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La caratteristica dell'imperativoscopo da conseguire mediante quella condotta
categorico è di essere fine a se stesso, non mezzo per arrivare a qualche fine esterno. È fine in sé. Arriviamo alla famosa prima formula dell'imperativo. L'imperativo categorico è solo uno; infatti esso consisterà nell'applicare la forma della razionalità a tutte le azioni. Quale sarà la forma della razionalità? L'universalità. Agire moralmente che cosa vorrà dire? Agire secondo ragione. Ma agire secondo ragione, significa agire in maniera universale, agire in modo che chiunque altro al posto mio per agire moralmente debba fare la stessa cosa che ho fatto io. Bisogna agire in modo che la massima della propria azione (per massima si intende il principio soggettivo specifico, la regola estraibile dal comportamento specifico) possa valere come legge universale. In altri termini, la prima formula
Il concetto dell'imperativo categorico implica questo: il procedimento che sto seguendo, che Kant chiama "massima", il modo come potrei definire l'azione che sto facendo, posso pretendere che debba valere per legge universale, cioè che non debba valere solo per me in questa circostanza, ma per qualunque altro essere umano si trovi in circostanze analoghe. Devo poter essere sicuro che la regola, che sto seguendo implicitamente anche se non me ne accorgo, possa valere come regola universale, cioè che qualunque essere umano, per essere veramente morale, cioè razionale, la debba seguire. Si tratta di una morale fortemente improntata all'universalità. Ora dalle varie formule dell'imperativo cerchiamo di capire meglio in che cosa consiste questa universalità.
La prima formula dice: "Agisci soltanto secondo quella massima che tu nello stesso tempo puoi volere che divenga una legge".
universale»;oggettiva: quello che fai deve valere come legge universale. Nella seconda formuladell’imperativo categorico è presente invece una accentuazione della universalitàsoggettiva: siamo sempre all’interno dell’universalità, ma lo stesso imperativo vieneriformulato dal punto di vista del soggetto che si pone un fine. Infatti Kant dice: «Agisci inmodo da trattare sempre l’umanità, così nella tua persona come nella persona di ognialtro, sempre come un fine, e mai come un mezzo». Questa è la trasposizione filosoficadel comandamento cristiano secondo il quale, appunto, bisogna non fare agli altri quelloche non si vorrebbe fosse fatto a se stessi, o, meglio, si deve fare agli altri quello che sivorrebbe fosse fatto a se stessi. L’altro ha la stessa dignità mia, dev’essere consideratonon strumento, ma fine, come io considero me stesso un fine: tutti gli uomini hanno parisono
ugualmente dotati di ragione. “Ama il prossimo tuo dignità, perché tutti gli uomini come te stesso”: tu sei un fine, ti consideri e ti devi trattare come un fine, non ti devi mai abbassare a essere strumento e non devi mai usare un altro. Dice Kant: «L’imperativo nel modo seguente: Agisci in modo da trattare sempre l’umanità, così pratico è formulabile nella tua persona come nella persona di ogni altro, sempre come un fine, e mai come un–mezzo. Il principio: agisci riguardo a ogni essere ragionevole (a te e agli altri) in modo che nella tua massima esso valga sempre come fine in se stesso, è in fondo identico a quest’altro: – agisci secondo una massima che contenga nello stesso tempo in sé la possibilità di valere universalmente per tutti gli esseri ragionevoli. Infatti, dire che io nell’uso dei mezzi per qualsiasi fine debbo sottoporre la mia massima a questa condizione restrittiva che
essa possa valere universalmente come una legge per ogni soggetto, è lostesso che dire: il soggetto dei fini, cioè l'essere ragionevole stesso deve servire diprincipio a tutte le massime delle azioni non mai semplicemente come mezzo, ma comesuprema condizione limitativa nell'uso di tutti i mezzi, ossia sempre nello stesso tempoc'è uncome un fine".
Qui il linguaggio può sembrare complesso, ma in queste paroleinsegnamento semplice e grandioso: l'unico fine che l'uomo si può porre è l'uomo stesso.Non c'è nessun fine superiore all'uomo.
In questo senso, Kant si rivela un continuatoredegli ideali più alti di tutto l'Umanesimo della civiltà europea moderna: l'uomo è l'esseredotato di maggiore dignità possibile, e il fine di tutte le azioni umane deve essere appuntol'uomo stesso, cioè il rispetto dell'essenza dell'uomo e
Il perfezionamento dell'umanità. La prima era sbilanciata sull'oggettivo; la seconda sul soggettivo; la terza dice: "Agisci in modo che la tua volontà possa valere come legislatrice universale". La volontà, che è qualcosa di soggettivo, deve valere come qualcosa di universale, cioè di oggettivo. Nella terza formula, che è la più sintetica, la più chiara di tutte, il piano soggettivo universale e il piano oggettivo universale sono pienamente fusi. La volontà del singolo deve diventare legislatrice universale. Oggi non è facile comprendere questa affermazione perché per volontà, per singolo, per individuo, nel mondo contemporaneo si intende qualcosa che è agli antipodi rispetto a Kant, cioè si intende l'arbitrio soggettivo. Si pensa che l'individuo debba poter agire nel modo che fare le cose che crede, ecc.
Invece per Kant affidare tutto all'individuo non significa credere, affidare tutto all'arbitrio, bensì affidare tutto alla parte più nobile dell'individuo e cioè alla ragione. In questa prospettiva, l'individuo coincide nei suoi punti di riferimento essenziali con gli altri individui. Oggi riferirsi alla volontà di una persona significa riferirsi a qualcosa di assolutamente arbitrario, che varia da individuo a individuo, invece la volontà con la "V" maiuscola che si è appropriata dei contenuti della ragione per Kant è come l'Iopenso, cioè vale per tutti gli uomini, è qualcosa di soggettivo ma di universale contemporaneamente. La posizione etica di Kant si spiega anche col fatto che egli vive nel periodo entusiasmante della Rivoluzione francese, in cui la borghesia europea spera di poter portare la liberazione e la fratellanza a tutta l'umanità. Kant è un grande.filosofodell’epoca della Rivoluzione francese. Spera che il comportamento di ognuno si possa armonizzare col comportamento di tutti gli altri in nome della ragione. Viviamo oggi in un’epoca in cui le parole d’ordine più avanzate della Rivoluzione francese sono state sconfitte. Dopo Kant hanno preso il sopravvento le tendenze più individualistiche. Per esempio già Schopenhauer ride di Kant, e si affida a una morale emozionale puramente individuale. Dopo Kant, dopo l’idealismo soprattutto, inizia una fase di decadenza che porta l’individuo a scostarsi dall’universale, e oggi “individuo” coincide con “arbitrio”, Kant “individuo” coincide con “ragione” e con “universalità”, e questo si mente perspiega con la grande speranza che gli ideali rivoluzionari, libertà, uguaglianza, fratellanza, possano veramente unire tutta l’umanità e portarla in un’epoca
nuova.«Il fondamento, dunque, di ogni legislazione pratica risiede oggettivamente nella regola onella forma dell’universalità, che (secondo il primo principio), la rende capace di essereuna legge; e soggettivamente nel fine. Ma il soggetto di tutti i fini è (conforme al secondoprincipio) l’essere ragionevole come fine in sé. Da ciò risulta il terzo principio pratico delvolere, come condizione suprema della sua conformità con la ragion pratica universale:cioè: [agisci secondo] l’idea della volontà di ogni essere ragionevole come legislatriceIo chiamo questo principio il principio dell’autonomia della volontà, inuniversale.opposizione ad ogni altro, che per questo io riferisco all’eteronomia».
Qui Kant fonda ilconcetto dell’autonomia della sua morale. Autonomia in due sensi: autonomia significalibertà; la ragione è un contenuto interiore, e l’uomo che dipende dalla
ragione dipende solo da se stesso. Kant contrappone la sua posizione all'eteronomia, cioè al dipendere "altro" fa rientrare per esempio non da sé ma da altro. Ma Kant in quello che considera anche il piacere, la sensibilità, la paura di un castigo eterno, ecc. Se invece di agire in base alla ragione si agisce in base al piacere, per Kant si sta agendo non in base alla ragione ma in base al piacere si finisce con l'essere in propria libertà e autonomia; se si in qualche modo schiavi del piacere e cioè si è eteronomi, non autonomi. Anche se il piacere è qualche cosa che può essere molto personale, per Kant questo qualche cosa ci porta a dipendere da altro da noi; così se dipendo da emozioni come la paura, eccetera, sono soggetto a qualche cosa di esterno. Per Kant non bisogna dipendere dalle emozioni, non bisogna dipendere dal piacere, ma, per essere liberi, bisogna farsi guidare esclusivamente dalla ragione.Può pensare a un esempio estremo: consumare droga può portare piacere, ma significa dipendere da qualcosa di esterno, cioè far venire meno la propria libertà. È chiaro che dal punto di vista della morale kantiana l'assunzione di droga è un atto di subordinazione all'esterno e quindi implica rinuncia alla libertà. Drogarsi non implica autonomia, bensì eteronomia. "Autonomia" anche in un altro senso, più semplice: le morali che noi conosciamo per lo più sono morali eteronome, in cui il precetto morale viene dall'esterno, viene da una chiesa, viene da un'autorità, viene da un profeta, viene da un libro sacro. L'autonomia della morale kantiana invece implica che la legge morale si ritrova dentro l'uomo, non in un libro sacro, in una setta, in una gerarchia ecclesiastica, in un precetto che viene dall'esterno.
Consideriamo ora un altro punto decisivo:
i, ma per la sua intenzionalità. La morale non è semplicemente un insieme di regole da seguire, ma è guidata da un'intenzione di fare il bene. La buona volontà è ciò che dà significato e valore alle azioni morali. La morale non può essere valutata solo in base ai risultati ottenuti o agli effetti che produce. Ciò che conta veramente è l'intenzione che sta dietro all'azione. Anche se un'azione può avere conseguenze negative, se è compiuta con una buona volontà, può essere considerata moralmente corretta. La buona volontà implica un impegno sincero nel fare ciò che è giusto, senza aspettarsi ricompense o benefici personali. È un atteggiamento altruistico che mette il bene degli altri al di sopra dei propri interessi. La morale non può essere ridotta a una mera questione di convenienza o di interesse personale. È un principio che richiede un impegno costante nel perseguire il bene, anche quando può essere difficile o scomodo. In conclusione, l'intenzionalità della morale è ciò che la rende significativa e autentica. La buona volontà è il motore che guida le azioni morali e conferisce loro valore.