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CRITICA DELLA RAGION PRATICA
Abbiamo iniziato a parlare di Kant definendolo un Giano bifronte, rivolto da una parte al Settecento, dall'altra all'Ottocento, da una parte al pensiero illuministico, di cui segna il culmine, dall'altra a una cultura diversa, che sarà la cultura romantica. Abbiamo sostenuto: Kant è una figura complessa perché appunto si colloca a cavallo di due secoli, abbiamo detto che è un'opera didi due culture. A proposito della Critica della ragion pura stampo fortemente illuministico, in quanto in essa la ragione non riconosce alcun tribunale più elevato di se stessa, e si mette a giudicare le proprie capacità conoscitive, implicitamente sottolineando che al di sopra di sé, al di sopra della ragione, non c'è nessun'altra autorità. In questo senso, Kant rappresenta il culmine dell'Illuminismo, ma mentre l'Illuminismo si è tenuto fermo a una conoscenza del mondo.Finito e ha escluso ogni discorso metafisico, Kant, con le tre idee della ragione, manifesta l'esigenza di sull'assoluto, sull'infinito, su Dio, sul destino dell'uomo, riappropriarsi di un discorso avverte quindi l'esigenza di una metafisica, anche se nega la metafisica dal punto di vista conoscitivo. La Critica della ragion pura, che è un bilancio delle facoltà conoscitive umane, all'affermazione che la matematica e la fisica sono scienze in quanto fondate sulle giunge forme a priori, la metafisica, invece, non è una scienza: i tre enti oggetto della metafisica, Dio, anima e mondo, non sono oggetto di intuizione sensibile, di conseguenza su di essi non possono lavorare le categorie e pertanto di essi non si può avere conoscenza. Kant nega la metafisica nel senso tradizionale come tentativo di conoscenza di Dio, anima e mondo, ma ne avverte l'esigenza. Questa esigenza viene da lui ripresa, da tutt'altra che ci conferma.
pertanto l'impressione di angolazione, nella Critica della ragion pratica, una ambivalenza di Kant: l'appartenenza all'Illuminismo e l'andare oltre. L'appartenenza all'Illuminismo la noteremo subito anche nella Critica della ragion pratica, che si fonda su una estrema fiducia nella ragione umana. Kant non pensa di doversi affaticare a dimostrare l'esistenza della ragione nel campo pratico: egli semplicemente afferma che la ragione è di per se stessa anche pratica. La ragione fa sentire la sua voce anche nella sfera dell'azione. Non c'è bisogno di chiedersi il perché: la presenza della ragion pratica va constatata semplicemente come un fatto. La ragione si fa sentire sotto chiama "voce della coscienza". Ecco, forma di imperativo, quello che il linguaggio comune potremmo dire nel linguaggio corrente: per Kant in ogni uomo c'è la voce della coscienza. Questo fatto non va dimostrato. Kant ne parla.sé. La ragione, quindi, si occupa di dare una struttura e un ordine ai contenuti che riceve dall'esterno. Ma torniamo agli imperativi. Gli imperativi sono comandi che la ragione ci impone di seguire. Possiamo distinguere due tipi di imperativi: gli imperativi ipotetici e gli imperativi categorici. Gli imperativi ipotetici sono comandi che dipendono da una condizione. Ad esempio, se voglio mangiare, devo cucinare. La ragione mi impone di cucinare solo se voglio mangiare. Gli imperativi categorici, invece, sono comandi che valgono in modo assoluto, indipendentemente da qualsiasi condizione. Ad esempio, "non mentire" è un imperativo categorico. La ragione ci impone di non mentire sempre, indipendentemente dalla situazione. La ragione, quindi, si manifesta nella nostra vita quotidiana attraverso questi comandi che ci guidano nel prendere decisioni e agire in determinati modi. Ma è importante sottolineare che la ragione non ci fornisce i contenuti di questi comandi. La ragione ci dà solo la forma, la struttura di come dobbiamo agire. I contenuti, invece, vengono dalla nostra esperienza e dalla nostra interazione con il mondo esterno. In conclusione, la ragione è qualcosa che dobbiamo riconoscere e seguire nella nostra vita. Ci impone di agire in determinati modi attraverso gli imperativi. Ma è importante ricordare che la ragione si occupa solo delle forme e non dei contenuti. I contenuti vengono dalla nostra esperienza e dalla realtà esterna.sé. Nella morale è la stessa cosa: la ragione fa sentire la sua voce, abbiamo detto, ma si fa sentire indicando semplicemente la forma in cui bisogna volere le azioni, mentre i contenuti dell'azione morale sono estremamente vari, sono infiniti, sono offerti dalle più diverse circostanze. Possiamo quindi dire che un elemento di continuità tra la prima e la seconda Critica è questo: in tutt'e due i casi è al centro la ragione puramente formale, nel primo caso essa ci dà la forma del conoscere, ma i contenuti della conoscenza vengono dall'esterno; nel secondo caso ci indica la forma del volere, ma i contenuti del volere, i contenuti dell'azione dipendono dalle circostanze esterne. Stabilito che la ragione può dare soltanto la forma delle azioni morali, da che cosa essa è caratterizzata? La ragione nell'universalità ha una caratteristica fondamentale che le è connaturata: La ragione è.Questo ci porterà a considerare l'estremo rigore della morale kantiana, coerente con la sua impostazione fortemente illuministica.
Gli illuministi sono stati i padri teorici della Rivoluzione francese, che aveva tra le sue parole d'ordine appunto l'uguaglianza. L'uguaglianza scaturisce dalla centralità della ragione. Mentre il sentimento, le passioni, i gusti, sono variabili da individuo a individuo, la ragione è la facoltà presente in maniera identica in ogni individuo. Dalla centralità della ragione scaturisce immediatamente l'universalità, come scaturisce l'uguaglianza. La ragione scaturisce la morale kantiana, quindi, essendo fondata sulla ragione, è una morale che si batte contro quelle che Kant chiama, con termine molto significativo, inclinazioni. I sentimenti, i gusti, le passioni, i desideri sono per Kant inclinazioni. Per questo pensatore, che era molto rigoroso anche nella sua vita privata,
Bisogna evitare le inclinazioni, che tendono a far deviare dal retto cammino. La ragione, quindi, implicherà una lotta con le inclinazioni, ma implicherà anche l'universalità. Si delinea un'altra analogia con la Critica della ragion pura: ancora una volta Kant recupera l'universalità all'interno della soggettività; in ogni soggetto umano c'è la ragione, e ispirandosi alla ragione l'uomo può trovare la via del corretto comportamento, del comportamento virtuoso, ma ogni altro uomo che si trovi nelle sue condizioni dovrà seguire il suo esempio, se si vorrà comportare in maniera buona, in maniera virtuosa. Iniziamo a scorgere le caratteristiche della morale kantiana: essa è fondata sulla ragione e per questo è una morale formale: la ragione ci indica la forma, ma non il contenuto delle azioni morali; essendo fondata esclusivamente sulla ragione, sarà una morale rigoristica, inclinazioni.le passioni, i sentimenti, i desideri, gli istinti dell'uomo; che escluderà le essendo fondata sulla ragione presenta ancora un'altra caratteristica forte, di tipo illuministico: è una morale universale, come universale è la ragione. Tutto questo fa dell'etica kantiana uno dei punti più alti di tutta la tradizione filosofica. Prima di Kant e dopo di Kant troviamo morali di ispirazione diversa, fondate sul cuore, fondate sui sentimenti, e quindi tendenzialmente soggettive, e questa è anche una tendenza prevalente oggi, quando spesso si sostiene che ognuno si deve comportare a proprio arbitrio. Per Kant, invece, il comportamento deve essere ispirato alla propria interiorità, ma non alla propria soggettività in generale: l'uomo è un essere composito, e deve farsi guidare da quella parte della propria interiorità che è la ragione, la quale è in contrasto con le altre tendenze. Un'ulterioreLa caratteristica della morale kantiana, che scaturisce anch'essa dalla centralità dell'autonomia della ragione, è ritroviamo la ragione in noi stessi, di conseguenza la morale kantiana è una morale della libertà, è una morale autonoma. Obbedendo alla voce della ragione, obbedisco a una voce che trovo all'interno di me stesso, e quindi sono autonomo (dal greco autós, se stesso, e nómos, legge: mi do la legge da me stesso, non ritrovo la legge all'esterno, non sono dipendente da costrizioni esterne, di conseguenza sono libero, in quanto la libertà consiste appunto nell'assenza di costrizioni esterne).
Avrete notato come, partiti dalla ragione, abbiamo parlato di uguaglianza, di universalità, ora di libertà: emergono due delle tre parole d'ordine della Rivoluzione francese: libertà, uguaglianza, fratellanza. Kant si delinea come un pensatore attento alla Rivoluzione francese. Era metodico.
Faceva sempre la stessa passeggiata per le strade di Königsberg, tanto che si dice che i suoi concittadini regolassero gli orologi sui passaggi del filosofo, il quale una sola volta deviò dal percorso che seguiva ogni giorno, quando, in attesa di un dispaccio sullo sviluppo degli eventi della Rivoluzione, si inoltrò su una strada di campagna per andare incontro al corriere che portava le notizie. Fu l'unica volta che abbandonò il suo percorso abituale. È significativo che Kant abbia aderito agli ideali della Rivoluzione francese. Questo aspetto è stato oggetto di una ricerca approfondita dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici: Kant è stato costretto ad autocensurarsi per non incorrere nei rigori della censura prussiana, ma è stato un deciso sostenitore della Rivoluzione francese. Le parole d'ordine della Rivoluzione francese, libertà, uguaglianza e fratellanza, sono tutt'e tre presenti nella sua etica.
La per l'autonomia della morale è, ispirata alla ragione propria di ogni uomo; l'uguaglianza, perché la ragione che ispira il comportamento è una facoltà universale; la fratellanza, che troviamo nella seconda formula dell'imperativo categorico, in cui Kant afferma che bisogna trattare gli altri e se stessi sempre come fini e mai come mezzi, quindi bisogna trattare tutti gli altri alla stessa stregua di noi stessi, come noi stessi, come fratelli. Fatta questa premessa sulle caratteristiche principali della morale kantiana, vorrei proporre i brani che ho tratto dalla Critica della ragion pratica e da La metafisica dei costumi, cioè dalle due principali opere morali di Kant. Mi sembra utile iniziare proprio con la forte sottolineatura dell'esistenza del comando razionale. Dice Kant: "Anche se non vi fossero mai state azioni derivate da questa pura sorgente, non si tratta per noi di sapere se è avvenuto questo o quello, ma"È di sapere che la ragione comanda per sé, ed indipendentemente da tutti i fatti, ciò che deve avvenire;