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Comportamento della grandezza a velocità relativistiche
Per capire come si comporta questa grandezza a velocità relativistiche, riesaminiamoci ciò che abbiamo visto nei paragrafi precedenti: un corpo non potrà mai raggiungere o superare, qualunque sia la forza che lo spinge, la velocità della luce. In altre parole, mano a mano che la velocità del corpo aumenta, l'accelerazione diminuisce; ciò accade, ad esempio, per gli elettroni lanciati in un campo elettrico di intensità "E" costante. Pur essendo sottoposti a una forza F = qE costante, essi accelerano sempre meno mano a mano che la velocità aumenta. Questo fatto, anomalo per la meccanica classica, lo possiamo immaginare come l'inerzia del corpo che aumenta all'aumentare della velocità, cioè che per velocità prossime a quelle della luce, la massa (intesa come inerzia del corpo) non è più costante, ma aumenta con la velocità. Einstein dimostrò che vale la
m = 0m2(16)v-1c
in cui mo è la massa a riposo, cioè la massa del corpo in quiete, "v" è la velocità del corpo e "c" quella della luce.
Dalla (16) si vede ancora una volta che la velocità c è una velocità limite verso la quale possono tendere le velocità dei corpi senza raggiungerla, né tanto meno superarla.
In quest'ultima circostanza, infatti, il radicando della (1) sarebbe negativo e quindi la radice quadrata non esisterebbe nel campo reale.
In figura 9 è rappresentato il grafico della massa al variare della velocità: in ascisse è riportata la velocità ed in ordinate la massa.
Si nota che quando v = 0, m = m al crescere di v cresce la massa, fino a diventare infinita quando v = c.
Questo fatto è molto importante. Se la velocità del corpo è prossima a quella della luce, a una piccola variazione di
Relazione per di un corpo inmoto che tenga conto degli effetti relativistici sulla massa all'aumentare dellavelocità. Esperimenti molto recenti mostrano che la fisica classica è assolutamente inadeguata per spiegare il comportamento di particelle con velocità prossime a quelle della luce. Gli elettroni possono essere accelerati nel vuoto, per mezzo di una grande differenza di potenziale V. Poiché noi conosciamo la carica dell'elettrone "e" e la sua massa a riposo "m" è possibile confrontare il valore dell'energia fornita e V, con l'energia cinetica espressa secondo la meccanica classica. Se le velocità degli elettroni m v0^2 sono piccole, dagli esperimenti si ottiene che: 1/2 = eV / (m v0^2 / 8) Le (17) sono le espressioni classiche di quando la velocità è piccola rispetto a quella della luce. Nell'acceleratore per elettroni usato dall'Università di Harvard e dal
Massachussetts Institute of Technology (M.I.T.) gli elettroni vengono accelerati fino a energie corrispondenti a una differenza di potenziale di 96 * 10 volt; a tale potenziale l'energia raggiunta dagli elettroni è molto grande e la velocità raggiunta è di 0,999999996c: a questa velocità la massa relativistica m, come si vede dalla tab.1, è più di 10000 volte superiore alla massa a riposo m (questo dato è stato verificato sperimentalmente).
Questo aumento della massa in funzione della velocità determina un aumento dell'energia cinetica E. Più precisamente, la differenza tra la massa m dell'oggetto e la sua massa a riposo m è proporzionale all'aumento di E rispetto al valore che si otterrebbe utilizzando le relazioni della meccanica classica.
Δm = ΔEc
Questa relazione si è soliti scriverla Δm = E / c
Alla stessa maniera si potrebbe dire che
La quantità di energia cinetica che è necessario fornire alla particella per avere un aumento misurabile della massa è veramente molto grande. Einstein dimostrò che la costante di proporzionalità fra la massa e l'energia cinetica vale E = mc^2, dove c è la velocità della luce nel vuoto, quindi: E = mc^2 (1)