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III).

NOTA CONCLUSIVA ALLA SEZIONE I: la tradizione greca e scolastica intende il

pensiero come automanifestatività dell essere: l essere si manifesta, e il suo essere

manifesto costituisce il contenuto di ogni evidenza. Il pensiero si offre in modalità

discontinua, ossia come ragione. Questa capacità di pensiero discontinua e incompleta

non è altro che ciò che noi tutti noi chiamiamo uomo . Infatti, un punto di vista

discontinuo e incompleto sull essere in quanto tale è esattamente quell apertura

prospettica sull infinito che non può essere diversamente identificata, se non come

uomo .

LA RAGIONE, DUNQUE, E L UOMO IN QUANTO CAPACE DI PENSARE.

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AGOSTINO: nel II Libro del dialogo De libero arbitrio (Tagaste, 391 d.C.), Agostino

sostiene che, nonostante ogni uomo abbia dei sensi e una ragione che gli appartengono

in esclusiva, tutti posso vedere lo stesso sole e ragionare sugli stessi problemi. Esiste

allora, per forza di cosa, qualcosa che tutti coloro che pensano sono in grado di

vedere e che non può, di conseguenza, essere trasformato. Per spiegare questo

fatto con un esempio, Agostino ricorre alle regole de numeri; esse, essendo libere dalla

soggettività dei sensi, fanno parte di quelle realtà che sono comunemente e quasi

pubblicamente presenti a coloro che pensa e sono per loro mentalmente visibili . Si può

parlare di una sapienza unica, cui tutte le intelligenze attingono; tra le cose che io

riconosco come vere, ce ne sono alcune che riconosci vere anche tu. E a queste cose ,

dice Agostino, non appartengono solamente le verità matematiche, ma anche alcune

affermazioni come tutti desiderano essere felici o le realtà inferiori sono da

subordinare alle superiori o ancora l incorruttibile è migliore del corruttibile . Queste

verità sono regulae et lumina per la sapienza dei singoli e valgono in modo immutabile

e universale per tutte le menti di coloro che sono in grado di intuirle. Tuttavia, per

Agostino, la mente trova con la massima sicurezza qualcosa che non dipende da lei

nelle verità riguardanti i numeri.

Qualcosa di terzo: circa l oggettività del vero Agostino scrive: la verità immutabile non

è né tua né mia né di nessun uomo: essa è invece al cospetto di tutti e si offre

universalmente a tutti coloro che intuiscono le cose immutabilmente come luce insieme

segreta e pubblica . Agostino indica la presenza della verità alla mente che la cerca

tramite due espressioni: praesto esse e se praebere. La prima sottolinea l esser-già-lì,

il precedere. La seconda indica l offrirsi, ovvero il manifestarsi da sé. La verità viene

intesa come qualcosa di terzo rispetto alle menti degli uomini che dialogano per

cercare la verità. Infatti, se così non fosse non ci sarebbe per loro la possibilità di

confrontarsi con un orizzonte di riferimento che superi i punti di vista soggettivi e

magari contrapposti. Se poi la verità fosse qualcosa di inferiore, nel senso di

passivamente disponibile per la nostra mente, questa allora non giudicherebbe

secundum illam (secondo lei) ma piuttosto giudicherebbe de illa (di lei). In particolare,

noi giudichiamo secondo le regole interiori della verità che nessuno può realmente

giudicare senza già supporlo.

Inoltre, se la verità fosse sullo stesso livello delle nostre menti, sarebbe diveniente come

esse. Invece, essa non è mutevole e consente di vedere a chi ad essa si rivolge. Per

Agostino è impossibile perdere la verità senza volerlo; essa non si sottrae mai a chi la

cerca e accoglie tutti coloro che la amano. Nessuna situazione spazio-temporale è in

grado di sottrarci a lei, poiché anche se arrivassimo in ritardo la troveremmo sempre li

ad aspettarci.

In conclusione, la verità è superiore alla mente. Noi possiamo tradirla, ma lei non

tradisce noi. Tale sicurezza rende l uomo libero: l anima infatti può fruire di qualcosa

con libertà, solo se ne fruisce con sicurezza . Per l uomo, stare sottomesso alla verità, è

condizione per essere felice.

Ragione e verità nel De vera religione: in un trattato di poco precedente il De libero

arbitrio, Agostino sostiene che la verità abita nel profondo dell uomo. La verità non

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giunge a se stessa con il ragionamento, ma essa è quel che ricercano gli uomini che

ragionano. Essa non cerca se stessa, ma noi giungiamo a lei con la ricerca, non

attraverso lo spazio, ma con la passione della ragione, perché noi ci conformiamo con il

nostro ospite interno, in una gioia non bassa e carnale, ma suprema e spirituale . La

ragione si distingue dalla verità in quanto la ricerca, la desidera, come ciò con cui si

deve conformare. La ragione è capace della verità (che è il suo ospite interiore) ma

deve disporsi rispetto ad essa per poterla riconoscere adeguatamente.

Approfondimento sull affettività della ratio: sempre del De vera religione Agostino

scrive che lo sguardo della mente palpita per contemplare la verità . Lo sguardo è

illuminato dalla luce della verità, ma può anche sfuggirla. Esso di trova, rispetto a questa

luce, come in cammino: quella del cammino dello sguardo è, del resto, una delle

metafore predilette da Agostino. La meta di questo cammino è qualcosa di non

precario, ma di fruibile con sicurezza, in quanto non può essere tolto alla ragione; e

proprio per questo, è fruibile in libertà.

Il tema del dubbio: sempre del De vera religione Agostino osserva: se non sedei ciò

che dico e dubiti che sia vero, guarda almeno se non dubiti di dubitare di ciò, e, se sei

certo di dubitare, cerca la ragione di questa certezza: in questo caso non ti si

presenterà certo la luce di questo sole, ma la luce vera, che illumina ogni uomo che

viene in questo mondo. Formula così questa regola che vedi: chiunque comprende di

essere in dubbio, comprende il vero, ed è certo di questa cosa che comprende; dunque

è certo del vero. Chi dubita, quindi, se vi sia la verità, ha in se stesso l vero per cui non

deve dubitare; ma non vi è vero che non sia vero se non per la verità. E necessario,

dunque, che non dubiti della verità chi ha potuto dubitare per qualche motivo. Tutto ciò

che si vela là dove è la luce, senza spazio di luogo o di tempo, e senza alcuna

rappresentazione di quegli spazi. Forse che queste verità possono corrompersi in

qualche parte, anche se perisce ogni uomo che ragiona, o invecchia in mezzo agli

essere carnali inferiori? ma non è il ragionamento che le fa; esso le scopre soltanto.

Perciò sussistono in sé prima di essere scoperte, e, quando sono scoperte, ci

rinnovano . Grazie alle riflessioni sulle implicazioni veritative del dubbio, Agostino ci offre

un introduzione critica dell io umano in termini filosofici. Ad essa, parecchi secoli dopo,

fa riferimento Cartesio. In particolare, nel De Civitate Dei, troviamo, in relazione al

nostro tema, una celebre pagina agostiniana (dispensa pag. 29).

Il discorso agostiniano, rispetto a quello di Cartesio, restituisce all io anche la

dimensione dell amare e non solo quella del sapere. Inoltre, in Agostino non vi è il

dualismo gnoseologico che complica il discorso, solo apparentemente già semplice, di

Cartesio. In quest ultimo, infatti, il cogito (io pensante) costituisce una realtà privilegiata,

sicura dagli assalti del dubbio. Per Agostino, invece, non è così: il movimento di

autoaccertamento dell io è un movimento con cui si accerta l indubitabilità di tale realtà,

senza che questa divenga la roccaforte rispetto alla quale il resto sarebbe esterno e

problematico. Comunque, in entrambi gli autori, il movimento argomentato è elenctico:

ciò che si nega, viene riaffermato per presupposizione, nell atto stesso del negarlo.

Ulteriori considerazioni sul dubbio: l ipotesi dell inganno radicale, non solo introduce

la consapevolezza che io sono e che io sono capace di verità , ma evidenzia anche

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che, essendo capace di verità per questa via elenctica, io non sono la verità : non

sono, cioè, quel pensiero assoluto che coincide con la stessa manifestazione dell essere.

Dal dubbio emerge che sono io a dovermi disporre rispetto al verità, anziché poter

disporre di essa. Per me, la verità è dunque problema, almeno nel senso etimologico del

termine: cioè oggetto su cui insiste e rispetto a cui si dispone la mia attività

pensante. Se non vi fosse l orizzonte della verità, non avrebbe neanche senso dubitare:

infatti, revocare in dubbio una convinzione vuol dire ipotizzare che questa cosa possa

non corrispondere alla verità.

Il dubbio ha inoltre anche altre implicazioni che coincidono con i principi elementari del

giudizio; tali principi non sono revocabili in dubbio, se non sperimentalmente, proprio

perché il dubbio li deve esercitare per potersi esplicare. In parole povere, la referenza

semantica che il dubbio implica dovrà essere incontraddittoria, per poter confermare,

almeno in linea di diritto, una delle alternative tra loro contraddittorie, tra le quali il

dubitante oscilla secondo un implicito aut aut. La verità, insomma, deve essere o così

o non così perché abbia senso l alternativa in aut che fa da sintassi al dubitare.

Una semiotica del dubbio: il dubbio, cioè il momento di equilibro instabile che si

realizza costantemente nel cammino conoscitivo, ha una sua grammatica complessiva

(semiotica del dubbio): articolabile in una semantica (determinazione del mondo di cui

quel linguaggio parla), in una sintassi (leggi che regolano il costituirsi ordinato di quel

linguaggio) e in una pragmatica (introduzione delle condizioni che lo rendono effettivo).

La semantica del dubbio ha come referente un mondo di cui si suppone che stia in un

certo modo: si dubita, insomma, di come stiano le cose, ma non del fatto che esse

stiano in un determinato modo.

La sintassi del dubbio, poi, è in aut (due proposizioni disgiunte in aut non possono

essere né entrambe vere né entrambe false). Si potrebbe revocare in dubbio anche

questo, cioè che il dubbio sia in aut, ma non si potrebbe farlo, comunque, in vel (due

proposizione disgiunte in vel possono essere entrambe vere, anche se non entrambe

false): infatti, se fosse vero il secondo di questi corni dilemmatici, non potrebbe esserlo

il primo, e viceversa. Se il dubbio non fosse disgiuntivo in aut, come indica la stessa

etimologia della parola (deriva da duplum, che indica la dualità), esso non sarebbe più

dubbio ma un altro genere di atteggiamento (triplum). Perché vi sia dubbio, occorre che

il dubitare rispetti il principio del terzo escluso .

La pra

Dettagli
A.A. 2015-2016
31 pagine
7 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/03 Filosofia morale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher carlotta.mariano di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia morale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Ca' Foscari di Venezia o del prof Pagani Paolo.