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NORME PRUDENZIALI

La legge naturale deve essere chiamata a stabilire, secondo la retta ragione, il vero ordine degli interessi umani. Mediante l'intervento della ragione dunque l'uomo auspica ad uscire dallo stato naturale per conservare il primo bene di cui dispone: la vita.

Tale sistema di regole va però inteso in modo particolare; sono regole prudenziali e come nota il Bobbio sono norme ipotetiche del tipo "se vuoi A devi B", e indicano i mezzi più adeguati per raggiungere i propri fini.

Più problematica è invece l'affermazione di Hobbes per cui tali norme sono delle leggi naturali. Il Bobbio e il Pacchi sono concordi nel ritenere che con ciò il filosofo abbia voluto fare un omaggio alla tradizione; non sono cioè il comando di una persona dotata di autorità, bensì leggi, nel senso che tali dettami della ragione sono anche espressioni della volontà divina: "quelle che chiamiamo leggi di"

natura [...] non sono propriamente delle leggi, in quanto procedono dalla natura, [...] non sono altro che delle conclusioni, conosciute mediante la ragione intorno alle cose da fare o da omettere". Sono degli imperativi ipotetici cioè delle prescrizioni non assolute, ma relative al conseguimento dei fini. Anche in ciò Hobbes differisce dal giusnaturalismo tradizionale, che conferisce alla ragione un rilievo contenutistico, infatti negli Elements nega ogni forma di normatività universale alla ragione che è invece un meccanismo puramente formale. E se il fine dell'uomo è la conservazione, allora la pace, piuttosto che la guerra, sarà il mezzo cui tale fine si potrà conseguire con certezza. E con ciò Hobbes enuncia la prima legge fondamentale di natura e cioè "che si deve cercare la pace, quando la si può avere altrimenti, di trovare aiuti per la guerra" che allorarisulterà14inevitabile. Foro esterno e foro internoLe leggi naturali per Hobbes, sono delle leggi morali e pertanto prescrivono la pratica dei comportamenti come., moderazione, equità, fedeltà, umanità, misericordia etc.Ciononostante poiché sono pur sempre delle norme prudenziali, hanno valore solo in coscienza, "nel foro interno". Avrebbero un valore effettivo se l'uomo nel seguirle, avesse la garanzia di raggiungere il fine cui esse sono state predisposte, primo fra tutti quello di avere salva la vita; ma ciò non si verifica. Diretta conseguenza è dunque che, se non si esce dallo stato di natura, l'uomo non potrà mai avere la sicurezza di non rischiare la propria vita. Così di tale stato, ancora una volta Hobbes tende a sottolineare la triste condizione di timore reciproco, che permane nonostante la presenza di leggi valide, che si dimostrano tuttavia inefficaci.Legge di natura e legge divinaHobbesdedica molti paragrafi del De cive ad una attenta analisi, che mira a trovare un riscontro delle leggi naturali, da lui enunciate, con i testi sacri. Secondo Arrigo Pacchi il legame che il filosofo instaura tra le leggi naturali e i comandi divini, non deve suscitare nel lettore una eccessiva meraviglia in quanto non va dimenticato il suo sforzo speculativo nel dare una definizione laica della legge naturale e poi, come vedremo, nell'assoggettare ogni tipo di istituzione allo stato, compresa la Chiesa. Quindi come conferma il Bobbio, Hobbes unisce "il diavolo con l'acqua santa" senza però per questo venir meno ai suoi principi teorici, per cui appunto le leggi naturali sono dei dettami della ragione, delle norme prudenziali. CONTENUTI DEI DETTAMI DELLA RAGIONE E USCITA DALLO STATO DI NATURA L'intero De Cive è volto ad illustrare la legge di natura come sistema di proposizioni razionali, "teoremi" su quello che gli uomini devono fare perconseguire la pace. Dalla prima legge naturale Hobbes fa derivare necessariamente che "il diritto a tutto non deve essere conservato, ma che certi diritti devono essere trasferiti o abbandonati.", proprio perché lo "ius in omnia" conduce, come già mostrato, ad una guerra costante e permanente, almeno finché due uomini restino in vita. L'enunciazione dei dettami della ragione naturale subisce leggere variazioni da un'opera all'altra; ciononostante le due leggi fondamentali per lo sviluppo della teoria hobbesiana restano inalterate. La prima è relativa all'associazione degli individui a scopo di pace o di difesa, la seconda è invece relativa all'osservanza dei patti. La contraddizione dello stato di natura, per cui vi sono leggi valide ma non efficaci, non si può risolvere restando all'interno di esso. Per questo all'orizzonte della teoria politica del filosofo appare in lontananza lo Stato.intesocome quel potere tanto irresistibile da spingere chi non è intenzionato a rispettare le leggi naturali, a desistere da tale convinzione e a cambiare atteggiamento. La salvezza dell'uomo va cercata dunque non nello stato di natura, ma nella società civile. Le cause della guerra universale sono tre: le passioni e in particolare la falsa stima di sé, il diritto a tutto e la difficoltà a premunirsi in pochi e con poche difese dai nemici. La legge naturale per il suo carattere astrattamente razionale non può rimuovere le prime due cause. Il timore reciproco invece, la paura della morte, spingono gli uomini ad evitare i rischi di una lotta condotta con le loro sole forze e senza rispettare la legge naturale, e ad unirsi nella guerra; "così accade che, per paura reciproca, pensiamo che si debba uscire da tale stato, e cercare dei soci, affinché se si deve affrontare la guerra, non sia contro tutti né senza aiuti". [17]

La dicotomia stato di natura-società civile ha una caratteristica fondamentale che risiede nella modalità con cui l'uomo passa da uno all'altro, per cui a buon diritto il giusnaturalismo moderno è stato definito una filosofia politica "contrattualistica". Che infatti l'uomo abbandoni lo stato di natura e passi allo stato mediante un patto d'unione, è accettato all'unanimità da tutti i filosofi giusnaturalisti.

Il patto diviene il rapporto sociale fondamentale, la condizione imprescindibile per la sopravvivenza umana, e proprio per questo ha delle caratteristiche del tutto particolari: "L'azione di due o più persone che si trasferiscono reciprocamente i loro diritti si chiama contratto. Ma in ogni contratto, o le due parti compiono subito quanto pattuito, senza che l'uno debba concedere credito all'altro, o l'uno lo compie e concede credito all'altro, o nessuno dei due lo compie."

Quando entrambi compiono subito la prestazione, il contratto si estingue non appena gli è dato adempimento. Quando invece o uno o entrambi danno credito all'altro, colui al quale si fa credito promette di compiere la prestazione in seguito, e una simile promessa si chiama "patto".[18] Lo scopo principale di questo accordo è di abbattere la causa dell'insicurezza, del timore reciproco che a sua volta nasce dalla mancanza di un potere comune. Per cui il contratto preliminare, essenziale per Hobbes, ha lo scopo di istituire un potere comune. Dal contrattualismo tradizionale al "pactum unionis" Hobbes supera il limite dualistico del contrattualismo tradizionale, riducendo i due patti da esso previsti, "pactum societatis" e "pactum subiectionis", ad uno solo, che forma un unico soggetto di diritto pubblico, e cioè il sovrano o un consiglio. Il primo è l'obbligo di obbedire a tutto quello che il detentore del

Potere comune comanderà; il secondo è un patto di associazione tra individui che si impegnano reciprocamente a sottomettersi a un terzo non contraente. Il primo patto trasforma una "moltitudo", cioè un insieme di individui che non hanno niente in comune, se non il fatto di essere uomini, in un "populus", ovvero in un gruppo dotato di una volontà di maggioranza; il secondo ha come contraenti il "populus" e il sovrano. Hobbes nota che finché un gruppo di individui resta soltanto una moltitudo, legata più al consenso momentaneo di fronte a un nemico comune, lo stato di guerra vigilerà anche al suo interno: "se consentono in una singola azione, per la speranza di vittoria, di preda o di vendetta, in seguito la diversità di intenzioni e di disposizioni, o l'emulazione e l'invidia, per cui gli uomini per natura contendono per natura, li dividono al punto che non vogliono darsi aiuto reciproco,

"né mantenere la pace fra di loro, se non sono costretti da qualche timore comune", e pertanto, "segue da ciò che il consenso di molti (che consiste solo in questo, che tutti dirigono le loro azioni ad uno stesso fine, e al bene comune), cioè una società soltanto di aiuto reciproco, non procura a coloro che consentono, o soci, la sicurezza nell'esercitare fra di loro le leggi di natura, che stiamo ricercando". La società che si fonda sul "pactum societatis", con cui appunto il popolo si associa, come nota il Bobbio, è "di mutuo soccorso" ma privo di garanzie. Alla base della stabilità della società deve essere invece un accordo preliminare di sicurezza e che dia la possibilità di stipulare in tranquillità gli accordi ad esso successivi; infatti "soltanto questo accordo preliminare fa uscire l'uomo dallo stato di natura e fonda lo Stato".

L'accordo preliminare, che starà alla base della società civile per il filosofo inglese, non conserva esattamente le caratteristiche né del "pactum subiectionis" né del "pactum societatis", ma le unisce originalmente nel cosiddetto nuovo "pactum unionis" di cui enuncia la formula nel Leviatano: "io autorizzo e cedo il mio diritto di governare me stesso a quest'uomo o a questa assemblea di uomini, a questa condizione: che anche tu ceda il tuo diritto a lui e autorizzi le sue azioni allo stesso modo." Ciascun individuo si obbliga per patto, nei confronti di tutti gli altri, a sottomettere la sua volontà a quella di uno stesso individuo, di uno stesso consiglio, in modo che la volontà di costui sia tenuta per volontà di tutti e di ciascuno. Il nuovo contratto hobbesiano riguarda, in effetti, il trasferimento al sovrano del diritto di usare delle forze di ciascuno, e questo, a sua volta,

non è altro che l'abbandono del diritto di resistenza nei confronti del sovrano: "in ogni stato"

Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
16 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/01 Filosofia politica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Menzo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia delle scienze sociali e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli o del prof Villani Natascia.