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Secondo momento: l'io, nel porre se stesso, pone il non-io, inevitabilmente.
«Dalla proposizione materiale [avente cioè un suo proprio contenuto, che è appunto l'io nella sua identità con se stesso] io sono, derivò, facendo astrazione dal suo contenuto, quella puramente formale o logica A=A». Che cosa significa che questa proposizione è materiale? Fichte qui polemizza con Kant perché vuol dire: «Quando affermo che l'io pone se stesso, pongo non solamente la forma del conoscere, a cui Kant si era limitato, ma pongo anche un contenuto». Implicitamente vuol dire che Kant ha avuto questo limite, che ha fatto un discorso sulla metà della conoscenza, cioè ha fatto il discorso della Critica della ragion pura, dove per “pura” si intendono strutture puramente formali, ma ha lasciato fuori il contenuto, e quel contenuto poi risale alla misteriosa e impenetrabile cosa in sé, e quindi si...
è ritrovato col dualismo di cui dicevamo. Con l’affermazione che l’io pone sestesso, si parte invece da un’affermazione che è contemporaneamente forma e contenuto,in quanto ha come contenuto l’esistenza di quella cosa che è l’io. Mentre il punto dipartenza di tutta la filosofia kantiana è soltanto la forma, e di fronte a questa forma si ergesempre il contenuto e si rimane all’interno del dualismo, per Fichte il contenuto è presentegià nella forma, quindi il dualismo è superato.
Perché è così importante il superamento del dualismo? Qual è il problema? Kant a uncerto punto nella Critica della ragion pura dice che l’uomo è prigioniero della propriasoggettività, delle proprie forme, del fenomeno, e non si può avventurare alla conoscenzadel reale, del mondo, perché il mondo è impenetrabile, è come l’oscuro mare che circondaun’isola.
In altri termini, l'uomo di Kant è un uomo prigioniero della propria soggettività, ma se è prigioniero della sua soggettività, non conosce veramente il mondo, perché la cosa in sé nella sua oggettività è impenetrabile. Questo significa che l'uomo ha un forte limite, anche nella sua azione. Invece Fichte, che scrive nel 1794, veramente coglie tutte le grandi speranze della Rivoluzione francese (sapete che Fichte ha scritto un importante libro per la rettifica del giudizio del pubblico sulla Rivoluzione francese). Fichte crea una filosofia su basi rigorosamente fondate dal punto di vista logico per la quale l'uomo ha una potenza sconfinata, perché non è estraneo alla natura, non è circondato da una cosa in sé come Kant sostiene. L'uomo di Fichte produce egli stesso il non-io, quindi il non-io, il mondo, la natura, la realtà, non gli sono estranei; la filosofia di Fichte si avvia.(perché poi il pieno compimento di questo processo si avrà in Hegel) ad essere una filosofia fortemente monistica, in cui c'è una sola realtà. Ma il fatto che ci sia una sola realtà, per l'uomo significa che egli è padrone di quella realtà, che il pensiero è pienamente compenetrato all'essere, l'io può dominare il non-io, cioè l'uomo può essere il signore del mondo. Si tratta di una filosofia che dà all'uomo la base di un possibile progresso indefinito, come vedremo poi nella seconda parte della filosofia di Fichte.
Torniamo alla prima affermazione: "io sono io", che è una posizione di forma e contenuto contemporaneamente. Da questa affermazione si astrae l'aspetto formale che è il primo principio della logica, il principio di identità A=A. "Dalla proposizione annunciata nel presente paragrafo deriva, per legge dell'identica astrazione,
il principio logico A=non A, che io chiamerei principio dell'opposizione. Si tratta di un aspetto che considererei meglio nella dialettica hegeliana, va sottolineato però che qui si apre un altro discorso di estrema importanza. Nella situazione precedente a Fichte, A=A e B=B, ma questo è il mondo della separatezza, delle cose esterne le une alle altre, per cui esiste la realtà A e la realtà B, esiste l'uomo ed esiste il mondo, esiste la ragione da una parte, esiste la storia dall'altra, sono realtà diverse e non comunicanti tra loro, perché vale il principio di identità. Quando abbiamo parlato delle antinomie della ragione in Kant, abbiamo visto che egli è fermo a una dialettica dicotomica (cioè a due termini): c'è la tesi e l'antitesi, c'è A e c'è B, A=A e B=B, queste due entità non comunicano tra loro. Invece dire che A diventa uguale a non-A,
Cioè l'io dà luogo al non-io, significa che c'è un'essenziale unità delle cose, all'interno delle quali si viene a sviluppare la contraddizione. Solo in apparenza stiamo parlando di entità astratte: il pensiero dialettico, che sboccia con Fichte e si realizza in Hegel, è stato poi messo da parte insieme con le aspettative di emancipazione dell'umanità maturate con la Rivoluzione francese: dal 1789 al 1848 la borghesia fa la sua rivoluzione, pensa di poter emancipare tutta l'umanità, combatte in nome della libertà, della fratellanza e dell'uguaglianza, dopo il 1848 essa si rende conto di non essere una classe emancipatrice in via definitiva in quanto essa stessa opprime un'altra classe, si trova sulle barricate del '48 gli operai, i proletari, arresta lo sviluppo della sua più grande cultura e in buona parte la rimuove, la dimentica. Dopo il 1848 siamo entrati in un periodo
di potere e di pensiero. Ma la cultura dominante ha preferito dimenticare tutto ciò e si è concentrata sul positivismo e sull'esistenzialismo, che hanno portato a una decadenza culturale. Il pensiero borghese, nato durante la Rivoluzione francese, aveva come obiettivo l'emancipazione dell'umanità e la liberazione delle sue energie. Ma questo grande pensiero, rappresentato da filosofi come Fichte, Schelling, il romanticismo e Hegel, è stato cancellato dalla cultura contemporanea. Non è più qualcosa di vivo e presente. L'affermazione che A=A e B=B, che rappresenta una mentalità statica e immutabile, dipende dalla speranza patologica della borghesia che la storia si sia fermata. Ma se la storia è contraddittoria, se al feudalesimo è succeduto il capitalismo, allora è inevitabile che qualcos'altro succederà in futuro, un nuovo ordine di potere e di pensiero. Questa decadenza culturale continua ancora oggi, con la cultura dominante che preferisce ignorare il grande pensiero borghese e concentrarsi su idee limitate e superficiali. Ma è importante ricordare che la storia è in continua evoluzione e che nuove idee e nuovi modi di pensare possono ancora emergere.dei rapporti umani. Per questo la borghesia cancella il pensiero fichtiano, hegeliano, dialettico, e torna a modalità di pensiero precedenti, convincendosi che le cose sono ognuna semplicemente uguale a se stessa. Procediamo con la lettura. «Il non-io, solo in tanto può essere posto, in quanto nell’io, nell’identica coscienza a se stessa, è posto un io al quale il non-io può essere opposto. Ora, il non-io deve essere posto nella coscienza identico a se stesso, ed in questa medesima coscienza deve essere posto anche l’io [l’io empirico] in quanto opposto al non-io». Viene sostenuto che se all’io si contrappone il non-io, l’io non è più l’io iniziale assoluto, ma diventa qualche cosa di diverso, in quanto viene limitato, non è più l’io assoluto (assoluto significa ab-solutus, cioè sciolto da vincoli), assolutamente libero. Nella prima fase della dialettica l’io pone se stesso,
c’è solo l’io: già abbiamo detto a proposito di Kant che la libertà consiste nel non avere costrizione esteriore; l’io originario, essendo solo, è assolutamente libero, è “assoluto” appunto, è sciolto da vincoli, è libero. All’origine per Fichte c’è l’io, ma questo equivale a dire che all’origine c’è la libertà, perché l’io non è condizionato da niente fuori di sé, nel primo momento logico non ha un non-io che lo limiti, quindi è assoluto, è del tutto libero. Il cominciamento, l’inizio logico della realtà è l’io con la “I” maiuscola, ovvero la libertà, ovvero l’assoluto. Abbiamo detto però che l’io, essendo coscienza, immediatamente deve contrapporre a sé un contenuto, cioè un oggetto, un non-io, ma nel momento in cui c’è un non-io cheSi contrappone all'io, l'io non è più io con la "I" maiuscola, illimitato, assolutamente libero, bensì è limitato dal non-io, e quindi diventa un io limitato, cioè un io empirico. Il terzo momento della dialettica è dato da questa formula: l'io oppone, nell'io, all'io divisibile un non-io divisibile. La terza fase della dialettica è la nascita degli io empirici, dei soggetti umani concretamente esistenti, gli io divisibili, limitati, opposti al non-io. L'io empirico a questo punto non è semplicemente l'uomo di una razza, di un paese, l'uomo è la scaturigine dell'io con la "I" maiuscola, cioè dell'io assoluto, della libertà assoluta, di conseguenza la sua vera natura è la libertà, e tutta la vita dell'uomo, dell'umanità nel suo complesso, nella sua interezza, sarà uno sforzo di riattingimento.
La storia sarà la storia del tentativo di ritornare, metaforicamente, alla situazione di io puro, di io assoluto, di assoluta libertà. Tutta la storia umana sarà la storia della progressiva liberazione dell'uomo, liberazione dal non-io, cioè da quello che non è umano, da quello che non è razionale. Il non-io da cui l'uomo si deve continuamente liberare potrà prendere tantissime forme, prima di tutto quelle dell'ostilità della natura (poi Schelling rimprovererà a Fichte questa visione riduttiva della natura). Per Fichte l'uomo è condizionato per esempio dalle intemperie, è condizionato dalla furia degli elementi, dalle piene dei fiumi, da tutti gli aspetti ostili della natura, e cerca di vincerli con la propria ragione. L'uomo è condizionato dall'oscurità della notte, che gli incute terrore.
gli impedisce di lavorare, allora cerca mezzi per vincere il non-io dell'oscurità, delle tenebre e inventa strumenti per rendere chiara la notte. L'uomo è schiavo delle malattie, ma sempre più cerca di trovare cure e rimedi per guarire.