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Cap III° GLI INTERPRETI DI HUSSERL: VERSO LA FILOSOFIA MORALE
L’aspetto noematico della coscienza: differenza tra Husserl, Ricoeur e Waldenfels.
1.
E’importante soffermarsi sull’aspetto noematico perché è il punto in cui si registra la maggiore
differenza tra Husserl e i suoi critici/discepoli. Abbiamo visto che l’aspetto noematico è il polo
oggettivo della coscienza cioè un colore rispetto all’atto del vedere, una percezione rispetto all’atto
intenzionale del percepire. I suoi interpreti tra cui Ricoeur e Waldenfels hanno un’esperienza diversa
del mondo e si imbattono in una parte oggettiva della coscienza che però resiste al soggetto. Quindi
c’è una parte oggettiva del soggetto ma che il soggetto stesso non riesce a possedere: inconscio,
involontario, alterità. Questa è una parte oggettiva non riconducibile pienamente a me ma che mi
costituisce. La coscienza di Husserl è una coscienza fungente cioè sempre rivolta ad altro da sé
mentre Ricoeur e Waldenfels girano l’attenzione, l’intenzionalità verso il soggetto stesso. Husserl
invece mette tra parentesi queste realtà del soggetto. In Husserl l’aspetto noematico è l’oggetto
intenzionato dall’atto intenzionante della coscienza, si tratta di una perfetta correlazione. In Ricoeur e
Waldenfels invece si dà l’esperienza di una oggettività del soggetto che è un sottrarsi alla coscienza,
mentre la coscienza è un tendere verso…e non vi è correlazione perfetta. La coscienza intenzionale
quindi mantiene l’atteggiamento di apertura ma al contempo c’è qualcosa che si sottrae a questa
intenzionalità, non si fa intenzionare e quindi non si fa conoscere. Non è più la coscienza traslucida di
Husserl caratterizzata dalla soggettività pura e trasparente ma al contrario è intorpidita dal rapporto
costitutivo con queste realtà.
L’epochè voluta di Husserl e l’epochè subita di Ricoeur e Waldenfels
2.
Appare comprensibile a questo punto come quel distacco (epochè) ipotizzato da Husserl fallisca
proprio perché non arriva a quell’obiettivo di una dimensione semplice e unitaria del reale (la cosa
nuda è sempre vestita) e a una coscienza assolutamente pura in quanto il soggetto non può essere
trasparente, ma al contrario ha qualcosa di oscuro dentro di sé. Il pensiero come abbiamo visto è
sempre implicato nella realtà ma non è identico alla realtà. A questo proposito possiamo dire che
nella teoria di Ricoeur e Waldenfels esiste un distacco ma, a differenza di quello pensato da Husserl
che è deciso dal pensiero (la coscienza decidere di sospendere), non è deciso dalla coscienza bensì è
un distacco che si impone alla coscienza. In questi autori la soggettività (la coscienza) si fa
interrompere dalla realtà senza poter decidere questo distacco, addirittura subendolo. Possiamo
concludere dicendo che il distacco dalla realtà appartiene alla fenomenologia Husserliana ed è un
distacco voluto e funzionale alla coscienza grazie al quale la coscienza riesce a stabilire il contatto
con il fenomeno e a riconoscerne il significato mentre per Ricoeur e Waldenfels il distacco non è
imposto dalla coscienza ma al contrario si impone a essa. 8
FILOSOFIA MORALE: soggettività morale e vincolo intersoggettivo
La critica alla coscienza Husserliana: “morsure du reel”.
3.
La coscienza Husserliana intesa come coscienza pura è l’argomento di maggiore critica da parte di
questi autori, i quali ne prendono le distanze e propongono di riformulare l’idea di soggettività e di
conseguenza la fenomenologia. Mentre Husserl parte dalla coscienza che non viene mai messa in
discussione, Ricoeur e Waldenfels si rivolgono alla coscienza che loro stessi sono e che non è quella
coscienza pura e trasparente. Entrambe le filosofie però non rinunciano al soggetto. Ciò che non
soddisfa questi autori critici è lo sviluppo di un discorso puramente teorico, l’immagine di una
coscienza distaccata e disinteressata rispetto all’esistenza. Cosa porta a uscire dal mondo trasparente
della fenomenologia Husserliana nel quale la coscienza pura incontra e riconosce il fenomeno nella
sua essenza? La risposta è il fatto che esistono queste realtà (inconscio, involontario, alterità,
corporeità): l’irruzione della realtà non consente a questi autori di continuare sulla linea segnata da
Husserl. Gabriel Marcel (1889-1973) parla di “morso del reale” proprio a enfatizzare come il
pensiero venga stravolto dalla realtà e come la coscienza non possa non rimanerne coinvolta
mantenendo il distacco. Questo impatto è positivo perché sveglia il pensiero allontanando il rischio
che il pensiero possa adagiarsi su se stesso, ricordando il contatto con la realtà. La filosofia non può
pensare prescindendo dalla realtà, se così non fosse si cadrebbe nella fallacia metafisica cioè nel
gusto di pensare che tutto ciò che si pensa proprio per il fatto di pensarlo sia di per sé reale. Questo
morso del reale è un morso che sveglia, rende consapevoli di essere nel mondo con gli altri.
L’incontro non preventivato con l’altro (Husserl invece preventiva ogni fase) sconvolge e inizia il
pensiero. L’alterità quindi altera quel soggetto che Husserl considerava pura.
Conoscenza e comprensione.
4.
Questa consapevolezza di essere nel mondo con gli altri ci porta a riflettere sul fatto che non tutto
potrà essere conosciuto, ma vi saranno cose che potranno essere semplicemente comprese. A questo
proposito è importante fare una distinzione tra conoscenza e comprensione:
Nella conoscenza, il soggetto conoscente è altro dall’oggetto conosciuto. La coscienza non è
fenomeno, ma intenziona dei fenomeni. Esiste quindi un’alterità fondamentale. In questo caso
è possibile la definizione, la conoscenza.
Nella comprensione cambia l’oggetto che io voglio conoscere in quanto voglio conoscere
qualcosa che è già compreso nel soggetto. In questo caso il soggetto conoscente è il soggetto
da conoscere. Questo rende difficile quel “mettere tra parentesi” attraverso la quale io posso
conoscere l’oggetto. Io non posso definire quell’oggetto perché sono io, ma posso
comprenderlo, interpretarlo. Gli oggetti che voglio oggettivare sono inoggettivabili. Presumere
di poter definire certi oggetti porta alla fallacia metafisica.
Nella filosofia morale così come nell’ermeneutica (l’arte di interpretare) noi parliamo di
comprensione. Lo stesso Ricoeur appartiene all’ermeneutica. Tra i maggiori esponenti
dell’ermeneutica oltre a Ricoeur vanno ricordati Luigi Pareyson (1918-1991) e Hans-Georg Gadamer
(1900-2002). Tutto quello che nasce intorno al 1700 durante l’Illuminismo, momento in cui l’uomo si
mette al centro della scena filosofica interrogandosi su argomenti come il rapporto con Dio e con la
storia, sviluppa l’arte di interpretare e comprendere queste realtà che non si fanno oggettivare.
Definire Dio è impossibile poiché ci si dovrebbe trovare a un livello superiore. La storia seppur fatta
dagli uomini non è propriamente una scienza come sostenuto da Giambattista Vico (1668-1744)
perché la causa delle azioni storiche degli uomini è la libertà e la libertà è oggetto di comprensione e
9
FILOSOFIA MORALE: soggettività morale e vincolo intersoggettivo
non di conoscenza in quanto non c’è una definizione di libertà. Noi non costituiamo la libertà che ci
appartiene, piuttosto noi siamo agiti dalla libertà che è causa delle nostre azioni.
Dalla fenomenologia alla fenomenopatia: l’esperienza della temporalità. “Il tempo resta,
5. noi andiamo via”
Nel dopo Husserl cambia quindi la percezione del soggetto cioè il soggetto diventa incarnato,
corporeo che vive nel mondo con gli altri. Si tratta di una soggettività patica (che sente, che soffre),
vulnerabile. Questo modo di vedere il soggetto ci fa comprendere il passaggio da una fenomenologia
a una fenomenopatia. Si passa quindi da un discorso dei fenomeni a un sentire i fenomeni perché ora
i fenomeni toccano nel profondo. Ciò non significa che in questi autori la soggettività sia malata ma
semplicemente è una soggettività senziente perché ha in se stessa un’alterità. Il pensare è essere due
in uno, è un dialogo con me stesso. Per arrivare alla realtà non esiste un processo diretto e immediato,
ma è necessario un approccio speculativo. Oltre alle esperienze già menzionate che cambiano la
fisionomia di questa soggettività come l’inconscio e l’alterità, vi è anche l’esperienza della
temporalità che si pone come esperienza importante per comprendere il perché dalla teoria si sviluppi
un approccio pratico. La temporalità ha un ruolo fortemente destabilizzante per la soggettività perché
include in sé una minaccia, ci destina a una fine e quindi se si guarda la temporalità nel suo sviluppo
cronologico, naturale, biologico, la soggettività finisce. La nostra vita si prospetta quindi all’interno
di queste due oscurità che sono appunto la nascita e la morte che definiscono il segmento di luce. Il
tempo è percepito anche nella sua potenza dissolutrice come qualcosa che ci consuma, ci cambia e ci
angoscia per l’evanescenza della realtà. Il tempo è lo strumento che rende reale questo cambiamento,
questa usura e ha in sé la minaccia della dispersione di noi stessi e che a tratti rende la realtà
inaffidabile e precaria. Nell’uomo è presente un istinto fortissimo a restare che si scontra con questo
imperterrito divenire. Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto: “riconoscere qualcuno e ancor
più identificarlo dopo che non si è riusciti a riconoscerlo, significa pensare sotto un’unica
denominazione due cose contraddittorie: ammettere che quello che c’era, l’essere di cui ci si
ricordava non c’è più e che quello che c’è ora è un essere che non conoscevamo. Significa dover
riflettere su di un mistero inquietante quasi come quello della morte di cui esso è una sorta di
introduzione e di annuncio, perché sapevo che cosa volevano dire quei cambiamenti, a che cosa
preludevano”. La temporalità è uno degli aspetti maggiormente destabilizzanti perché implica un
continuo cambiamento: noi siamo diversi da noi stessi; nel tempo noi diventiamo