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Husserl: quinta meditazione, passaggio all’intersoggettività
Nel paragrafo 55 vediamo l’approdo di Husserl all’intersoggettività: gli altri costituiscono una
comunità di io e quindi una intersoggettività trascendentale. Io posso passare dall’io all’altro e
quindi alla comunità perché esiste una natura comune: “La mia intera natura è la stessa di quella
dell’altro”. La natura comune diventa intersoggettiva, dove convergono i miei atti intenzionali così
come quelli altrui (pagine 146 + 143).
I vari livelli del problema sono:
1. la percezione dell’altro come altro
2. la costituzione di un mondo oggettivo comune a tutti i soggetti
3. l’edificazione di una comunità di soggetti, cioè una inter-soggettività trascendentale
Il nucleo centrale del problema consiste nel salvaguardare il fatto dell’esperienza dell’altro e al
tempo stesso dimostrare come questa esperienza dell’altro si costituisca a partire dalla sfera di
appartenenza dell’io.
Pagina 127: il fatto dell’esperienza dell’estraneo (del non-io) ci si presenta come esperienza di un
mondo oggettivo e perciò dell’altro (il non-io nella forma di un altro io). Si tratta di scoprire
intenzionalmente il modo in cui ottiene il suo senso, il modo quindi con cui essa può essere
esperienza e confermarsi come evidenza dell’essere effettivo provvisto di una esperienza propria
esplicabile, che non è mia essenza propria né mia parte integrante, mentre può ottenere tuttavia
senso e conferma solo nel mio essere. “Il senso d’essere mondo oggettivo si costituisce sulla base
del mio mondo primordiale in parecchi gradi […]” → Che cosa fa cambiare l’estraneo in altro?
Il mondo.
Pagina 128: “i per me altri non restano separati l’uno dall’altro, ma costituiscono piuttosto
(naturalmente nella sfera della mia proprietà) una comunità-di-io comprendente me stesso, ove gli
io stanno l’uno insieme all’altro e l’uno per l’altro, infine una comunità di monadi, infine un unico
identico mondo. In questo mondo rientrano ora tutti gli io, o meglio uomini psicofisici come oggetti
mondani. Questa non è però intesa come una struttura metafisica di un’armonia tra le monadi, tanto
meno le monadi stesse sono invenzioni o ipotesi metafisiche: si tratta invece di un fatto che inerisce
alla descrizione dei contenuti intenzionali, che si trovano nei fatti del mondo di esperienza esistente
per noi. Le idee delineate non sono fantasie o modi di un essere come-se; perché essere sorgono già
insieme a ogni esperienza oggettiva.” Ricoeur (1913 – 2005)
Ricoeur: dalla fenomenologia all’ermeneutica, intenzionalità involontaria
Ricoeur, come Levinas, recepisce la lezione di Husserl nel contesto storico della seconda guerra
mondiale, periodo in cui più che mai si sentiva il bisogno di afferrare il senso dell’esistenza
umana, e in cui la fenomenologia veniva vista come uno strumento idoneo a individuare i
significati e il senso delle esperienze in un’epoca di crisi del senso. Se però la fenomenologia
husserliana rimane pura teoria, sospensione (epocheizzazione) della realtà, per Ricoeur invece
bisogna tornare alla realtà, allontanarsi dal regno delle essenze per avvicinarsi a quello delle
esistenze reali.
L’”eresia” di Ricoeur non è assolutamente un processo di distruzione della fenomenologia, anzi: è
un processo di integrazione della fenomenologia e di messa in luce delle sue criticità per renderla
migliore. Ciò di cui Ricoeur si rende conto è infatti che epocheizzare il mondo non è sufficiente per
far emergere la coscienza: anche il cogito va messo sotto osservazione, la coscienza husserliana
concepita come astrazione deve diventare coscienza reale e deve essere smascherata. Ricoeur
innesta l’ermeneutica sulla fenomenologia, provocandone la trasformazione al fine di recuperare
quel “non pensato”, quell’epocheizzato della fenomenologia.
Il soggetto di Ricoeur è un soggetto che subisce la realtà e patisce anche sé stesso per mezzo
dell’inconscio. Si scopre la fragilità della soggettività, che Husserl non aveva considerato. Viene
meno il carattere di evidenza immediata e pura dell’ego husserliano: se Husserl dà per scontato
l’ego e lo usa come un punto di inizio della propria filosofia, per Ricoeur invece l’ego è un
problema da risolvere, è un fine e non un inizio. È così che Ricoeur pur rimanendo fenomenologo
nell’approccio cerca di separarsi dalla fenomenologia per approdare all’ermeneutica: il linguaggio
del soggetto è un linguaggio da decifrare, interpretare, comprendere.
Ricoeur cerca di approfondire la questione della realtà del soggetto, cercando di coglierlo nella sua
interezza. L’io penso husserliano non basta più: c’è anche l’io voglio, io posso, io desidero… quindi
di che io si parla?
Ricoeur attua quindi una mortificazione dell’io cogito: per comprendere appieno il soggetto
bisogna passare da una fenomenologia pura, husserliana, a un’ermeneutica e poi a un’etica, seppur
mantenendo un approccio fenomenologico. Si passa cioè da un paradigma ottico (la coscienza
vede, come un grande occhio) a un paradigma del sentire e del volere. Ricoeur vuole de-
epocheizzare la realtà, realizzare che una piena comprensione del soggetto è impossibile lasciando
totalmente in sospeso il reale, il concreto.
Ricoeur si affaccia sull’intenzionalità involontaria: che io voglia o non voglia, sono aperto al
mondo, e a differenza di quanto credeva Husserl non posso dominare questo mio strumento, questa
mia apertura. È evidente come Ricoeur si rifaccia a un paradigma di archeologia e teleologia tipico
di due autori del passato: Freud e Hegel.
archeologia: è il passato, la regressione, l’inconscio. Riferimento a Freud: la psicanalisi ci
insegna che per capire l’uomo bisogna studiarne l’infanzia; il livello pulsionale precede il
pensare, io sono prima dell’io penso, quindi l’io penso cartesiano e husserliano non è
assolutamente scontabile. La coscienza è menzognera, bisogna studiarne i processi alle
spalle per poterla smantellare e comprendere appieno.
teleologia: è il futuro, la progressione, l’intento culturale. Riferimento a Hegel: lo spirito si
manifesta e prende coscienza di sé gradualmente, attraverso dei gradi. È un cammino in
avanti, rivolto al futuro, come in una sorta di romanzo di narrazione: coscienza umana,
quindi coscienza dei popoli, quindi arte, religione, filosofia. Allo stesso modo lo spirito ha
quattro momento: coscienza, autocoscienza (confronto tra due coscienze, es. padrone e
servo), ragione, spirito.
È solo al centro di queste due forze, di questi due vettori che premono sul soggetto, che esso trova
il suo equilibrio. Archeologia e teleologia sono modelli ermeneutici (interpretativi) della
soggettività.
Nel testo di Ricoeur troviamo riferimenti a Nietzsche, Marx e Freud come “tre esperti del
sospetto”: sono infatti i primi tre autori a far notare come l’io penso sia tutt’altro che scontato, e
sono quindi i maestri della mortificazione del cogito: “dopo il dubbio sulla cosa [cartesiano],
siamo entrati nel dubbio della coscienza”. Non bisogna però cadere nello scetticismo: bisogna
distruggere ciò che sappiamo sulla coscienza per ricostruire, e l’ermeneutica è il modo per farlo.
(pagine 163-166).
Un’altra grande differenza tra Ricoeur e Husserl è il senso della sospensione, dell’epoché: se in
Husserl il distacco dal reale è voluto, in Ricoeur (e Levinas) questo distacco è subito, è traumatico,
è il morso del reale. Ricoeur e Levinas riconosceranno inoltre che l’idea del fenomeno puro che si
dà sempre alla coscienza è impossibile: per gli eretici i fenomeno si danno sempre con ambiguità,
rimangono sempre oscuri, da decifrare. La coscienza degli eretici non è più pura, asettica e
disinteressata, essa è patica, ambigua e oscura.
Ricoeur: coscienza come menzogna, responsabilità e fragilità, realismo freudiano
Ricoeur si confronta con la posizione più anti-fenomenologica che ci sia, ossia quella
psicanalitica: la psicanalisi è un’anti-fenomenologia perché è una riduzione della coscienza,
mentre la fenomenologia è riduzione alla coscienza. Nella psicanalisi la coscienza viene rivelata
come menzognera. Tra i discorsi dei tre “protagonisti del sospetto” emerge quello di Freud, in
particolare il suo punto di vista topico riguardo ai luoghi in cui esiste l’individuo, che risulta
frammentato in:
Es: inconscio, luogo delle pulsioni
Super-io: divieti imposti dal mondo esterno e introiettati
Io: mediatore tra Es e Super-io, è la nostra coscienza che media tra moti pulsionali e divieti
esterni
In questa frammentazione Ricoeur individua quindi un primo paradosso: quello della fragilità
dell’uomo e del soggetto responsabile. Da sempre, quasi antropologicamente, associamo l’idea di
responsabilità a figure umane forti, solide, in grado di rispondere di sé e degli altri. Ma Freud ci
mostra l’opposto: il soggetto è intrinsecamente fragile, e quindi dobbiamo abbandonare l’equazione
tra responsabilità e forza. Questo paradosso responsabile/fragile sarà poi la linea guida dell’etica
levinasiana.
La nozione di coscienza è quindi totalmente in crisi: se la coscienza intenzionale husserliana è
qualcosa che tende verso l’oggetto, che si offre, l’inconscio è invece un continuo sfuggire. Ricoeur
riconosce come Hegel e Freud, per certi versi, affermino la stessa cosa: c’è una certezza immediata
che non è verità, ossia il dato che io sia. Certamente, io so che sono, questo è un dato, come è un
dato il “cogito ergo sum” cartesiano. Ma non basta più, bisogna andare oltre: so che sono, ma che
cosa sono? Anche in Hegel si ha il passaggio da certezza della coscienza immediata alla verità del
suo identificarsi con la ragione universale (spirito).
Ricoeur critica il fatto che la fenomenologia husserliana non dà spazio all’inconscio: sì, in Husserl
c’è una genesi passiva, come una sorta di “poter divenir cosciente”, ma il suo discorso rimane
sempre strettamente riferito alla coscienza.
Freud, scienziato, è realista: Ricoeur parla di realismo freudiano, ossia di come Freud tenga conto
sin da subito dell’inconscio e del fatto che ess