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CAP. 5 IL PERCORSO DEL CAMBIAMENTO
1. Handicap e carriera morale
La maniera in cui una persona disabile definisce la propria condizione tende a mutare nel corso della vita e
può anche accadere che all’aggravarsi della patologia il suo stato d’animo, anziché peggiorare, migliori. Per
mettere a fuoco il variare dell’atteggiamento nei confronti dell’handicap, si utilizzerà qui il concetto di
carriera morale, un percorso-tipo le cui tappe, nella realtà, possono essere più o meno lunghe, separate
nettamente l’una dall’altra o in parte sovrapposte. È possibile che l’itinerario sia percorso nella sua
interezza, ma può anche accadere che ci si fermi, che si salti una tappa o si ritorni a una fase precedente. La
carriera di chi e disabile sin dalla nascita, o dall’infanzia, comporta una fase iniziale in cui si ignora la
disabilità; la fase in cui si scopre di essere diversi e inadeguati; lo stadio in cui si rifiuta la propria
condizione, una tappa che porta all’accettazione; la fase in cui si accetta la disabilità e si è orgogliosi per le
mete raggiunte nonostante l’handicap. La carriera di chi diviene disabile inizia, invece, con la fase in cui egli
prende consapevolezza della disabilità e si rende conto della trasformazione che coinvolge la sua identità e il
suo progetto di vita. Le tappe che seguono sono per certi aspetti simili a quelle individuate per chi è disabile
"da sempre"; la sua esperienza è però diversa perché l’età gli consente reazioni non permesse a un bambino,
e perché può fare un raffronto con la sua condizione di prima.
2. Disabili da sempre
Chi nasce con una disabilità, o diviene disabile nell’infanzia, inizialmente si considera normale e scopre la
sua diversità, in genere, quando esce dalla campana di vetro della famiglia. Acquisisce allora una
consapevolezza che lo rammarica e lo induce al rifiuto; atteggiamenti che, se il cammino procede, possono
poi lasciare il posto all’accettazione della disabilità e all’orgoglio per gli ostacoli superati e gli obiettivi
raggiunti. Le persone disabili "da sempre" nella prima infanzia non sanno di essere tali perché i familiari,
ormai abituati alla loro condizione, comunicano loro un’immagine di normalità. Uscire dal guscio protettivo
della casa induce a considerare inquietante una differenza prima non messa a fuoco. Le parole utilizzate per
indicare ciò che si è scoperto sono: diverso, diversità. Non si soffre per l’handicap, cui si è abituati, ma per il
fatto di non essere come tutti gli altri. Si vive cosi in due realtà: quella della famiglia dove si è normali, e
quella del mondo esterno dove si è diversi. Fuori dal microcosmo domestico ci si sente oggetto di curiosità e
talvolta di premure esagerate. La scoperta della propria diversità é talvolta accidentale, legata a una
contingenza particolare o a una disattenzione altrui. Notiamo in questi casi un processo di
autostigmatizzazione: rendendosi conto di appartenere a una categoria discriminata, gli intervistati applicano
a se stessi l’etichetta negativa. Vedersi insieme a persone che abbiano una caratteristica simile alla propria
può rendere palese un’appartenenza prima non messa a fuoco, può far emergere una nuova isola di
significato, una realtà, cioè, in cui ci si vede associati a persone che si consideravano estranee. La
consapevolezza della differenza e il conseguente rammarico, in questi casi, sono posteriori alla conoscenza
razionale del limite: guardandosi dall’esterno, il soggetto si vede simile ai membri del gruppo in cui é venuto
a trovarsi e capisce di essere, anche lui, una persona non proprio umana. Avviliti dalle immagini riflesse
dagli altri, é possibile che si cerchi di passare per "normali". Quando l’handicap rimane celato, però, ci si
trova in una situazione di precarietà perché il segreto potrebbe essere scoperto in ogni momento. Si studiano
quindi strategie per difenderlo e si vive nel terrore di essere smascherati. Per sottrarsi al giudizio altrui,
alcuni nascondono se stessi isolandosi o restando in disparte. L’immagine negativa riflessa dagli specchi
sociali induce a considerarsi negativi, in tutto e per tutto. L’handicap diviene il centro attorno a cui ruota la
vita: si vedono solo i limiti e le sofferenze, e la disabilità costituisce il leitmotiv che spiega gli insuccessi e
blocca le speranze. Talvolta al rammarico e alla vergogna si aggiunge anche il senso di colpa perché
l’handicap appare meritato: il castigo, ad esempio, per i propri peccati. Col procedere del tempo, si può
imparare a convivere con la propria diversità. I giudizi negativi vengono neutralizzati definendoli frutto di
ignoranza o di stupidità. Nel cammino che porta a ridimensionare il proprio handicap hanno grande rilievo le
definizioni degli altri significativi. Importanti sono gli specchi che riflettono l’immagine favorevole. Quando
si giunge ad accettarsi, ci si vede, come nella fase iniziale della carriera, simili agli altri; si tratta però di una
consapevolezza cha, a differenza di quella dell’infanzia, deve neutralizzare i pregiudizi di cui si é venuti a
conoscenza. Ci si considera, quindi, persone normali che, come capita a tutte le persone normali, hanno delle
difficoltà, dei problemi che si possono affrontare e talvolta anche correggere.
3. Divenire disabili
Quando l’handicap é acquisito negli anni che seguono l’infanzia, può subentrare all’inizio una fase di grave
depressione. Se ciò non accade, o se comunque la fase del rifiuto viene superata, comincia anche in questo
caso un cammino che può portare all’accettazione della disabilità e all’orgoglio per le mete raggiunte.
Coloro che hanno acquisito un handicap dopo l’infanzia, in genere, assumono consapevolezza della loro
condizione in seguito a una diagnosi. La scoperta della patologia funge da spartiacque. Divide la vita in un
prima e un dopo e manda in frantumi la routine quotidiana. Se la situazione non é subito chiara e la diagnosi
non esprime certezze, la consapevolezza di essere diventati disabili si acquisisce gradualmente. Talvolta si
preferisce "proteggere" il paziente mantenendo un contesto di consapevolezza chiusa, nascondendogli, cioé,
le sue reali condizioni. Può instaurarsi, in questi casi, una consapevolezza di sospetto in cui egli cerca di
scoprire la verità. Anche nel caso di una disabilità acquisita, trovarsi insieme ai propri pari può far scattare
un’identificazione che prima non c’era. Il corpo é un elemento fondamentale per l’immagine di sé, fa parte
del self materiale. Dopo l’incidente e/o la diagnosi, i progetti si infrangono, la routine si spezza, la vita
cambia e ci si ritrova privi di punti di riferimento. Ma si può anche reagire definendosi fortunati. Avere già
percorso un tratto di vita consente di fare valutazioni che al bambino non sono possibili. Induce a
considerare la disabilità una sventura immeritata e favorisce l’instaurarsi di una situazione di lutto in cui ci si
concentra sulla perdita di ciò che si era prima e sullo svanire del futuro sognato. La vita si spezza in due: un
prima, di cui si ricordano soltanto positività e speranze, e un adesso di cui si vedono solo gli aspetti negativi.
La vita dei bambini e in gran parte gestita dai genitori, le loro possibilità di reazione sono quindi limitate.
Una volta superata l’infanzia, invece, si gode di maggiore autonomia e si può reagire alle difficoltà anche in
maniera che al bambino non sarebbero consentite. Alcuni intervistati che hanno acquisito la loro disabilità
nell’adolescenza riferiscono di essersi chiusi nell’isolamento. La sofferenza per i disturbi fisici é potenziata
dalla consapevolezza di essere stigmatizzati. Quando si chiedono le ragioni della sua scelta a chi ha preferito
isolarsi, si ottengono risposte che mettono in luce il rilievo del discredito sociale. In alcune storie di vita non
emerge una fase iniziale di grave depressione e rifiuto. Si tratta di casi in cui ci si é resi conto
dell’irreversibilità dell’handicap solo con il passare del tempo, in cui vi é stata la presenza di persone care e
l’aiuto di altri che aiutavano a mantenere, o a riallacciare, i contatti con la vita "normale". Quando si é
disabili "da sempre" si aspira a essere come tutti gli altri, se la disabilità é acquisita dopo l’infanzia si
avverte, invece, il desiderio di riavere ciò che si é perduto: si vuole tornare come prima. Appena in grado di
farlo, diversi intervistati hanno cercato di rendersi per quanto possibile indipendenti. In alcune storie di vita
il desiderio di cambiare sembra comparire improvvisamente. Vi è una svolta un evento che destabilizza la
routine e funge da spartiacque. Se la carriera procede, si può giungere a una fase in cui la disabilità non é più
il problema che condiziona la vita, ma uno dei problemi che si affrontano quotidianamente, con cui si riesce
a convivere. Il fatto di aver raggiunto questo equilibrio dopo aver superato difficili prove rafforza la stima
che la persona disabile ha di se stessa.
4. Le dinamiche del cambiamento
Ci sono storie di caos, in cui ci si é fermati allo stadio del rifiuto e non si scorgono vie di uscita; storie di
restituzione, nelle quali ci si adopera per tornare come prima; e storie di ricerca in cui l’handicap fa scoprire
nuovi modi di essere. Nelle storie di vita di chi ha acquisito una disabilità dopo l’infanzia, le due ultime
forme spesso si fondono: si cerca di tornare per quanto possibile come prima e, nello stesso tempo, si
esplorano nuovi percorsi. Quando si chiede agli intervistati come siano riusciti a reagire alla depressione,
quale sia stata la molla che li ha spinti a cambiare, le loro risposte fanno in genere riferimento alla volontà e
alla determinazione al fatto di aver capito che dovevano cambiare. Non si mette in luce, però, cosa abbia
fornito carburante alla ragione e alla volontà. Che cosa, nel dialogo interiore, abbia dato all’io creativo la
forza di opporsi al me che invitava alla passività. Non si chiarisce come si sia capito, proprio in quella fase
della vita, che si era in grado di cambiare, né cosa abbia dato sostegno e/o direzione a una volontà
precedentemente debole o orientata diversamente. Il cammino del cambiamento comporta una
trasformazione delle definizioni e una neutralizzazione dello stigma che presuppongono l’impiego di nuovi
termini e il ricorso a nuove metafore. Le definizioni nascono e si modificano nell’interazione con gli altri; se
cambiano gli altri signifi