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ARGOMENTO III – LA FILOSOFIA MODERNA
Abbiamo parlato molto sinteticamente della evoluzione della filosofia del diritto nel corso dei secoli e, in particolare, con riguardo al diritto romano. Adesso dobbiamo affrontare due periodi che sono molto importanti: il periodo del Medioevo e, poi, il periodo moderno, che arriva fino all'Illuminismo. Dunque, ci stiamo avvicinando a poco a poco alle categorie della filosofia del diritto che costituiscono oggi l'ossatura della materia.Introduzione – Gli albori della filosofia moderna
La terminologia, i concetti e le problematiche riguardanti la filosofia del diritto percorrono tutti i secoli di evoluzione del diritto. Quindi, un'analisi di carattere storico è fondamentale per capire come nascono la terminologia e i concetti che utilizziamo oggi. Non ha senso studiare la filosofia del diritto senza avere alle spalle le nozioni di base della filosofia e della storia del diritto. Seguiamo, dunque, un indirizzo storicistico erelativistico; tale indirizzo è seguito da alcuni degli studiosi più importanti che, nei diversi secoli, e attualmente, nella nostra cultura giuridica, coltivano questa materia.
Nell'ambito della storia della filosofia del diritto, dei giuristi attuali è bene ricordare Guido Fassò, che ha scritto un'eccezionale storia della filosofia del diritto in più volumi, e Giovanni Tarello, che ha scritto sulla storia delle codificazioni, che, insieme alle costituzioni, costituiscono, soprattutto per i modelli dei sistemi giuridici europei, uno dei punti di riferimento dell'organizzazione giuridica.
Dunque, la terminologia e i concetti che oggi utilizziamo non sono utilizzati ex novo, ma hanno una loro storia, evolvono con il tempo e, pur mantenendo la stessa denominazione o conformazione logica, sono poi adattati alle nuove esigenze. Inoltre, la filosofia del diritto tiene conto dell'evoluzione del pensiero filosofico puro (la logica) e delle
Esigenze di carattere sociale ed economico, per cui, le tesi che via via si affacciano dei filosofi del diritto sono connotate storicamente nel momento nel quale sono state elaborate.
Come sottolinea Giorgio Del Vecchio nelle sue lezioni di filosofia del diritto, una grande influenza, nella storia della filosofia del diritto del Medioevo, ha avuto il pensiero cristiano. Infatti, il principio della fratellanza degli uomini in Dio teneva conto dell'appartenenza alla religione cristiana. Coloro che erano al di fuori dell'appartenenza al cristianesimo avevano un trattamento particolare. Ne parleremo quando discuteremo della scoperta dell'America e quindi della discussione sulla natura degli indios e sulla titolarità delle terre che gli indios utilizzavano per la sopravvivenza.
Nel Medioevo dobbiamo ricordare innanzitutto i grandi pensatori. Tra questi Sant'Agostino, con la sua elaborazione dell'esaltazione della Chiesa e della comunione delle anime in Dio, edella
Soprattutto del diritto pubblico (cioè dell'unità politica del genere umano) usa la filosofia scolastica e nel De Monarchia (1312 circa) si occupa dei rapporti tra Stato e Chiesa e distingue la Chiesa come istituzione temporale dalla Chiesa come istituzione divina.
Guglielmo di Ockham, poi, è molto importante. Egli ha elaborato alcuni concetti fondamentali, in particolare il concetto di proprietà, e si è occupato della terminologia giuridica.
Negli anni 1400 e 1500 viene accreditandosi la tesi della teoria contrattualista. In altri termini, la convivenza umana si basa su una sorta di patto, il Pactum Unionis, che unisce tutti i componenti della società e, attraverso questa unione, distribuisce il potere e i compiti che ciascuno dei componenti deve assolvere. Il Pactum subiectionis si ha, invece, quando si stabiliscono delle regole cui devono essere assoggettati tutti i componenti o soltanto alcuni di essi, in base alle differenze individuate:
differenze dovute al censo, all'appartenenza religiosa, al ruolo che si ha nella comunità. Ad esempio, alcuni studi molto belli di storici medievali riguardano il ruolo che hanno i guerrieri, i religiosi e i mercanti. Nel medioevo, in particolare, si diffondono le fiere, i mercati, cioè luoghi d'incontro dei mercatores (commercianti) per vendere la merce e, in particolare, il bestiame. Tali fiere erano indette solitamente in coincidenza con le festività religiose. Ci sono poi dei mercati importanti che hanno mantenuto ancora oggi la loro funzione tradizionale. Pensiamo alla fiera di Maastricht, o ad altre fiere che si svolgono in Francia o in Italia. Proprio nelle fiere nascono le regole del lex mercatorio: i mercanti venivano da tutti i paesi d'Europa, si incontravano in queste città e, per esercitare gli scambi, dovevano applicare regole riconosciute da tutti. Sono gli stessi mercatores a creare le loro regole; sono regole che nascono dunque dalBasso e non sono imposte dall'alto (diritto positivo - ius positum). Sono regole che consentono ai mercanti di scambiarsi la merce o di pagare la merce attraverso metalli preziosi, quindi monete che vengono realizzate in metallo prezioso e che vengono pesate per poter dare un valore esatto. Con l'introduzione della moneta, nascono anche le prime regole contrattuali riguardanti la commutazione, la conversione delle monete da parte dei banchieri. Si definiscono i rapporti di cambio tra le monete utili allo scambio, oppure si portano all'incontro con la controparte le "lettere di cambio". Per evitare di essere derubati, per non perdere queste monete che erano conservate in sacche e che erano nascoste dai mercanti tra i loro abiti, i mercanti portavano delle lettere, c.d. di cambio, cioè lettere di credito emesse da una banca, la quale consentiva loro o di ritirare le somme per pagare una merce,
Oppure di fare degli scambi direttamente tramite le lettere (cioè, i mercanti pagavano direttamente con la lettera di credito – ndr). Verso la fine del 1500 e l’inizio del 1600 si ha l’elaborazione del contratto sociale, cioè delle regole alla base della società.
Si possono citare alcuni autori che si sono occupati del contratto sociale, come Cusano (1400), Bellarmino, Molina, Suarez (1500), Giovanni Altusio (1600 circa). La teoria del contratto sociale, dapprima afferma la sovranità del popolo come potere originario e indeterminato e poi introduce, in modo più raffinato, la elencazione dei diritti individuali (libertà, uguaglianza), che si immaginano collegati con la natura dell’uomo. Dunque, si tratta dello stato di natura, del diritto naturale moderno, che è diverso dal diritto naturale degli antichi, e che conoscerà un’elaborazione molto più raffinata con Alberico Gentili e, poi, con Ugo Grozio (vedi
oltre). Anche Giovanni Bodin tratta dell'organizzazione dello Stato in modo razionale e nondogmatico, perciò è da considerarsi uno dei precursori della nuova scienza politica. Bodin si collega a Machiavelli che, nel Principe, spiega in che modo deve comportarsi chi vuole acquisire o conservare il potere. Machiavelli fa un discorso molto crudo e realistico per la conservazione del potere. Non fa una valutazione di carattere morale. Egli distingue il diritto e l'esercizio del potere dalla morale. Diritto ed esercizio del potere sono indifferenti rispetto alla morale. Bodin si occupa soprattutto della sovranità. La sovranità comprende innanzitutto il diritto di fare le leggi. Però, a differenza di quanto si pensi nello stesso periodo in Inghilterra, il sovrano che fa le leggi sta sopra le leggi, mentre in Inghilterra lo stesso sovrano, quando emette una legge, deve ad essa sottostare. Il contratto sociale e le origini del diritto internazionale. ParliamoOra in modo sintetico di altri secoli che intercorrono tra il periodo medievale, quello rinascimentale e quello moderno, per arrivare fino all'Illuminismo. Analizziamo più nel dettaglio la teoria del contratto sociale.
Secondo gli autori che di recente si sono occupati della materia, tale teoria risale già al periodo medievale, grazie a due pensatori di primaria importanza, Marsilio da Padova (XIV secolo) e Guglielmo di Ockham (prima metà del XIV secolo).
La teoria del contratto sociale muove da un principio molto elementare, cioè l'uomo quando esce dal suo stato naturale, che è molto affine a quello degli animali, avverte l'esigenza di vivere in società, in gruppo. Vivendo in gruppo, l'uomo avverte l'esigenza di poter distribuire all'interno del gruppo le funzioni che sono proprie di una società (in questo caso primordiale), come la sussistenza, la difesa all'esterno, l'ordine all'interno, la
prosperità (determinata dalle 14 tribù nomadi dall'allevamento e dallo spostamento nelle regioni dove si trova cibo e selvaggina), il mantenimento del gruppo. Gli antropologi hanno studiato con molta attenzione le modalità con cui si conserva il cibo e quindi anche l'uso delle spezie. Di qui si ha anche la nascita del commercio, con la circolazione dei beni possono essere utili per la produzione, per la conservazione dei cibi, per la difesa (armi), oppure per vestirsi. I filosofi medievali discorrono quindi del passaggio dallo stato di natura (status naturae) allo stato societario (status societatis). Per rimanere in società, alla base c'è un patto, un Pactum subiectionis, perché occorre qualcuno che comanda e altri che obbediscono. Dunque, ci si distribuisce il potere e il diritto serve proprio per distribuirsi il potere, oltre che per sanzionare i comportamenti in contrasto con le regole del gruppo. Il diritto serve, inoltre,adaccollare a ciascuno gli obblighi di contribuzione, per mantenere in vita il gruppo, e gli statusdi cui a