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Per noi c'è qualcosa che non c'è
In ciò, noi abbiamo abbandonato l'esperienza puramente percettiva: non vediamo solo una profondità apparente, figure su uno sfondo, ma vediamo una narrazione, un ora dell'immagine e un qui di essa. Così, noi vediamo qualcosa, a cui eventualmente può accadere o può fare qualcosa; evidentemente, qui stiamo immaginando. E però, questa immaginazione sembra continua rispetto al vedere: noi vediamo la costruzione immaginativa, senza per questo esperirla come reale. Infatti, non possiamo mai confrontare un qualcosa di immaginativo con la realtà, ad esempio collocando nel tempo reale un racconto di fantasia. Eppure, il racconto ha il suo tempo e il suo spazio, similmente a come la raffigurazione ha un qui e ora. Vi è però una differenza importante: l'immagine viene vista realmente, ossia noi vediamo nell'ora dell'immagine, e non dobbiamo immaginarlo.
come facciamo per un racconto. Lo spazio dell'immagine e lo spazio reale sono sempre distinti percettivamente. Però, l'immaginazione è fondamento del nostro vedere nell'ora dell'immagine; quest'ultima è dunque un sostrato o veicolo che suggerisce l'immaginare. Ad esempio, entrare in un bosco la sera suggerisce l'immaginare, e l'immaginare in un certo modo. L'immagine è un veicolo adatto a immaginare, perché è slegata dal nostro tempo obiettivo, e costituisce una profondità debole distinta dal mondo. La conclusione di questo discorso sembrerebbe affermare che le immagini suggeriscono all'immaginazione, che si attende il movimento. Tali attese riguardanti il movimento sono però sempre deluse. Le immagini creano senza dubbio delle attese riguardo al movimento, ma altrettanto indubbiamente le negano. La percezione crea il racconto, la narrazione, ma è la percezione stessa chelo delude. Le immagini contengono una narrazione congelata; ma allora in che senso possiamo chiamarla narrazione? Qui abbiamo fatto un salto: non stiamo più parlando di immagini, ma di raffigurazioni. L'immaginazione è legittimata a immaginare la narrazione dalla convinzione che vi sia stata l'intenzione di comunicarci proprio quella narrazione; ma le immagini fatte intenzionalmente sono raffigurazioni. Per vedere il movimento, esso per me dev'essere ciò che l'autore voleva che io vedessi. Perché l'immagine costituisca un suo ora, per noi essa deve essere fatta per comunicarci ciò che ci comunica, e nel farlo essa costituisce l'ora. Le immagini sono usate per comunicare, per narrare, e solo in questo modo possono sorreggere la nostra immaginazione. Ma l'immagine potrebbe essere frutto di un casuale accadimento, e noi non la potremmo distinguere dalla raffigurazione. Però, finché non scopriamo la sua vera origine,Per noi essa è in primo luogo una raffigurazione, ossia qualcosa di fatto secondo un'intenzione. Ciò che rende una certa immagine una raffigurazione è il nostro atteggiamento rispetto ad essa, per cui crediamo che sia frutto di intenzione.
C'è un'interessante connessione tra la dimensione immaginativa e la dimensione figurativa. Mettendo vicino una raffigurazione e un oggetto immaginativo sembra che ci siano caratteristiche, proprietà ricorrenti tra le due cose. Quando parliamo di oggetti immaginativi, infatti (oggetti che compaiono in un racconto, in un gioco di finzione ecc.), ci imbattiamo in delle proprietà caratteristiche:
- non è facile indicare il posto che gli oggetti immaginativi occupano nel tempo obiettivo, non sappiamo dire in quale luogo del tempo obiettivo si trovi, per esempio, Pinocchio. Quell'evento non ci sembra raffrontabile con altri eventi che dovrebbero essergli contemporanei/antecedenti/precedenti.
Quest’impossibilità di collocare gli oggetti immaginativi nel tempo ha il suo equivalente nella raffigurazione. Possiamo guardare un quadro, ad esempio Napoleone di David. Sappiamo dire dove si colloca il soggetto del quadro, ma la scena figurativa che vedo quand’è? Si potrebbe dire ora siccome la sto vedendo in questo momento, ma la raffigurazione è sempre ora, quando la vedo è qui davanti a me, e questo rapporto sembra essere un rapporto di presenzialità non traducibile in un punto di tempo obiettivo;- gli oggetti delle favole, del gioco, dell’immaginazione, sono qualcosa su cui possiamo convergere collettivamente, parlarne insieme, raccontare insieme una storia su di essi. Ci troveremmo ad avere una co-referenza, un certo modo di riferirci collettivamente a una certa entità che però ha il difetto di non esserci. Leggere un racconto significa condividere una serie di atteggiamenti e riferimenti all’interno della
Nella narrazione stessa, gli oggetti immaginativi e figurativi non sono indipendenti dalla narrazione. Il quadro raffigura ciò che raffigura, anche se è stato realizzato il ritratto di una persona non significa che il pittore abbia voluto rendere visibile la persona che ha ritratto. Ciò che importa è che nella raffigurazione diviene presente per noi qualcosa che non è raffrontabile ad altro, che non può essere paragonato ad altro.
Le raffigurazioni spesso sono impiegate in modo narrativo, servono perché ci consentono di vedere ciò che ci interessa ricreare di fronte ai nostri occhi. Molte immagini consentono ciò che ci consente di fare un racconto: ci fanno vedere qualcosa.
C'è una tesi problematica secondo cui le raffigurazioni sarebbero un prodotto immaginativo, ma ogni raffigurazione è innanzitutto un oggetto visivo, ogni immagine è un oggetto puramente visivo, quando c'è un'immagine non
c'è bisogno di immaginare nulla. Quando guardo un'immagine, sembra che io non possa far valere nessuna considerazione proposta quando abbiamo discusso del carattere dinamico della presenza. Qualunque gestualità per noi parla chiaro, è una gestualità congelata, perché il quadro fissa la scena in modo tale che a ogni nuovo ora si ripete sempre la stessa immagine, la stessa scena. È come se attendissimo la fine del gesto, ma ciò non accadrà mai. Per superare questo aspetto bisogna tenere conto del fatto che le attese contenute in un'immagine devono essere in qualche modo giustificate: dobbiamo pensare non solo all'immagine, ma al fatto che sono anche raffigurazioni, oggetti artefatti e prodotti intenzionalmente, parte di un rapporto comunicativo. Se pensiamo che l'immagine che abbiamo di fronte non è solo un oggetto visivo, che c'è semplicemente a causa di regole della percezione, ma cheè anche un artefatto costruito apposta in un certo rapporto comunicativo, allora siamo invitati a prendere suggestioni e attese che il quadro riversa come volontà espressiva: qualcuno ha fatto quell’immagine per dirci qualcosa, rivolgerci una richiesta, invitarci a un racconto, minimale o complesso, ma sempre una narrazione. Le immagini sollecitano delle attese, e queste attese sono il fondamento di una narrazione che l’osservatore stesso può fare. Il quadro entra in una prassi immaginativa, che è la prassi della ricezione, ma la ricezione c’è quando guardiamo una raffigurazione su due livelli:
- vediamo un’immagine e l’accogliamo per quello che è;
- diventa un processo dialogico quando accanto all’immagine percepiamo la raffigurazione.
Entriamo in una ricezione che è anche un tentativo di vedere alla luce della comprensione delle ragioni che hanno spinto qualcuno a dipingere come ha dipinto.
Giuditta e Oloferne
È un perfetto esempio di pittura narrativa. Guardiamol'immagine e capiamo che le attese che essa suscita sono imbastite nella narrazione che Caravaggio voleva imbastire. A Caravaggio interessava far vedere il momento del morire. Vainteso in una narrazione, che è qualcosa che nel quadro non c'è, ma che dobbiamo immaginare. Il quadro ci legittima a immaginare conformemente alle intenzioni che ci sembra di dover attribuire al pittore implicito nel quadro, alle intenzioni che sembrano animare il racconto del quadro. Vediamo le intenzioni del pittore nel quadro perché vediamo le intenzioni delle persone. Quali sono le ragioni per cui in certi casi si fa visibile un'intenzione? Qui vediamo che Giuditta è da un lato disgustata, dall'altro goffa. Caravaggio dipinge male il braccio che tiene la spada, e ciò indica un fastidio nel fare un'azione che non le spetta, indica che Giuditta non sa tenere la spada.
Siamo invitati a proporre una narrazione che sembra sostenuta dalle immagini. La narrazione pittorica si fonda sulla scena percettiva ma ha bisogno di animare la scena percettiva in un modo particolare, maicontenuto effettivamente nella raffigurazione. È possibile che le attese vengano anche deluse. Il centro del quadro di Caravaggio è il drappeggio rosso sul retro, che richiama il sangue che sgorga dalla gola di Oloferne e fa convergere l'attenzione lì. La pittura non accade nel tempo, è ferma nell'istante. La poesia, per Lessing, deve narrare, mentre la pittura deve descrivere. La poesia deve raccontare nel tempo, il suo ideale è la bellezza temporalmente distesa, è arte del tempo, mentre la pittura è arte dello spazio.
Masaccio - Pagamento del Tributo, Cappella Brancacci (1424-8) Nella Cappella Brancacci c'è un affresco che per Lessing rappresenta l'errore a cui la pittura può giungere quando si
proponedi raggiungere risultati che non le spettano. Masaccio deve raccontare la storia di San Pietro eutilizza l'artificio di farlo comparire tre volte nella scena. Ciò per Lessing dimostra che la pitturanon può narrare se non distruggendosi. Ci sono per Lessing momenti che suggeriscono l'attesaal massimo grado, quando ancora è potenzialmente ciò che accadrà (scene feconde). Lessing però èriduttivo perché ritiene che l'unico modo per narrare qualcosa sia quello in cui una certa scenapropone un'istanza percettiva che suscita attese e che queste attese sono quelle su cui poggia lanarrazione stessa. In realtà è pieno di forme di narrazione in cui l'immagine è in qualche modopercepita, narrata, senza che passi per questa modalità univoca di narratività. Leggere un quadrovuol dire obbedire a quegli ordini, giocare al gioco che l'immagine suggerisce, mentre leggereunfumetto vuol dire obbedire ad altri ordini. In certi casi la regola è percettiva, in altri è intuitiva, in altri è caratterizzata dalla creatività.