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L'art 288 del trattato sul funzionamento dell'UE dice che se le decisioni individuano i destinatari
esse sono obbligatorie. Le decisioni difficilmente possono configurarsi come fonti del diritto, cioè
come atti o fatti produttivi di diritto, a differenza delle direttive e dei regolamenti che sono fonti
fatto.
Gli atti più forti sono i regolamenti che vincolano sia gli Stati che i singoli cittadini.
Sono atti dal contenuto generale e astratto come le norme e godono di diretta applicabilità.
Vi è la maggior lesione della sovranità statale perchè il regolamento appena viene adottato entra in
vigore e vincola cittadini e stati.
Le direttive comunitarie si rivolgono immediatamente agli Stati, non ai singoli cittadini,
individuano gli obiettivi da perseguire lasciando liberi gli Stati di decidere il modo in cui
raggiungerli. Le direttive contengono un obbligo rivolto agli Stati circa il risultato a ottenere e il
termine entro il quale conseguirlo.
Il meccanismo nazionale per dare attuazione alle direttive comunitarie è la legge comunitaria che è
un particolare tipo di legge annuale, cioè ogni anno dovrebbe prendere in esame tutte le direttive e
stabilire a quale livello infra-istituzionale esse debbono trovare ottemperanza.
Si parla di una cecità del diritto europeo perchè all'Europa non interessa chi dia attuazione agli atti e
gli osservi gli obblighi, rispondendone sempre lo Stato come responsabile.
Nel caso in cui la direttiva comunitaria non trovi attuazione, può esserci una procedura con
condanna della Stato ad una multa eventualmente.
Spesso però anche le direttive hanno contenuto definito, concreto.
In tal caso decorso il termine per la loro attuazione esse operano come se fossero dei regolamenti e
si dice che hanno un efficacia self executive (autoapplicaitiva).
Rapporto tra diritto comunitario e diritto nazionale
C'è stata un'evoluzione nella giurisprudenza della nostra corte costituzionale che è arrivata ad un
punto di snodo fondamentale con la sentenza 170 del '84. Questa sentenza fa da spartiacque nella
regolamentazione dei rapporti tra ordinamento interno e ordinamento comunitario. La corte in
questa pronuncia dice che il fondamento dell'applicazione del diritto comunitario è l'art 11 della
costituzione, che ammette limitazioni alla sovranità nazionale a favore di ordinamenti che operino
per garantire la pace tra le nazioni.
Poi la corte chiarisce che l'ordinamento comunitario e quello nazionale sono separati benchè
coordinati. Quindi e fonti del diritto comunitario derivato (direttive, regolamenti..) non operano
come fonti interne, perchè sono fonti di un altro ordinamento separato, ma producono l'effetto della
disapplicazione, in ragione dei trattati istitutivi, del diritto interno.
Quindi l'idea di diritto comunitario non entra nell'ordinamento ma a causa dei trattati impone la
disapplicazione del diritto interno contrastante.
La corte si chiede qual è il limite del diritto comunitario, e ammette che la forza del diritto
comunitario è di rango costituzionale. Il diritto comunitario anche derivato potrebbe avere
l'efficacia di sospendere l'efficacia delle norme della costitiuzione ma non di tutti perchè intangibile
rimarrebbe il limite dei principi fondamentali. Si fa cioè riferimento a quella sorta di super
costituzione rappresentata dai principi di fondo del nostro ordinamento che come tali sono
intangibili di fronte all'introduzione di un diritto comunitario contrastante.
Anche il tribunale costituzionale federale tedesco ha posto questo limite dei valori fondamentali.
Questo limite è comune a tutte le fonti di rango costituzionale, costituisce un limite all'applicazione
diretta del diritto internazionale.