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DIRITTO COMPARATO COME STRUMENTO DI INTERPRETAZIONE (continuazione)
C’eravamo lasciati parlando delle funzioni del diritto comparato e, in particolare, stavamo trattando
della considerazione del diritto comparato come materia che può costituire strumento di
interpretazione.
Le considerazioni che abbiamo fatto con riguardo a questo profilo vanno un po’ concluse con
riguardo ad alcune notazioni che caratterizzano il ruolo della giurisprudenza negli ordinamenti di
civil law, con particolare riferimento al ruolo della giurisprudenza nello stesso diritto italiano.
Abbiamo detto infatti: il diritto comparato, in che modo può essere considerato strumento di
interpretazione? Può essere considerato strumento di interpretazione sotto il profilo per esempio di
casi nei quali sussista una lacuna nell’ordinamento e abbiamo distinto i tipi di interpretazione con
riguardo sia ai soggetti che la effettuano (cioè all’autore dell’interpretazione stessa) sia con riguardo
al contesto in cui l’interpretazione può essere posta in essere.
Un profilo di estremo interesse che riguarda anche il diritto comparato in relazione, dicevamo, al
ruolo attuale della giurisprudenza nell’ambito del sistema delle fonti.
Sappiamo che la giurisprudenza degli ordinamenti quali il nostro, non è fonte di diritto. Lo è
tradizionalmente invece in alcuni sistemi giuridici come quelli di common law, cioè nei sistemi che
affondano le proprie radici nell’antico diritto inglese, nell’ambito dei quali per l'appunto il giudice
crea la regola giuridica.
Nei sistemi di civil law, quale quello italiano, la giurisprudenza ha una sua funzione, che in alcuni
casi viene ricordata come funzione nomopoietica.
Negli ultimi decenni, con riguardo al concorso di una pluralità di fattori che hanno portato a questo
risultato, la giurisprudenza italiana, specie in alcuni settori, e forse il settore del diritto privato in cui
più spiccatamente è possibile apprezzare questo è il diritto di famiglia. La giurisprudenza italiana in
alcuni settori ha di fatto svolto e sta ancora oggi svolgendo una funzione che travalica i suoi compiti
istituzionali perché è divenuta vera e propria fonte del diritto, in alcuni specifici casi, in funzione
essenzialmente suppletiva delle carenze del legislativo, quindi in alcuni specifici settori, ad esempio
quello del diritto di famiglia, il ruolo della giurisprudenza è mutato. Secondo alcuni che analizzano
questo fenomeno in chiave critica, esso è travalicato rispetto a quello tradizionale secondo altri che
invece ne sottolineano gli aspetti positivi e gli scopi costitutivi di questa opera giurisprudenziale
invece, ne vedono per l’appunto la positività in partenza. Senza voler dare un giudizio in un senso o
nell’altro, vi sono tutta una serie di fenomeni legati al ruolo che la giurisprudenza ha svolto, con
riguardo per esempio al settore del diritto di famiglia, che oggettivamente fanno dubitare della
circostanza che il sistema delle fonti di diritto interno, non solo in Italia, sia ancora la medesima
rispetto a quella che era qualche decennio fa.
Per ricordare solo alcuni degli esempi tra i più significativi, ma ve ne sono alcuni di sofisticati e
tecnici nei quali non ci addentriamo, uno tra i più importanti è conseguito all’introduzione
nell’ordinamento italiano della legge, cosiddetta in materia, di affidamento condiviso della prole in
sede di separazione e divorzio.
Stiamo parlando della legge speciale del 2006 e in realtà si tratta ormai di una introduzione che non
è applicabile solamente all’affidamento della prole nell’ambito della separazione e del divorzio, ma
è un criterio quello del cosiddetto affido condiviso, che guida la regola giuridica in questo ambito,
anche a prescindere dall’esistenza di un rapporto matrimoniale tra i genitori, quindi, in ogni caso nel
quale non vi sia un pregresso rapporto matrimoniale o un sussistente rapporto patrimoniale, ma si
tratti per esempio di decidere in materia di affidamento, conseguentemente anche con riflessi
riguardo al mantenimento, anche della prole nata o per effetto della convivenza, cosiddetta more
uxorio o comunque al di fuori del rapporto matrimoniale.
Perché facciamo queste specificazioni? Perché ovviamente la filiazione può essere originata al di
fuori del rapporto matrimoniale, in tutta una serie di situazioni che sono plurime e non unicamente
riconducibili ad un rapporto di convivenza tra i genitori del soggetto che viene definito figlio e ci
possono essere per esempio tutta una serie di situazioni nelle quali uno dei genitori conviveva con
una terza persona, situazioni in cui non vi è un rapporto di convivenza stabile, situazioni un po’ più
complesse in cui uno dei genitori è coniugato con una terza persona. Le realtà alla base, diciamo
così, della filiazione, sono quindi, come la società esprime quotidianamente, particolarmente
complesse e non immediatamente collocabili o nella categoria della filiazione matrimoniale o nella
categoria della filiazione derivante dalla convivenza. Tant’è che la recente riforma del diritto di
famiglia, quella che viene ricordata come riforma della filiazione che in realtà riforma
profondamente tutto il diritto di famiglia, attraverso la riforma della filiazione, adeguava se
vogliamo a ciò che accadeva anche in altri ordinamenti, parla ormai di filiazione matrimoniale e di
filiazione extra matrimoniale, ricomprendendo in quest’ultima definizione tutta la serie di ipotesi e
anche altre che abbiamo ricordato. Quindi non necessariamente il rapporto tra gli adulti che danno
origine alla filiazione hanno, diciamo così, carattere tradizionale o comunque riconducibile in
maniera semplificata alle due categorie matrimonio non-matrimonio.
La regola dell’affido condiviso è una regola che è stata introdotta per legge nel 2006 con legge
speciale, non senza contrasti ed è ormai applicata, come dicevamo, come regola generale, poi si
uniscono ovviamente eccezioni previste dalla disciplina, in tutte le ipotesi nelle quali si discuta a
livello giudiziario dell’affidamento della prole. Perché diciamo a livello giudiziario e non a livello
giurisdizionale? Perché vi sono cautele da utilizzare: esiste attualmente una differenza nel rito
processuale che governa da un lato il procedimento di separazione e di divorzio che è sottoposto, in
fase contenziosa, alle regole del rito ordinario, nel pieno rispetto del principio del contraddittorio tra
le parti e invece il procedimento, che è stato recentemente istituzionalizzato con la riforma del
2012, che governa l’affidamento e il mantenimento della prole non derivante dal matrimonio, che
invece è sottoposto a regole del procedimento in camera di consiglio.
Se vogliamo ricordare distinzioni importanti è difficile definire giurisdizionale in senso tecnico o
perlomeno nell’ambito del procedimento di cognizione ordinaria, il procedimento derivante da
questo tipo di petita delle parti.
Quando questa legge è entrata in vigore, è stata introdotta nell’ordinamento italiano, come spesso
purtroppo è accaduto, specie negli ultimi decenni, le imprecisioni del legislatore in termini di
formulazione delle norme e di assetto complessivo della riforma introdotta, specie per quanto
riguarda i profili della competenza per materia, tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni,
non erano state chiaramente risolte dal legislatore. Vi erano quindi delle ipotesi nelle quali si
dibatteva in dottrina e la giurisprudenza si orientava anche in maniera parzialmente diversa da sede
a sede di tribunale, con riguardo alla soluzione di queste ipotesi. È intervenuta alla fine la Corte di
Cassazione, che ha di fatto dato un’interpretazione autentica, stabilendo in concreto quale fosse la
regola di competenza per materia all’interno della nuova disciplina introdotta. Perché diciamo di
fatto? Perché, come sapete, l’interpretazione autentica è per definizione quella data dalla stessa
fonte che ha emanato la regola giuridica oggetto dell’interpretazione. Quindi a rigore sarebbe stato
il legislatore l’unico qualificato ad interpretare in maniera autentica la norma oggetto del dibattito.
In realtà non è stato così e quindi la definizione di interpretazione autentica è tecnicamente
impropria se è attribuita alla giurisprudenza come in effetti è accaduto. Abbiamo detto infatti che è
un’interpretazione autentica di fatto ad opera della giurisprudenza che ha concretamente creato una
regola giuridica che mancava. Certo, mi dimentico un conflitto giurisprudenziale che in realtà
null’altro era che non la conseguenza di questa imprecisione del legislatore,
Questo, se vogliamo citare, è uno dei casi più noti e più semplici sotto il profilo tecnico perché il
non giurista potrebbe descriverlo dicendo che la giurisprudenza si è sostituita al legislatore dicendo
ciò che la regola legislativa non prevedeva con chiarezza.
Vi sono in realtà tutta un’altra serie di casi molto più sofisticati, anche e soprattutto in materia
familiare, ma non solo, nei quali il giudice, in ambito civile, svolge un’opera che non è l’opera
tradizionale legata all’esplicazione della sua funzione giurisdizionale cioè, semplificando, quella di
dirimere il conflitto tra interessi contrapposti delle parti, creando una regola, quella che il
provvedimento del giudice che disciplina il conflitto che è stato sottoposto alla sua attività, alla sua
attenzione, quindi al provvedimento del giudice.
Questi casi derivano da una serie di fattori che non sono puramente e semplicemente riconducibili
ad una imprecisione del legislatore. Sicuramente, come abbiamo già detto e spesso ricorderemo,
nell’ordinamento italiano esiste da diverso tempo un problema, che forse è il problema più
importante sotto al profilo tecnico, di formazione della regola giuridica. Nel senso che la regola
giuridica per eccellenza, quella di carattere legislativo, parlamentare essenzialmente, (perché a
livello locale le singole regioni hanno cercato di porre alcuni correttivi), la regola legislativa in
senso ampio, subisce un iter di formazione che non è più adeguato ai tempi e alle risposte
complesse che l’ordinamento nella sua interezza richiede. Di fatto cioè, l’iniziativa legislativa che
può essere di carattere parlamentare come no, ricordiamo quella con l’iter più semplice ovvero
quella parlamentare con l’elaborazione dei testi di legge attraverso il vaglio delle commissioni
competenti delle due distinte Camere e l’approvazione di una Camera e successivamente dell’altra,
subisce degli approfondimenti di carattere tecnico in questo