa che

va tolto di mezzo perché se lo mantieni nella sua identità, nel suo modo proprio

di essere, il volto dell’altro chiede una forma di accettazione, subordinazione

obbedienza.

Teniamo presente che scrive nel 1961, è ebreo, c’è dietro tutta l’esperienza

dell’annientamento dell’altro. Lui ritiene che questa idea di totalità, che ha

pervaso la cultura occidentale, Platone, poi il Romanticismo, l’idealismo, Hegel,

in fondo, sia responsabile del fatto di poter pensare che ad un certo punto una

totalità possa riassumere e decidere chi deve vivere e chi deve morire, chi ha

ragion d’essere e chi non ce l’ha. Per lui questa idea di totalità è l’anticamera

del totalitarismo.

L’ultima parte del testo si intitola “Al di là del volto”: che cos’è l’al di là del

volto? È quel tipo di esperienza in cui il volto non appare in prima istanza, anzi,

è un’esperienza in cui il volto rischia anche di essere negato. Questa

esperienza è l’esperienza erotica. L’esperienza erotica, come lui dice, è il luogo

per eccellenza dell’ambiguità perché è il luogo della voluttà oppure il luogo

dell’eros nel senso positivo, umanizzante. Cosa intende per VOLUTTA’? è

l’esperienza di piacere peculiare della sessualità in cui l’altro conta solo nella

sua compartecipazione e contributo alla voluttà. La voluttà è il luogo della

chiusura, dell’esclusione del terzo, è qualcosa di non sociale, è un egoismo a

due. La voluttà è voluttà della voluttà, cioè non vuole altro che se stessa.

È quel tipo di esperienza che, lasciata a se stessa, ha questa

caratteristica di forza, energia e volontà di autoaffermazione, di

autoriferimento, autoriproposizione, cioè la voluttà non vuole altro che se

stessa. È un modo di infinità non trascendente del soggetto verso altri.

Perché al di là del volto? Perché non c’è di mezzo il volto. Perché ambiguità

dell’amore? Perché c’è il lato dell’amore di voluttà che è il lato

dell’autoreferenzialità, della chiusura su di sé, qualcosa che torna sempre a se

stesso (è il tema della medesimezza).

Sta dicendo che si presenta questo fenomeno. Dice che la prima faccia

dell’amore sessuale, preso come riferimento base del discorso, ha questa

caratteristica amore/voluttà che non esclude ma, anzi, porta con sé, senza

saperlo e senza volerlo, l’altra faccia della cosa che è l’amore eros, cioè l’amore

che, invece, già in se stesso porta un principio di autotrascendenza. Questo

principio di autotrascendenza si chiama fecondità. È una lettura

fenomenologica, in chiave antropologica, del fatto che l’amore ha questa

ambiguità che è una ambivalenza del voler se stesso e nello stesso tempo un

Maria Concetta Carugno Pag. 122

voler se stesso che di per sé porta anche la possibilità di un’apertura all’altro e

quindi di una trasformazione di sé in qualcos’altro.

A ben vedere, sono due facce non volontarie del fenomeno come tale. La

volontarietà è sottesa come ciò che volontariamente può avvenire per essere

accettato o non accettato.

Che cosa interessa a Levinas in questa parte finale del discorso? Di far vedere

come dentro l’ambiguità dell’amore si nasconda una possibilità

eccezionalmente significativa di quella che è la tesi di tutto il suo pensiero, cioè

l’emergere della presenza dell’altro.

Inizia il discorso sottolineando l’ambiguità e termina esaltando il paradigma che

questa ambiguità porta in se stessa, non come ambiguità ma come possibilità

intrinseca, dentro la carne dell’amore che è quella della fecondità e quindi della

figura fondamentale in cui culmina tutto il discorso che è la paternità e la

figliolanza.

Pag. 285, paragrafo E. TRASCENDENZA E FECONDITA’: dice la sua tesi.

“Abbiamo cercato al di fuori della coscienza e del potere una nozione d’essere

che fondasse la trascendenza. L’acutezza del problema consiste nella necessità

di mantenere l’io nella trascendenza con la quale, fino ad ora, sembrava

incompatibile. Il soggetto è soltanto soggetto di sapere e soggetto di potere,

non si offre come soggetto in un altro senso, la relazione cercata, che egli

sostiene come soggetto e che a sua volta soddisfa contemporaneamente

queste esigenze contradditorie, ci sembra iscritta nella relazione erotica”. Ci

interessa comprendere la soggettività, dice che il soggetto è soggetto

trascendente (trascende oltre se stesso). Il soggetto non è realtà conclusa in se

stessa ma il contrario. Questa

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A.A. 2017-2018
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher maryconcetta90 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Antropologia filosofica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Botturi Francesco.