vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Tramite un’operazione di sutura poi, il testo cerca di ottenere una totalità uniforme da tutti i
discorsi: ma per ogni sutura c’è sempre un fallimento che contiene le tracce delle contraddizioni
discorsive celate nel testo.
Contraddizioni discorsive rappresentate nel testo sotto forma di una contraddizione narrativa, e
cioè: il mostro è allo stesso tempo buono e cattivo; le parole del mostro inoltre, richiamano il lettore
ad almeno 2 discorsi incompatibili: quello dell’uomo-natura, del buon selvaggio e quello religioso
del contro-natura, dell’escluso dalla catena degli esseri, del diavolo.
Ecco dunque in cosa il mostro è una chimera: oggetto fittizio di un’esperienza impossibile, egli
annoda i fili di un testo sempre lacerato e rappresenta, tramite le sue azioni ed il suo essere sé
stesso, le contraddizioni esistenti tra altri discorsi.
Primo fra tutti è quello della conoscenza.
Come può il mostro, abbandonato da tutti, apprendere l’uso della parola e acquisire una tale
eloquenza così velocemente?
In effetti il mostro appena nato è una tabula rasa : all’inizio egli viene assalito dalle sensazioni
esterne ( colori, suoni) o interne (fame, sete); ben presto queste si distinguono, così il mostro impara
a stabilire un legame fra le percezioni dei vari sensi e quindi fra cause ed effetti.
E’ così che, passando dalle sensazioni alla riflessione, egli riuscirà ad apprendere il linguaggio.
Il mostro tuttavia, non è solo una tabula rasa, egli è anche un atomo sociale non ancora aggregato
alla totalità.
Ma se il mostro è solo, come lo è l’uomo allo stato di natura, e la sua solitudine gli pesa, egli
non sogna altro che un contratto sociale: nella prima parte del racconto infatti, egli tenta di
concludere questo contratto con altri uomini; davanti al loro rifiuto egli tenta di sciogliere, con
violenza, questo contratto che gli uomini hanno concluso fra loro e da cui lo hanno escluso.
Il mostro è dunque un homini lupus solo perché il contratto sociale lo ignora. Dotato di ragione, il
mostro senza società è virtuoso ma triste, poiché egli sente che “lo stato più desiderabile che l’uomo
possa conoscere è lo stato di società”.
Dunque , all’aridità del razionalismo godwiniano, Frankenstein oppone i sentimenti di Rousseau.
Frankenstein però, lascia trasparire anche un altro discorso: quello della famiglia, che attraversa
tutto il racconto a causa delle contraddizioni familiari personali ereditate dal’autrice; infatti, la
relazione tra Victor ed il mostro è quella di un padre che rifiuta di conoscere il proprio figlio.
Il mostro conosce la bontà indirettamente, vivendo l’idillio familiare degli abitanti del cottage senza
però farne parte. Se egli è corrotto, non è tanto per colpa della società e delle sue leggi, ma per
l’impossibilità di avere una famiglia.
Il problema del mostro non è dunque solo sociale, è soprattutto familiare. Ma tenere un discorso
sulla famiglia è anche tenere un discorsosulla società: quest’ultima in effetti è una grande famiglia,
sottomessa all’autorità paterna del sovrano, così come la famiglia è una piccola società, sottomessa
all’autorità del pater familiare.
Un altro luogo della contraddizione è sicuramente il linguaggio, o piuttosto lo stile.
Mary Shelley si rifà allo stile del romanzo gotico caratterizzato da ampi periodi, frasi complesse
costruite intorno ad armonie retoriche, un vocabolario ricco di latinismi e metafore abbondanti e
ricercate; ma il linguaggio di Mary Shelley riesce anche a fuggire da questi modelli e lo fa
attraverso 2 strade.
La prima è quella dell’eccesso: nell’esagerazione dell’eloquenza appassionata; la distanza tra il
locatore ed il suo linguaggio civile si abolisce, le passioni si rivelano nella loro nudità ed
immediatezza. (sembra essere nient’altro che un cambio di retorica, ma nasconde gli slogan delle
folle rivoluzionarie). 2
La seconda fuga percorre, al contrario della prima, la strada della manchevolezza.
Lo stile di Frankenstein è dunque una soluzione di compromesso: c’è un compromesso tra il
progresso scientifico e le concezioni religiose tradizionali, tra il bello ed il sublime, tra il linguaggio
del romanzo gotico e quello del romanticismo.
Questo compromesso è la soluzione a una contraddizione che si sviluppa su 3 livelli:
discorsivo, narrativo e stilistico.
Ma qual è, dentro questa contraddizione, l’aspetto dominante? Quello religioso .
Affermare ciò fa di Frankenstein un testo reazionario in senso stretto: l’autrice esprimerebbe al suo
interno, la sua ribellione contro un ambiente brillante, ma superficiale e moralmente pericoloso.
Questo compromesso che costituisce il testo riflette dunque anche una contraddizione storica.
La contraddizione storica: Frankenstein e la congiuntura.
Un romanzo gotico non è un romanzo storico: Frankenstein non sfugge a questa regola, la Storia
non vi interviene assolutamente, tuttavia l’azione si svolge presumibilmente nel XVIII secolo.
Quest’azione è datata e dunque, storica.
La prima lettera di Walton, con cui si apre il racconto, presenta una data <<Pietroburgo, 11
dicembre 17** >>. Data incompleta, ma data che nasconde e allo stesso tempo svela la cronologia
degli eventi.
C’è un’analisi politica della situazione storica di quel periodo di cui Frankenstein porta la traccia in
quanto opera di riflesso: il fascino per i liberali inglesi tra i quali viveva l’autrice per la Rivoluzione
Francese; ma allo stesso tempo una repulsione per quegli sconvolgimenti che fecero crollare in
Francia l’antico ordine delle cose ed una nostalgia per quel passato che l’avvento del nuovo ha
distrutto.
Frankenstein ha avuto fortuna come metafora politica. Infatti, è proprio nelle caricature dei discorsi
dei politici che egli è sopravvissuto per tutto il XIX secolo, addirittura sembra che i conservatori si
siano impossessati di lui perché c’è qualche cosa nel mostro che parla all’immaginario politico dei
conservatori. Questo qualcosa è la Rivoluzione Francese: leggere la descrizione della sofferenza
causate dalla volontà di cambiamento dei rivoluzionari francesi è come leggere, in anticipo, le
avventure di Victor Frankenstein; dietro il mostro, si nasconde la folla rivoluzionaria che prende la
Bastiglia ed imprigiona il re.
Prima abbiamo detto che, in Frankenstein, la storia non è per niente presente. Leggendo il testo
attentamente tuttavia, ci si rende conto che esso contiene delle allusioni storiche.
La datazione delle lettere mostra che l’autrice intende collocare il suo intrigo in un periodo a lei
recente, ma non contemporaneo. << 17** >> : una data ben vaga. Ma alcune allusioni ci permettono
di precisarla. Tanto per iniziare, il mostro legge il Werther, pubblicato nel 1774.
Il racconto poi ci dona un’altra data,Victor trovandosi ad Oxford rimembra le gesta di 150 anni
prima, quando nel 1642, agli inizi della guerra civile, Carlo I si rifugiò ad Oxford, lasciando Londra
nelle mani dei suoi nemici): l’evento datato si situa in quella che spesso viene chiamata la
Rivoluzione Inglese. Le vicende quindi si sarebbero evolute in contemporanea alla rivoluzione
francese, ecco quindi ritornare il tema della rivoluzione.(in questo doppio richiamo)
E’ meglio evitare però, riconsiderare troppo realisticamente questa cronologia dedotta.
La stessa ambiguità è riscontrabile nel secondo tipo di allusione storica che caratterizza il racconto:
il tema del processo.
L’allusione in questo caso è indiretta ma doppia: essa rinvia al discorso dei Lumi sulla giustizia, alla
critica delle celebri ingiustizie dei tribunali, alla riflessione filosofica sulle istituzioni; essa rinvia, al
contempo, ad una moda tipica dei romanzi inglesi di fine XVIII secolo, quella di inscenare i
processi; Frankenstein infatti, contiene la storia di una persecuzione, quella di cui è vittima De
Lacey, il vecchio cieco che il mostro spia attraverso un buco nel muro. Il romanzo ci fa assistere
inoltre a 2 processi: l’innocente Bustine viene condannata e giustiziata per l’omicidio del piccolo
William; Victor, anche lui innocente, processato perl’assassinio di Clerval, che riesce a discolparsi.
3
Le avventure di De Lacey fanno chiaramente appello alla critica voltairiana dell’ingiustizia:
tribunali ingiusti che condannano a morte degli innocenti. Questa giustizia però non è l’unica ad
esistere, e se il racconto espone le <<cose come sono>>, allora queste cose vanno cambiate.
Del tutto diverse sono le scene dei 2 processi. In questi viene regolarmente resa giustizia e
l’accusato non viene oppresso:sono i sotterfugi del mostro, non dei giudici, che incastrano Bustine,
mentre è l’alibi di Victor che gli rende la libertà. Ma questi processi restano comunque ambigui:
sono infestati dal’ombra del colpevole, quel mostro onnipotente al di sopra di ogni tribunale.
Ecco in che modo Frankenstein è la rappresentazione della congiuntura storica: esso ne incarna non
il contenuto, ma la forma, questa miscela di violenza e di fuga in avanti.
Il mostro dunque, è l’incarnazione di una delle principali metafore del problema politico
contemporaneo e il racconto, nel rapporto tra Victor e la sua creatura, riflette la forma delle più
notevoli azioni politiche dell’epoca. Una forma percepita da un punto di vista ben definito: quello
dell’osservatore britannico con tutte le sue contraddizioni.
Possiamo pensare alla Rivoluzione come ad un Mostro: essa è sanguinosa, uccide e terrorizza, batte
le campagne portando devastazione e rovina. Questa metafora,detta ontologica trasforma un
processo storico, senza inizio né fine, in un oggetto quantificabile e misurabile. Il punto culminante
di questo processo è l’allegoria o la personificazione, dentro le quali il soggetto si anima. Infine,
ogni metafora trova un possibile fondamento nell’esperienza di un soggetto: nel caso di Mary
Shelley, la sua posizione personale permette di esprimere chiaramente ciò di cui il suo ambiente
risente.
Il racconto è dunque una soluzione immaginaria alla contraddizione storica in cui si trovavano mary
Shelley ed il suo ambiente, ed il mostro incarna alcuni dei più importanti elementi di quella
congiuntura. Il rapporto tra testo e storia deve, allora, essere pensato attraverso le modalità della
metafora e della personificazione.
La metafora innanzitutto. Una metafora ontologica.
Il racconto, da questo punto di vista, altro non è che una lunga metafora carat