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disponiamo di manoscritti originali, ma neanche di copie risalenti allo stesso
periodo linguistico della Magna Curia; la tradizione siciliana è raccontata quasi
esclusivamente da manoscritti toscani, compilati quasi sempre vari decenni
dopo la fioritura della scuola: in particolare, essi sono tre: Laurenziano Rediano,
Banco Rari a Firenze e Vaticano Latino. Quasi tutti I componimenti mostrano
delle imperfezioni, forzature o incongruenze tra toscano e dialetto siciliano,
spie della patina toscana sulla poesia originale: le rime apparentemente
imperfette, che acquistano valore soltanto attraverso la sostituzione, al
vocalismo toscano di sette vocali notiche e cinque atone, del siciliano con
cinque toniche e tre atone (avere, servire = aviri, sirviri), alcuni usi lessicali (mi
par forte, sonno piglio) e la presenza di sicilianismi (aio, ho; avìa, aveva). Le
uniche attestazioni di testi siciliani nella loro lingua originale sarebbero forse
dei frammenti linguistici di re Enzo e di Guido delle Colonne. Va precisato
comunque che non si trattava comunque di un siciliano puro, ma di un siciliano
illustre, di natura ibrida, soggetto all'influenza della situazione linguistica non
omogenea della sicilia del Duecento, con condizionamenti galloromanzi o latini.
4. I poeti della scuola siciliana
Quattro capisaldi ideali: Giacomo da Lentini, Rinaldo d'Aquino, Giacomino
Pugliese e Mazzeo di Ricco. Il corpus della scuola siciliana è modesto, di circa
150 componimenti, per due terzi canzoni.
- Giacomo da Lentini: considerato il caposcuola dei siciliani, dalla produzione
più ampia, complessa e articolata. Cimentandosi in un genere nuovo, ossia il
sonetto, La sua poesia mostra una natura sperimentale: partendo dalla
trasposizione e rielaborazione di temi e motivi trobadorici e dall'analisi delle
tematiche cortesi, il poeta descrive l'esperienza del poeta-amante come
un'attività esclusivamente mentale, interiore, che dev'essere indagata e
compresa. Ne deriva un'analisi naturalistica dell'amore, visto come uno stato di
autismo e di incomunicabilità che diventa oggetto di riflessione poetica. Questo
paradosso amoroso è espresso soprattutto in Madonna, dir vo voglio:
l'interesse del poeta si sposta dall'oggetto del discorso alla sua traducibilità in
poesia; si rivolge alla Madonna, esprimendo l'incomunicabilità di un messaggio
che però è importante; la riflessione dell'io su sè stesso diventa il centro del
componimento. In molti sonetti di Giacomo da Lentini la donna non solo non è
più oggetto di lodi, richieste o lamentele, addirittura scompare o resta sullo
sfondo, lasciando il posto all'analisi interiore. Il sonetto diventa quindi una
novità, con l'io lirico come protagonista della poesia vista come riflessione
astratta sulla natura dell'amore. Il Notaro è sicuramente l'autore più imitato
all'interno della Scuola; in tutti gli altri rimatori si trovano tracce della sua
poetica. I lentiniani sono molti, a cominciare da Federico II e suo figlio Enzo.
- Guido delle Colonne : rappresentante della linea tragica della poesia siciliana;
le sue cinque canzoni sono una riflessione sulle conseguenze, sia positive che
negative, dell'esperienza amorosa, sicché I temi dell'amore-gioia e
dell'amore-sofferenza sono ugualmente distribuiti. Fu il poeta del controllo, di
fronte all'irrazionalità dell'amore. Ammirato da Dante per la sua abilità tecnica
rilevante. Scrisse “Gioiosamente Canto”, che rappresenta il canto felice
dell'amore corrisposto.
- Rinaldo d'Aquino : il poeta feudale, espressione del “fin'amore”
5. Temi, motivi e convenzioni poetiche
Escludendo I pochi sonetti moraleggianti, la poesia siciliana è poesia d'amore,
l'amore cortese, l'amore del fin'amor della lirica provenzale. La poetica che ne
deriva si fonda sulla metafora feudale che vede il rapporto amoroso come un
rapporto di servizio che lega l'amante all'amata negli stessi termini in cui il