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E F
B B’
Prima del trasferimento la retta di bilancio di CITY è AB. Date le preferenze
espresse dalle curve di indifferenza, la combinazione scelta è il punto E.
introduciamo ora un trasferimento generale, senza condizioni per il suo utilizzo.
Esso non modifica in alcun modo la convenienza fra le varie spese e sosta dunque
la retta di bilancio verso l’alto a destra in A’B’. la dimensione del trasferimento
può essere letta in termini di spesa per F, e sarà BB’, oppure in termini di spesa
per V e sarà allora AA’. Il nuovo punto di equilibrio è rappresentato dal punto E’.
Quello che si può dire è che se questa combinazione è variata, ciò non è dovuto a
un effetto prezzo, dato che, come si diceva, i costi relativi non sono variati, ma
piuttosto un effetto reddito, cioè al fatto che le risorse a disposizione sono
aumentate.
b) Gli effetti dei trasferimenti specifici
V
A E’
E B B’ F
Consideriamo il caso classico di un trasferimento a co-finanziamento, cioè
concesso in percentuale della spesa sostenuta dal beneficiario e senza limite
massimo. Prima del trasferimento, il consueto punto di equilibrio è E.
introduciamo ora un trasferimento per la funzione di spesa F, calcolato in modo
da aggiungere a ogni euro speso da CITY un altro euro. La curva di bilancio si
sposta ruotando attorno ad A e dimezzando la propria inclinazione. Essa diventa
AB’, e il punto di equilibrio E’.
c) Gli effetti di un trasferimento specifico ad ammontare massimo prefissato
V
A C E’
E F
B B’
Consideriamo ora il caso di un trasferimento, sempre specifico, ma con
ammontare massimo prefissato. L’ente erogatore continua a concedere un euro
per ogni euro speso da CITY per F, ma con limite massimo, oltrepassato il quale il
trasferimento non aumenta più. La nuova retta di bilancio diventa spezzata ACB’.
Per il tratto AC funziona il trasferimento come nel caso precedente e la nuova
linea di bilancio ha inclinazione dimezzata. A partire da C, il trasferimento non
aumenta più. Se CITY vuole aumentare ancora la spesa per F, deve sacrificare
quella per V.
d) Effetto di un trasferimento specifico in somma fissa
V
A E’
E B’ F
B
Un quarto ed ultimo caso. Forse il più frequente nell’esperienza italiana, è quello
in cui l’ente erogatore si limita a concedere una certa somma a CITY, ponendo
però la condizione che essa sia interamente spesa per F. in questo caso l’ente
erogatore ha disposta la concessione della somma AI a favore della CITY da
spendere solo per F. CITY può quindi distribuire le sue risorse esattamente come
prima, con la differenza che ora può spendere in più rispetto a AI per F. la retta di
bilancio si sposta dunque da A in parallelo alla precedente fino a I. CITY non può
dunque espandere la sua spesa per V oltre A. il punto di equilibrio E’ corrisponde
a una spesa per F maggiore rispetto a prima del trasferimento.
Parliamo ora dei modelli dei trasferimenti perequativi che sono quattro:
Spesa storica
Performance
Capacità
Potenziale
Per capire questi modelli dobbiamo far riferimento alla responsabilità dell’ente locale
nell’impiego efficiente delle risorse e nell’uso della propria autonomia fiscale. Prima di
iniziare abbiamo bisogno di stabilire delle ipotesi. Prendiamo in considerazione diversi
enti locali, con popolazione omogenea, una sola imposta proporzionale e diversa base
imponibile; inoltre ente ha la libertà di determinare l’aliquota dell’imposta e il livello di
spesa pubblica. Infine consideriamo tutte queste grandezze (base imponibile, imposte,
spesa pubblica) in termini pro-capite.
Le variabili prese in considerazione sono:
Aliquota dell’imposta locale
t Base imponibile
b Gettito dell’imposta locale
T = t b
i i i Spesa effettiva locale
G i Trasferimento del governo
TR
i Risorse complessive del governo locale
A = T + TR
i i i
SPESA STORICA
la spesa storica è un criterio per l'assegnazione delle risorse dallo stato centrale alle
regioni in base al quale chi ha speso storicamente di più per erogare servizi, dovrà
ricevere l'equivalente per far fronte a tali costi. Questo criterio è naturalmente poco
ortodosso e molto utile per le amministrazioni poco virtuose che sperperano soldi a
proprio piacimento. Es una regione ha speso storicamente 100 per il trasporto pubblico
dovrà ricevere 100. mentre una regione virtuosa ne spende 60, che è poi il costo oggettivo
del servizio, riceverà 60. Si capisce che altri 40 di surplus che chiede la regione poco
virtuosa sono frutto di una cattiva amministrazione.
TR = G - t
i i i
A = t + TR =G
i i i
PERFORMANCE
L’idea è di commisurare i trasferimenti al fabbisogno degli enti locali e non alla spesa
effettiva. Tutto ciò implica la definizione di un fabbisogno standard (A*).questo modello
consente di misurare oggettivamente il costo di un servizio tenendo conto delle varie
situazioni regionali. TR = A* - t
i
A = t + TR = A*
i
CAPACITA’
Il modello della capacità affronta la causa di irresponsabilità lasciata aperta dal modello
della performance. Il trasferimento è pari alla differenza tra spesa e gettito standard
(aliquota standard * base imponibile effettiva). L’aliquota standard (t*) invece è
determinata dal governo centrale e spesso si avvicina molto all’aliquota media.
TR = A* - t*B = t*(B* - B )
i i i
A = t + TR = t B + A* - t B = A* + (t – t*)B
i I i i i i i i i
Nel modello canadese invece la perequazione viene operata non sul versante della spesa,
ma su quello delle entrate; il concetto rilevante è la capacità fiscale. Poiché A* = t*B* i
risultati non sono diversi dal modello già esaminato, la differenza consiste nelle diverse
informazioni necessarie al governo centrale per implementarlo. Il trasferimento è pari a
t*B* e la capacità fiscale t*B A* = t*B*
TR = A* - t*B = t*(B* - B )
I I i
A = T + TR = t*B* + (t +T*)B
i i i i i
Questo modello è molto efficace perché la perequazione delle entrate viene effettuata a
livelli standard, calcolato in base a parametri, e non vi è alcun incentivo alla riduzione
dello sforzo fiscale proprio.
g) L’ordinamento del governo locale in Italia
Sotto il profilo dell’articolazione territoriale del governo, l’Italia si configura come un sistema di
tipo regionale. Esistono tre livelli di governo sub-nazionale:
1. Stato
2. Regione
15 regioni a statuto ordinario
5 regioni a statuto speciale
3. Province (114)
4. Comuni (8.101)
Le regioni hanno una storia assai più sofferta. Vi fu un dibattito molto vivo all’indomani dell’unità
d’Italia sul modello di stato da adottare. Si fronteggiavano due schieramenti: uno autonomista
favorevole, se non all’introduzione di un vero e proprio sistema federale, quanto meno alla
creazione di governi regionali ed uno schieramento risolutamente centralistico. Preoccupati dei
fortissimi divari esistenti fra le regioni e soprattutto della possibilità di una rapida frantumazione
del nuovo stato appena creato, vinse lo schieramento centralistico. La prima legge
sull’ordinamento locale dopo l’unificazione, votata il 20 marzo 1865, sancì così la scelta di un
modello accentrato in cui gli enti locali, province e comuni, erano sottoposti ad un rigido controllo
da parte dell’amministrazione centrale attraverso le sue diramazioni nelle province rappresentate
dai prefetti. Quest’ultimi, oltre ad essere presidenti degli esecutivi delle province, controllavano la
legittimità delle deliberazioni comunali e potevano anche sospendere i sindaci, che erano di
nomina regia. Essi svolgevano anche funzioni statali, oltre quelle di fornitura di servizi
propriamente locali. È del 1903 la prima legge sulla municipalizzazione dei pubblici servizi che
permette ai comuni di ampliare considerevolmente la propria sfera di attività attraverso la
creazione di aziende speciali. Il crescente attivismo degli enti locali innescò però una reazione da
parte dello stato che cercò di ridurre l’autonomia conquistata “sul campo” con interventi
legislativi che intensificavano i controlli di vario tipo. Il periodo fascista vede il completamento di
questo processo di ricentralizzazione con l’abolizione dell’elettività delle cariche locali nel 1926, e
con l’istituzione dei podestà di nomina regia al posto dei sindaci e con la trasformazione dei
segretari comunali da impiegati comunali in impiegati statali. La costituzione repubblicana del
1948 ha cercato di capovolgere l’ordinamento centralistico, che era ulteriormente accentuato
dalla dittatura fascista. Tra i principi fondamentali della repubblica venne riconosciuto quello
dell’autonomia ponendo le premesse per una profonda revisione della tradizione centralistica
dello stato italiano. La costituzione prevedeva l’introduzione delle regioni nell’ordinamento
italiano, ma è stato necessario attendere ancora fino al 1970 per assistere alla creazione delle
regioni ordinarie. Solo quattro regioni a statuto speciale furono create tra il 1945 ed il 1948, ed ad
esse si aggiunge, nel 1963, il Friuli Venezia Giulia. Lo stato italiano si è dunque caratterizzato, per
buona parte della sua storia, come un ordinamento molto centralizzato, dove il governo centrale
ha prevalso nettamente in termini di poteri e di risorse sui governi locali, cioè su comuni e
province. Si tratta di un retaggio culturale e politico amministrativo che incide ancora in maniera
negativa sulle prospettive dei processi di decentralizzazione nel nostro paese. Questi hanno però
avuto una forte ripresa a partire dai primi anni ’90 con una serie di importanti riforme:
La legge 8 giugno 1990, n.142 “ordinamento delle autonomie locali”
Ha regolato in modo completo l’organizzazione, i poteri e le funzioni dei comuni e delle
province. È stata anche prevista la creazione di un nuovo ente di goveno delle grandi aree
urbane, le città metropolitane
La legge 25 marzo 1993, n.81 “elezione diretta del sindaco, della provincia, del consiglio
comunale e del consiglio provinciale”
Ha modificato la forma di governo dei due enti, con elezione diretta dei sindaci e presidenti
di provincia per un periodo di quattro anni e introdotto un sistema elettorale di tipo
maggioritario. Le successiva legge n.12o del 1999 ha promulgato il mandato del sindaco a
cinque anni.
La legge 15 marzo 1997, n.59 “dele