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FORME DI STATO E DI GOVERNO

Forma di Stato : con questa espressione si intende indicare i complessivi rapporti che vengono

ad intercorrere, in un dato ordinamento, tra chi governa (cd. Stato-apparato) e chi è governato,

inteso quest’ultimo sia come individuo sia in riferimento alle articolazioni sociali che nel loro

insieme concorrono a formare la società civile (si pensi alle associazioni). Così intendendo tale

nozione, ne consegue che le varie forme di Stato affermatesi nel corso dei secoli hanno

diversamente definito e concretizzato questi rapporti in base al riconoscimento o meno dei diritti e

delle libertà per gli individui e per gli enti intermedi (tra di essi e soprattutto nei confronti dei

pubblici poteri), alla affermazione o meno del principio di uguaglianza e alla sua effettiva

realizzazione, alla disciplina dello status di cittadino e alle conseguenze che ne sono state fatte

derivare, nonché alla stessa concezione dell’interesse pubblico e di chi sia chiamato a realizzarlo. Il

definitiva quindi la forma di Stato indica le finalità che lo Stato persegue e i valori a cui si ispira.

Tralasciando le esperienze proprie degli ordinamenti più antichi, storicamente si sono avute le

seguenti forme Stato: L’ordinamento patrimoniale, Lo Stato assoluto, Lo Stato liberale, Crisi

dello Stato liberale, Lo Stato totalitario/autoritario, Lo Stato sociale.

Forma di governo : con questa locuzione si indica il modo con il quale le funzioni fondamentali

dello Stato vengono ripartite tra gli organi costituzionali e i rapporti che si instaurano tra tali organi.

Tale concetto risulta intimamente collegato a quello di forma di Stato. Se quest’ultimo indica le

finalità che l’ordinamento nel suo complesso persegue e i valori cui si ispira, l’espressione forma di

governo indica l’assetto organizzativo mediante il quale siffatte finalità vengono perseguite.

Storicamente si sono susseguite le seguenti forme di governo: La monarchia assoluta, monarchia

costituzionale, La forma di governo parlamentare, La forma di governo presidenziale, Forma di

governo direttoriale, forma di governo totalitaria/autoritaria.

FORME DI STATO

L’ordinamento patrimoniale

L’ordinamento a carattere patrimoniale si afferma nel periodo successivo alla caduta dell’impero

romano. È in questo momento storico che la disgregazione dei precedenti assetti istituzionali e

produttivi comporta il passaggio ad una situazione di forte instabilità politica e ad una economia

prevalentemente, se non esclusivamente, chiusa. In assenza di una autorità in grado di

monopolizzare la forza e di imporsi su tutti i consociati, il potere si articola secondo un modello

fortemente destrutturato e basato su rapporti di tipo privatistico. Il Sovrano, che legittima la sua

autorità sulla forza, è in realtà semplicemente il feudatario maggiore. Questi stabilisce con i grandi

feudatari rapporti personali di fedeltà basati sulla logica dello scambio, per cui in cambio di

determinate prestazioni (soprattutto messa a disposizione di truppe) lo stesso Re assume obblighi

verso di essi e questi, a loro volta, stabiliscono rapporti simili con i feudatari minori. In un tale

contesto i vari titolari dei feudi hanno il diritto e, quel che più conta, la forza di ribellarsi nel caso

gli obblighi reali non siano rispettati, potendo mantenere in tempo di pace eserciti privati. Esistono

inoltre numerose franchigie particolari per città e borghi, le quali sono di fatto svincolate dal potere

sovrano. Perfino l’amministrazione della giustizia risulta frammentata nelle giurisdizioni proprie dei

vari ordini corporativi. Se la situazione appena descritta testimonia un assetto del potere fortemente

destrutturato, va poi considerato il modo di rapportarsi tra chi detiene questo potere e i sudditi.

Sovrano e feudatari dispongono dei rispettivi territori a titolo di proprietà privata, considerando gli

individui che vi risiedono come semplici “cose”, alla completa mercé del proprietario terriero. In

particolare il Monarca non si cura degli interessi generali delle collettività su cui esercita,

direttamente o indirettamente, l’autorità. Egli persegue la semplice finalità della sicurezza del

territorio verso l’esterno o al suo interno, nonché quella di una sua estensione attraverso una politica

di potenza. La mancanza di fini generali e l’esistenza di una organizzazione del potere fortemente

decentrata ed essenzialmente basata su rapporti di natura privatistica inducono a parlare di

“ordinamento” e non di “Stato” patrimoniale. Perché si possa correttamente parlare di Stato occorre,

difatti, che vi sia un ente più complesso, monopolizzatore della forza e avente, anche e soprattutto,

natura politica. Tale natura appartiene agli enti che perseguono fini generali e quindi il bene comune

della collettività.

Lo Stato assoluto

Il passaggio a tale forma di Stato si sviluppa in Europa tra il ‘400 e il ‘500 e può dirsi concluso nei

principali paesi del Continente (Spagna, Inghilterra e Francia) nel ‘600. Caratteristica essenziale

dello Stato assoluto è l’accentramento del potere nella figura del Sovrano, che finisce per esercitare

direttamente o indirettamente, materialmente o formalmente, tutte le funzioni dello Stato, vale a dire

la produzione di norme, l’esecuzione di esse e il dare giustizia (da cui si svilupperà la tradizionale

distinzione tra la funzione legislativa, esecutiva e giurisdizionale). Le cause di tale processo di

accentramento sono molteplici ed in generale riconducibili a fattori politici, culturali, sociali ed

economici. Tra questi una particolare importanza assumono la rinascita dei commerci e le nuove

caratteristiche che assume la guerra. Il commercio per svilupparsi richiede difatti il mantenimento

dell’ordine all’interno del regno e l’eliminazione dei vari dazi e ostacoli che i diversi feudatari

impongono al passaggio dei beni e delle persone. La nascente borghesia commerciale cerca e trova

nella monarchia lo strumento per limitare il potere di una nobiltà, che rappresenta un ostacolo alla

propria egemonia. Se il nuovo vigore degli scambi spinge verso un monopolio della forza nelle

mani del Monarca, allo stesso risultato induce la nuova intensità e la lunga durata delle guerre. Il

tradizionale sistema di reclutamento di truppe, fornite di volta in volta dai vari feudatari, diventa

obsoleto e si rende necessario un esercito stabile alle dirette dipendenze del Sovrano (a cui giura

fedeltà). Quest’ultimo inoltre non si preoccupa esclusivamente di difendere i propri confini,ma

persegue il bene comune della collettività o, per meglio dire, persegue finalità di carattere generale.

Diventa quindi possibile parlare propriamente di “Stato”, come ente politico monopolizzatore della

forza e con finalità di carattere generale. La volontà di perseguire tali finalità spinge lo Stato ad

assumere sempre nuovi compiti e ad intervenire con sempre maggiore intensità, tanto che il

Monarca è indotto ad avvalersi di un complesso di funzionari reali alle sue dipendenze. Presto il Re

non è più in grado di intervenire direttamente su tutte le questioni per le quali si richiede una

pronuncia del potere regio e il nascente apparato burocratico, chiamato a esprimersi in modo

discrezionale (prendendo cioè esso stesso una decisione), tende a strutturarsi secondo un criterio

gerarchico e a dar vita ad una prassi amministrativa. Esercito permanente e

apparato burocratico professionale richiedono inoltre un flusso di entrate costante e sempre più

consistente. Tale necessità non può essere garantita dai tributi occasionali tipici del sistema feudale,

ma richiede l’istituzione di un sistema in grado di reperire costantemente e stabilmente risorse per le

casse statali: il fisco. Infine il carattere privatistico nei rapporti tra governanti e governati perde la

sua centralità (senza scomparire) e si affermano, anche se non sempre in modo pienamente

realizzato, elementi pubblicistici. Innanzi tutto il potere cessa, almeno tendenzialmente, di

appartenere al Re come persona fisica, ma appartiene alla corona, cui si accede in via ereditaria

(non sempre nel periodo feudale ciò accadeva, poiché, al contrario, i sovrani erano spesso elettivi e

il momento della scelta era occasione di guerre tra i contendenti; la successione ereditaria, essendo

disciplinata da regole precise, garantisce ora la continuità del potere e limita il pericolo di crisi alla

morte del Re). Si distingue inoltre il patrimonio della corona da quello personale del Re e,

soprattutto, si afferma (anche se in modo incompleto) la subordinazione di quest’ultimo

all’ordinamento dello Stato, rispetto al quale in precedenza il Monarca si poneva al di sopra . Viene

in questo modo gettato il seme di quello che sarà il principio cardine dello Stato di diritto: la

subordinazione del potere di governo al diritto. Tale principio tende ad affermarsi anche sotto altro

aspetto nel cd. “Stato di polizia” (dal termine greco “polis”, città). Quest’ultimo rappresenta uno

sviluppo dello Stato assoluto, che si afferma alla fine del ‘700 in particolare in Austria e Prussia. In

tale fase si riconosce ai singoli l’esistenza e la tutela giurisdizionale di alcuni diritti. Pur essendo

questi ultimi inerenti esclusivamente al campo fiscale (cd. “atti di gestione”), non vi è dubbio che il

riconoscimento nei confronti dello Stato di posizioni giuridiche direttamente tutelabili da parte dei

singoli innanzi ad un giudice rappresenta una importante anticipazione della futura tutela dei diritti

e delle libertà dell’individuo.

Lo Stato liberale

Lo Stato liberale nasce in Inghilterra alla fine del XVII secolo (con la glorious revolution del 1689)

e si afferma definitivamente con le rivoluzioni americana e francese al punto da divenire la forma di

Stato prevalente per buona parte dell’Ottocento e i primi anni del Novecento. La borghesia, forte

del potere economico acquisito grazie alla rivoluzione industriale e guidata dalle dottrine

razionaliste di matrice illuminista, diventa la classe dominante e dà vita ad un modello statuale in

grado di garantire e proteggere i suoi interessi. La dottrina economica propria di questa classe

sociale, il liberismo (teorizzato soprattutto da Adam Smith esso ha come nucleo fondamentale l’idea

che il mercato, se lasciato funzionare liberamente e quindi senza intromissione da parte dei pubblici

poteri, tende a operare a livelli ottimali e a produrre massimo benessere per tutti), si traduce nella

dottrina politica del liberalismo. Quest’ultima pone al centro l’individuo, al quale viene riconosciuta

una sfera di autonomia e di libertà (soprattutto economica) che lo

Stato non può invadere, ma che de

Dettagli
Publisher
A.A. 2016-2017
15 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/11 Sociologia dei fenomeni politici

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher radis25 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia dei fenomeni politici e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Palermo o del prof D'Amico Giovanni.