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Friedrich Schiller
Grazia e dignità
GRAZIA
La favola greca attribuisce alla dea della bellezza una cintura che possiede la facoltà di conferire
grazia a colui il quale la indossa e di ingraziargli l’amore. Questa divinità è accompagnata dalle
Grazie. La grazia non è prerogativa del bello; è una bellezza mobile, ossia una bellezza che può
sorgere sia cessare di essere nel suo soggetto. Questa cintura, come simbolo della bellezza mobile,
ha la particolarità di conferire a colei che ne viene adornata la qualità oggettiva della grazia. Il
significato del mito greco è che la grazia si trasforma in una qualità della persona e che colei che la
indossa è realmente amabile e non solo lo appare. Questa cintura non agisce naturalmente ma
magicamente, estendendo il suo potere oltre ogni confine naturale. La Grazia, dice il mito, è
qualcosa di accidentale nel soggetto in cui si manifesta ed è un ampliamento del concetto di
bellezza. Là dove si manifesta la grazia è l’anima il principio movente e in essa è contenuta la
ragione della bellezza del movimento. <<La grazia è una bellezza che non è data dalla natura, ma
che viene prodotta dal soggetto stesso>>.
La bellezza architettonica della forma organica umana va distinta dalla sua perfezione tecnica. Per
perfezione tecnica si deve intendere il sistema degli scopi stessi, così come si uniscono fra loro per
il raggiungimento di un ultimo scopo; per bellezza architettonica si deve intendere una qualità della
rappresentazione di tali scopi, così come essi si manifestano nel fenomeno alla facoltà intuitiva. La
bellezza architettonica dell’uomo è l’espressione sensibile di un concetto della ragione. A questa
bellezza provvede la natura da sola. Se l’uomo fosse un essere sensibile, sarebbe la natura a stabilire
le leggi e a determinare i casi in cui vadano applicati; ma la natura divide il dominio con la libertà
ed è lo spirito a decidere sui casi. Il dominio dello spirito si estende fin dove la natura è viva.
Non tutti i movimenti dell’uomo sono in grado di esprimere grazia. Soltanto la bellezza della forma
che si è mossa mediante libertà è grazia, e i movimenti che appartengono soltanto alla natura non
possono mai fregiarsi del suo nome. Lo spirito modella persino il corpo e la struttura deve seguire il
gioco, per cui, non di rado, la grazia finisce per trasformarsi in bellezza architettonica. La persona
prescrive al corpo i movimenti mediante la propria volontà, quando vuole realizzare un effetto
immaginario nel mondo sensibile, e in tale caso questi movimenti avvengono involontariamente,
secondo una legge di necessità; questi movimenti sono chiamati simpatetici. La grazia deve essere
sempre natura, ossia involontaria, e il soggetto stesso non deve mai dare l’impressione di essere
consapevole della propria grazia. Si dice che un’anima è bella quando il sentimento morale si è
finalmente assicurato tutti i sentimenti dell’uomo al punto da poter lasciare senza timore la guida
della volontà all’affetto e da non correre mai il rischio di trovarsi in contraddizione con le decisioni
di esso. L’anima bella non ha altro merito se non quello di esistere. È in un’anima bella che
sensibilità e ragione, dovere e inclinazione sono in armonia, e la grazia è la sua espressione nel
fenomeno. DIGNITA’
Se la grazia è l’espressione di un’anima bella, la dignità è espressione di una disposizione
dell’animo sublime. L’istinto naturale dell’uomo aggredisce la facoltà della sensazione attraverso la
duplice potenza del dolore e del piacere: attraverso il dolore, dove richiede soddisfacimento,
attraverso il piacere, lo trova. Nella natura umana troviamo un’ulteriore istanza, ossia la volontà.
L’animale tende a liberarsi del dolore, l’uomo può scegliere di conservarlo. La legislazione della
natura ha validità sino alla volontà, dove essa termina e inizia la legislazione della ragione. La
volontà sta dunque fra le due giurisdizioni, e dipende esclusivamente da lei scegliere da quale di