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V F V
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- la LOGICA adotta perfettamente il principio di composizionalità La Bedeutung di un enunciato tiene conto delle
Bedeutung degli enunciati precedenti (subenunciati).
-Frege “Principio di sostituibilità salva veritate” (Principio salva veritate fu formulato da Leibniz): se in un
enunciato complesso, sostituisco un enunciato con un altro dallo stesso valore di verità, il valore di verità non cambia.
p∙q s∙q/ p∙t
V F F
Per Frege gli atteggiamenti proposizionali sembrano non rispettare il principio di “salva veritate”:
a. Paolo crede che Italo Svevo abbia scritto “Senilità”
b. Paolo crede che Ettore Schmitz abbia scritto “Senilità”
Atteggiamento di proposizionalità
-Termine coreferenziale= termini con la stessa Bedeutung (Es. Italo Svevo-Ettore Schmitz)
LEZIONE 6
Se Frege è il “nonno” della filosofia del liguaggio, allora i padri di questa disciplina sono certamente: Russel e
Wittgenstein. Russell era un filosofo a tutto campo. Del suo lavoro prendiamo in considerazione la DOTTRINA delle
DESCRIZIONI DEFINITE (compie una critica a Frege, che poi verrà ripresa anche da Wittgenstein). Per Frege non vi
è alcuna differenza sostanziale fra il comportamento semantico del nome proprio e quello della descrizione definita;
Russell da un lato è d’accordo con lui, dall’altro no. Importante il suo saggio del 1905 “On denoting”, “Sulla
Tema fondamentale → come
denotazione” in cui viene definita la teoria delle descrizioni definite. bisogna trattare
espressioni formulate in questa maniera: “Il così è così” (ENTITÀ LINGUISTICHE). Russell parte da una serie di
esempi che rendono la questione problematica.
[Es. “L’attuale re di Francia è calvo”, siccome viene detto nel 1905, quando la Francia era una repubblica, chi è calvo?
di Frege:
Potremmo rispondere “L’attuale re di Francia non esiste” ma di chi neghiamo l’esistenza?]→risposta quando
dico così (calvo) PRESUPPONGO l’esistenza dell’attuale re di Francia, che il re di Francia abbia una Bedeutung. Ma
se la presupposizione è falsa allora “l’attuale re di Francia” per il principio di composizionalità di Frege non è né vero
né falso, anche se comunque ha un senso. Quando la presupposizione di esistenza è vera, l’enunciato può essere vero o
falso e va dimostrato, quando essa è falsa l’enunciato non è né vero né falso. Questa risposta non soddisfa Russell e
nemmeno Wittgenstein. Per loro se l’enunciato ha senso è perchè è vero o falso. La nozione di senso non piace a
Russell, ma una volta liberatosene gli resta solo un’unica via, dimostrare che l’enunciato è vero o falso.
● Punto di partenza di Russell: la grammatica di un enunciato NON è una buona guida per stabilirne la logica. La forma
grammaticale di un enunciato non corrisponde alla sua forma logica.
“L’attuale re di Francia è calvo”
Posizione di soggetto → si comporta come un NP quindi sono portato a l’errore per Russell
pensare che abbia un riferimento, che invece non ha.
Russell critica anche il filosofo austriaco Meinong. Per quest’ultimo: “se parlo di qualcosa, questo qualcosa deve in
qualche modo/senso esistere”→ se non esiste in modo materiale, comunque SUSSISTE, perchè ne possiamo parlare, li
possiamo pensare. Mainong distingue:
1. L’essere come “esistere”.
2. L’essere come “sussistere”
Ecco la critica di Russell. Per il filosofo in logica bisogna avere lo stesso senso della realtà che nella zoologia. Mainong
si inganna, pensa che se un qualcosa ha posizione di soggetto, allora è un NP e quindi ha un’esistenza o una sussistenza
(basando quindi l’ontologia nella grammatica). Chi dice “L’attuale re di Francia è calvo” che cosa sta asserendo in
realtà?
1. Esiste qualcosa (variabile X) che è attualmente re di Francia.
Esiste solo una cosa che è attualmente re di Francia (clausola di unicità→esprime l’articolo determinativo).
2.
3. Se esiste qualcosa che attualmente è re di Francia, questo qualcosa è calvo.
Russell mostra che ci troviamo di fronte ad un enunciato composto che dà luogo ad una CONGIUNZIONE falsa di tre
enunciati, perchè il primo enunciato è falso.
Non abbiamo più un nome di cui cercare il riferimento, perchè “l’attuale re di Francia” passa in posizione predicativa.
→l’analisi logica del linguaggio risolve un problema filosofico tradizionale.
●Secondo passaggio
Questo vale per le descrizioni definite, ma i nomi propri?
“I nomi propri sono descrizioni definite abbreviate”, perciò se le descrizioni definite non funzionano di conseguenza
anche i nomi propri non funzionano. Russell non si ferma qui: “I nomi propri e le descrizioni definite non sono TS”
Ma esistono allora dei nomi propri e dei termini singolari? Per Russell esistono quelli che definisce “Nomi
Logicamente Propri”. Se per Russell un nome proprio è reale quando non possiamo dubitare del suo riferimento, allora
quali possono essere queste particelle linguistiche?
-Pronomi dimostrativi
“Questo”→ vi è necessariamente un riferimento (anche se non so nulla su di esso)
-Indicati, o Deittici
“Qui, ora, io”→ particelle linguistiche il cui senso dipende dal contesto in cui sono proferiti (sensibilità al contesto).
Se per riferirci alla realtà abbiamo bisogno di descriverla, possiamo sbagliarci. Problema: i nomi logicamenti propri si
trovano legati ad una dimensione estremamente soggettiva. Esiste una parte della logica, detta Logica Modale perchè
tratta di quelli che già i Greci definivano “modi”:
1. Necessario
Possibile→ esclude solo l’impossibilità “◊p”= “è possibile che...”; “□p”=
2. (possibilità de dicto possibilità de re
“Paolo è possibilmente...”)
3. Impossibile
Contingente→ ciò che non è impossibile e necessario
4.
A partire dalla logica modale si sviluppa una SEMANTICA MODALE (interpreta i termini della logica). Nel
Novecento, durante il liceo, Saul KRIPKE formula la prima semantica per la logica modale, basandola sul concetto di
MONDO POSSIBILE e MONDO ATTUALE (MA). Kripke utilizza la semantica dei mondi possibile e la concezione
del riferimento diretto per criticare il modello di Frege e quello di Russell.
LEZIONE 8
Tratteremo Wittgenstein come un filosofo del linguaggio, ma lui non lo voleva essere affatto. Uno dei problemi che ha
inquietato gli studiosi di W. È quello che ha fatto porre loro questa domanda: “quanti Wittgenstein ci sono?”. Infatti
studiando le sue opere ci si trova di fronte due filosofie completamente diverse.
Da un lato è l’autore del “Tractatus logico-philosophicus” del 1922, dall’altro autore degli scritti raccolti e pubblicati
dai suo allievi nelle “Ricerche filosofiche” del 1953. Nella sua intenzione i due trattati dovevano uscire insieme perché
“i miei nuovi pensieri possono essere compresi sullo sfondo e in contrapposizione con i miei vecchi pensieri”.
Wittgenstein voleva sottolineare la presenza combinata di continuità e discontinuità, mentre la separazione temporale
fra le due opere le fa apparire ancora più diverse. Tutto quello che scrisse dal 1929 fino alla morte, furono dattiloscritti e
manoscritti, poi raccolti dagli esecutori (i suoi allievi) nelle “Ricerche filosofiche”, o pubblicati separatamente prima e
in contemporanea. Abbiamo quindi:
un Wittgenstein del Tractaus (1922)
un Wittgenstein fenomenologo (1927/29)
un Wittgenstein intermedio (1934/1935)
un Wittgenstein delle Ricerche filosofiche
un Wittgenstein dopo le Ricerche filosofiche (autore de “Della certezza”)
Parliamo ora del Tractatus. Un libricino di sessanta pagine strutturato in maniera molto particolare.
Inizia con un’importantissima prefazione cui seguono SETTE PROPOSIZION IPRINCIPALI, ciascuna delle quali è a
sua volta commentata da altre proposizioni (tranne la settima, conclusione del trattato); bisognerebbe leggerlo non come
fosse un libro, ma partendo dalle sette proposizioni per poi passare alle loro ramificazioni:
1. Il mondo è tutto ciò che accade.
2.
3.
4.
5.
6.
7. Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere.
Questa proposizione esprime CONTINGENZA (ciò che accade non è né necessario, né impossibile, può essere
altrimenti).Il mondo non è la totalità delle cose, bensì dei fatti nello spazio logico (così come il linguaggio non è la
totalità dei nomi, bensì delle proposizioni), ovvero tutto ciò che accade è un frammento, più o meno ampio, di ciò che è
possibile che accada. Alla logica interessa ciò che è possibile che accada, non ciò che di fatto, accade. Qualcosa di
logico, è possibile e necessario, perciò nella logica non vi sono sorprese, scopriamo nuovi fatti, non nuove possibilità.
Il fatto che noi ci chiediamo se ciò che accade ha una ragione, non vuol dire che ciò che accade abbia una ragione (Nihil
sine ratione). Quando accade qualcosa di miracoloso, ritenuto da molti un fatto irrazionale, la prima cosa che facciamo è
rivolgerci ad un esperto, uno scienziato. Il fatto che ci rivolgiamo a qualcuno per spiegare un miracolo, è il segnale che
noi riteniamo i miracoli “qualcosa di momentaneamente inspiegabile”. Per Wittgenstein l’importanza nell’atto del
miracolo non è il miracolo in sé, ma lo spirito con cui esso è stato fatto. Accettare tutto ciò che accade è un modo di
relazionarsi al mondo contrapposto al nihil sine ratione.
“DEVE” è un verbo modale. In italiano è unico, ma in tedesco si può tradurre con:
-SOLLEN, dovere morale/normativo (c’è la possibilità)
-MUBEN, dovere della necessità (non c’è la possibilità)
Nel caso della proposizione di W. si tratta del secondo. Tra le cose che non si possono dire vi è il linguaggio e il
linguaggio religioso.
Proposizione 6.54: “Tutte le mie proposizioni illustrano così: colui che mi comprende deve salire su esse, per esse, con
esse, come una scala che va gettata dopo averla usata” capire Wittgenstein vuol dire capire che le proposizioni del
Tractatus sono insensate, che in raltà non ha detto nulla